Il regolamento anagrafico italiano individua la residenza laddove l’individuo abbia dimora abituale, cioè, chiarisce la Cassazione, il luogo connotato per l'elemento oggettivo della permanenza e per quello soggettivo dell'intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali. Riconoscere tale condizione di stabilità relazionale a chi, come i richiedenti asilo, non è neppur certo di potere rimanere in Italia, è sì una forzatura, ma anche il male minore all’infinito protrarsi delle loro pratiche di riconoscimento, che impedisce per un cavillo burocratico, il mancato requisito della residenza, il godere di diritti sociali che le stesse leggi dello stato gli riconoscono. Un cavillo con cui molti sindaci hanno giocato così da tenere fuori, per motivi di bilancio, i richiedenti asilo dall’accesso a case popolari, contributi affitto e altri servizi per gli indigenti. In alcuni casi, come per i minori e i malati...