L’essenziale quotidianità. Vedere il film di un addetto alla pulizia
dei bagni pubblici (e lo fa alla perfezione) in una Tokyo
modernissima, si rilassa con Lou Reed (da cui il titolo del film di
una sua straordinaria canzone), e innaffia piantine con cura
certosina, legge Kerouack e poesie in maniera consueta e
sistematica, può apparire persino noioso. Con un passato che
riaffiora nell’ellissi di una automobile da cui esce sua sorella,
ricchissima, vuol dire che il tempo anonimo passa anche su chi
crede che essere normale è anche chi è fuori da una futile
quotidianità spesso senza valori. Lui utilizza musicassette vintage
da cui ascolta Lou Reed e Patty Smith e Otis Redding e Van
Morrison, mentre la sua vecchia macchina fotografica gli
restituisce colori originali, immagini che sogna anche di notte;
cattura il vento sulle foglie, e nel finale la vita gli conferisce un
ulteriore motivo di essere vissuta. Lo sguardo offerto allo
spettatore è uno schermo quadrato, quasi a rievocare la
televisione, retaggio del secolo scorso, spazio nel quale il
protagonista cristallizza il suo tempo. Persino il fiume scorre più
veloce della sua voluta routine quotidiana. E dunque, una regia
minimale quanto efficace: Perfect Days è il nuovo film di Wim
Wenders premiato a Cannes per l’interpretazione del
protagonista l’attore giapponese Kōji Yakusho, candidato agli
Oscar. La sua immagine così discreta, mai fuori dalle righe, emana
tenerezza, parla pochissimo, sorride e talvolta appare persino
rarefatto ed appiattito. Sembra l'alter-ego del regista tedesco,
quieto, pacato, appagato dalla fluente naturalità delle cose della
vita. Wenders dedica il film al cineasta giapponese Yasujirō Ozu:
la vita ricalca la trama minimale dei suoi film, appena sfiorata dai
grandi eventi, improntata al suo carattere schivo. Proprio come il
protagonista e crediamo sia lo stesso Wenders, appunto. Noi che
amiamo il cinema, è carne e fantasia quest’ultima opera del
geniale regista. “Proprio una giornata perfetta, mi ha fatto
dimenticare me stesso, ho pensato di essere un altro, una
persona migliore...Raccoglierai ciò che hai seminato.” Cantava
questo Lou Reed in quella struggente canzone.
Il cinema d'autore ci insegna che lo sguardo si concentra sul
particolare, l'occhio guarda oltre la visione comune. Il komorebi -
evocato nel finale del film – è la luce che gioca tra le foglie degli
alberi accarezzati dal vento. Aduliamo la bellezza delle immagini,
talvolta sensuali e dolci, impressioni di eterno. Il racconto pur con
brevi immagini si nutre di particolari, ce lo insegna Flaubert.
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