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📰 Schermi Riflessi di Armando Lostaglio: Orlando diretto da Daniele Vicari

Visto in rassegna al Cinema Lovaglio di Venosa, Orlando è l'ultima opera di Daniele Vicari che ha scritto e diretto, con un Michele Placido in stato di grazia affiancato dalla dodicenne Angelica Kazankova (è Lyse). E’ un film sulla tenerezza, sulla solitudine.

Ma è anche un incontro-scontro fra culture e civiltà, nord-sud, fra radici arcaiche e futuro, luci e colori verso i freddi barlumi nel cuore dell’Europa. E’ tuttavia un incontro "forzato" di solitudini, quella di un mondo contadino che tende lentamente ad estinguersi, e quello di una adolescente europea, proiettata nel divenire più prossimo. Per il 75enne Orlando, lasciare il rifugio in campagna del natio borgo in Sabina (peraltro luogo di origine del regista Vicari, che ospitammo a Rionero 10 anni fa con Diaz) per il futuro incerto e algido di Bruxelles è un’impresa impensabile e lontana anni luce. Eppure Orlando lo affronta. Stoicamente: se qualcuno pensasse ad Ariosto o a Virginia Woolf (da cui il film di Sally Potter) si dirigerebbe in una errata condotta. Non siamo affatto nel mito letterario. Orlando di Daniele Vicari è un anziano vedovo che ripete i suoi stanchi gesti nel suo piccolo recinto, alle prese con la terra fra le difficoltà e gli umori che solo la natura sa offrire; e al bar dove beve il suo bicchierino all'antica, e schiva i pochi amici. Si diverte a suonare l'organetto nelle feste popolari, unico spiraglio di serenità in una vita di solitudine e di caparbi rimorsi. Lungi dall'essere un eroe disinteressato a oltrepassare i propri confini, l’anziano si tiene a distanza dal prossimo e, al contrario di suo figlio Valerio e di tutti gli altri che sono partiti in cerca di miglior destino, ha voluto evitare percorsi ignoti verso luoghi estranei: anche uno straniero gli è nemico. Non fa domande Orlando, se non ha nulla di utile da sapere. Ma sarà proprio la notizia della imminente fine del figlio lassù, nel cuore freddo dell’Europa, a trascinarlo suo malgrado in un universo che neppure in televisione aveva visto e sentito. Già, l’Europa. Nella fredda Bruxelles, suo cuore pulsante nel bene e nel male, il contadino che parla solo dialetto (in questo è perfetto Placido, che rimanda al “Fontamara” di Lizzani, 1980) arriverà con una valigia ed una carta di identità scaduta, incontra la nipotina dodicenne di cui ignorava l'esistenza (dolce e già matura per gli anni che ha) la quale cambierà la sua vita, nel segno dell'affetto che forse entrambi cercavano e che la vita ha reso avaro. Qualche luogo comune nella sceneggiatura si avverte nel film di Vicari (scritta con Andrea Cedrola) e qualche non sempre omogenea movenza del vecchio Orlando; nel compenso lo spettatore vive due ore di tenerezza e di rimpianti per una Europa apparentemente difficile da “realizzare”. Ma Vicari sa andare oltre. Il manifesto del film infatti sa guardare al futuro, negli occhi della eccellente Lyse e di un dormiente Orlando poggiato sulle sue adolescenti gambe. Due cortometraggi in questi ultimi tempi hanno trattato con garbo e sensibilità della terza età, vanno citati per la loro potenza espressiva: “Pappo e Bucco” di Antonio Losito e “Vecchio” di Dino Lopardo, giovani autori di origini meridionali.

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