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TRACCE di Rocco Brancati: CONCETTO VALENTE


(Pisticci 22 gennaio 1881 - Potenza 16 giugno 1954)

E' stato uno dei tre direttori che hanno fatto la storia del Museo Archeologico Provinciale di Potenza: Vittorio De Cicco, primo direttore dal 1901 al 1926, Concetto Valente dal 1928 al 1J954 e Domenico Ranaldi dal 1954 al 1988.

Valente ha avuto il merito di aver arricchito le collezioni artistiche museali. Da direttore concepì il museo come contenitore d’arte "tout court" creando una Wunderkammer (stanza delle meraviglie), in cui convivono reperti d’arte rustica, monete, pittura e archeologia.


A loro tre bisognerebbe aggiungere anche Michele Lacava che ne fu il fondatore nel 1901 e che fu un appassionato cultore di "storie patrie" e provetto scopritore di necropoli e città scomparse.
Concetto Valente nacque a Pisticci il 22 gennaio del 1881. Dopo un percorso di studi piuttosto regolare tra Pisticci e Tricarico (il paese della fanciullezza trascorsa a casa degli zii della mamma, una Cetani morta subito dopo il parto), appassionato di ogni forma d'arte approdò a Bologna per iscriversi all'Accademia Clementina nel 1905. Tra i suoi maestri Giovanni Bedini (elementi di figura) ed Edoardo Collamarini che insegnò architettura dal marzo del 1908. Iscrittosi successivamente all'Università, una grande influenza ebbe su di lui il direttore del Museo civico bolognese, il professore Gherardo Ghirardini, ordinario di archeologia e numismatica.
Dopo la laurea, corrispondente di alcuni quotidiani nazionali della destra politica, in occasione di uno scontro, il 29 settembre del 1914 tra nazionalisti e socialisti, Valente scrisse: "Il sindaco Zanardi conobbe i primi pugni nazionalisti, e pugni di un eroe, di Pompeo Tumedei". (Concetto Valente, La ribellione antisocialista di Bologna, Cappelli, 1921).


Nel 1925 ottenne una medaglia d'oro dal Ministro della Pubblica Istruzione Pietro Fedele per il suo progetto presentato al concorso nazionale sui "Paesaggi e Monumenti pittoreschi d'Italia".
In quegli anni mantenne sempre un forte legame con la Basilicata e la sua città che così descrisse:
"Bianca sul suo colle argilloso la piccola città silente, sovrana coronatrice del vasto paesaggio tra i fiumi Basento e Cavone, svetta da vie tortuose e chiare. Il sole indugia in luoghi ozii meridiani fra le ospitali case basse e cuspidate, sullo sfondo delle montagne gibbose orlate di agavi aguzze, di secolari ulivi e di fichi d'india..."
Nel 1926 tornò in Basilicata e si stabilì a Potenza dove, con nomina ministeriale, assunse l'incarico di Ispettore onorario per i monumenti della Lucania. In questa veste collaborò molto assiduamente con il direttore del Museo Provinciale Vittorio De Cicco, "l'archeologo del piccone". Alla sua morte lo sostituì alla direzione.


Da direttore andò alla ricerca de "Le città morte dell'Ionio: l'arte nell'Italia meridionale" che era stato, l'anno prima, oggetto di un suo saggio pubblicato da Zanichelli. Si dedicò alla riorganizzazione, secondo metodi scientifici, delle collezioni: dal medagliere alle terrecotte, dai reperti archeologici alla pittura (soprattutto la scuola napoletana del Seicento). Diede anche spazio all'artigianato e all'arte popolare lucana secondo una visione più moderna del museo.
Dal punto di vista politico non nascose, anzi vantò sempre le sue simpatie per il fascismo anche se mantenne un giudizio personale sul "bene comune". Nell'agosto del 1936, in occasione della visita di Mussolini a Potenza, dopo aver regalato la sua "Guida turistica della Lucania" dedicata al Duce, polemizzò con l'architetto Gian Battista Guerrini che aveva paragonato la città di Potenza ad un treno.
Nel 1943, in occasione dei bombardamenti alleati su Potenza (8 e 9 settembre) e la distruzione del Museo Provinciale si comportò come se avesse perduto la sua anima.
"Concetto Valente si aggirava come un fantasma dolente tra le macerie del museo di Potenza, incurante delle travi di cemento pericolosamente pericolanti.".  Il museo era a Santa Maria, il quartiere periferico di Potenza.
Scrisse Rocco Scotellaro: "...anche il Museo era stato colpito. Tumuli di pietre anche lì, e blocchi...poi venne fuori un uomo vero da una porta con un fazzoletto per pulire delle cose che aveva nell'altra mano. Era vecchio, le mani gli tremavano, i capelli lunghi di un Santo..." (Rocco Scotellaro, L'Uva puttanella, Laterza, Bari 1955).
L'archeologo, lo studioso, l'uomo di cultura che con tanta passione dedicò la sua vita alla sua terra (numerose le pubblicazioni) morì il 16 giugno del 1954.
Molti anni dopo il figlio Giuseppe pubblicò dell'illustre genitore un voluminoso saggio "La mia Basilicata" (1989), l'ultimo atto d'amore, una testimonianza sulla sua forte identità lucana.

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