GLI ALTRI
di Vittorio Baccelli
Sono sempre lì
sui tetti più alti, in attesa. Guardano verso il basso i movimenti degli
uomini, talvolta scendono tra loro. Sono in tanti, hanno occupato soprattutto
le città e anche le vecchie fabbriche dismesse.
A una prima superficiale
occhiata sembrerebbero tutti uguali, ma forse sono gli abiti che loro indossano
a renderli così simili l’uno all’altro. Portano tutti scarpe nere di pelle,
hanno pantaloni neri con cintola anch’essa nera, una t-shirt e uno spolverino
impermeabile molto lungo a un solo petto con moltissimi bottoni e un lungo
spacco sul dietro, anche tutti questi abiti sono neri, ovviamente. Pure la
fodera del soprabito è nera, ma la caratteristica principale di tutto
quest’abbigliamento è che gli abiti sono stazzonati e sembrano sempre un po’
polverosi. Loro osservano l’umanità, la seguono da sempre attentamente,
talvolta si mescolano ad essa, molto raramente intervengono direttamente nelle
faccende umane. Gli uomini non possono
vederli anche se talvolta n’avvertono la presenza. Loro hanno tutti sembianze
maschili. Quando un uomo muore, talvolta uno di loro è accanto a lui e lo aiuta
nel trapasso. Più raramente quando qualche umano sta male, uno di loro lenisce
col solo contatto i suoi dolori. È successo che siano intervenuti per
proteggere qualcuno: da un incidente, da un’aggressione, da un tentativo di
procurarsi la morte. Alle volte
assistono senza intervenire alle nascite nelle sale parto di qualche ospedale.
Il più delle volte osservano indifferenti l’agitarsi senza senso degli uomini.
Io riesco a vederli, non so perché, ma riesco a
vederli. Quando si accorgono che li sto osservando fuggono veloci o restano
fermi spaventati a guardarmi. Alle volte li costringo a parlare con me, lo
fanno malvolentieri e la maggior parte di loro restano muti e spaventati ad
osservarmi. Sono un po’ più alti di noi,
sui due metri e hanno tutte le nostre caratteristiche. I loro volti sono alle
volte simpatici, alle volte inquietanti. Sono tutti maschi, chissà perché. I
loro capelli sono scuri, corvini, non hanno barba e pochissimi peli, ali non ne
hanno e neppure volano, s’arrampicano bene, quello sì. Quando si muovono per
raggiungere i posti più alti, che sono quelli che preferiscono, sembrano un
incrocio tra gli stambecchi e l’uomo ragno: salgono con facilità e agilità
estrema, sono uno spettacolo vederli, talvolta sono rimasto incantato per ore a
guardarli salire. Il colore della loro pelle invece muta, qui nella mia città
non sono tutti bianchi, ho visto anche qualche nero e anche un orientale. Sono
tutti magrissimi. Uno di loro ha acconsentito a conversare continuamente con
me. Si chiama Didim, ha lineamenti europei e uno sguardo inquietante, capelli
neri lunghi, è vestito come tutti gli altri e pure lui sembra sempre polveroso.
Lo incontrai per la prima volta su una torre cittadina, una di quelle aperte
d’estate ai turisti. Eravamo in pieno inverno e io avevo la chiave d’accesso
alla torre, salii per osservare gli altri fermi sui tetti sottostanti, ma sulla
torre, in piedi ritto su un merlo c’era lui. S’accorse subito che riuscivo a
vederlo e sul suo volto non scorsi paura e voglia d’andarsene, ma curiosità.
Per la prima volta uno di questi esseri aveva mostrato curiosità. Gli rivolsi
così la parola e lui sorridendo mi rispose come fosse un umano qualsiasi, ci
scambiammo i nostri nomi e da allora iniziò un’amicizia tra di noi. Cosa molto
rara mi dice Didim, ma degna di cura. Ci siamo incontrati e abbiamo parlato
molte volte, poi lui si è sistemato sul tetto della mia casa, così quando
desidero stare con lui lo chiamo e subito entra nel mio studio che ha una
finestra che dà sui tetti. Ho saputo molte cose di loro, che sono immortali o
quasi, che sono molto legati all’umanità perché sono apparsi sulla Terra nel momento
in cui è apparso l’uomo, che non hanno bisogno di cibo e solo raramente bevono
qualcosa. Quando se ne stanno in alto immobili ascoltano un’armonia divina che
solo loro riescono ad udire. Possono aiutare sia gli uomini che gli animali
quando si trovano in difficoltà o stanno male, li possono guarire
istantaneamente con l’imposizioni delle mani, ma sentono il bisogno di farlo
sono in rarissime eccezioni. Talvolta aiutano i bambini a nascere o gli uomini
a morire. Non sono umani, non sono né demoni né angeli, sono gli altri. “Credi
in dio?” Gli ho chiesto un giorno. “Cos’è dio?” Mi ha risposto. Un tempo gli
altri hanno generato con delle donne, sono nati i nefilim, esseri mentalmente
troppo complicati e fortunatamente si sono sistemati in un altro mondo. Ho
cercato di capire dove, ma le risposte non erano chiare, penso che siano in una
dimensione vicina alla nostra, contigua. Didim ora parla sempre più volentieri
con me, dice che ogni tanto si generano amicizie come le nostre, quando sorgono
devono esser coltivate: queste amicizie hanno un fine, e Didim mi ha detto che questo fine è positivo,
ma lui non può dirmelo, gli è vietato. Non ho insistito e l’amicizia prosegue.
Alle volte ci vediamo un film in TV o ascoltiamo un po’ di musica. Visto che
ogni tanto qualcosa bevono, gli ho fatto assaggiare un po’ di tutto: acqua
minerale, menta, aranciata, liquori, cocacola, birra, ecc. l’unica bibita che
ha trovato gradevole è stata la cocacola e ogni tanto me ne chiede qualche
goccia. Ora sa che ne ho sempre nel frigo e quando la desidera se la va a
prendere. Almeno una volta al giorno ci si bagna le labbra. Gli ho fatto
provare anche le sigarette e anche queste non gli sono dispiaciute. Adesso gira
con un pacchetto di Marlboro e un accendino bic usa e getta in tasca. In una
tasca interna del suo lunghissimo spolverino, l’unica tasca che loro hanno.
L’accendino che gli ho regalato è ovviamente nero, ero certo che gli sarebbe
piaciuto. Fuma comunque pochissimo: una o due sigarette per l’intera giornata e
talvolta se n’è stato un giorno intero senza accendersene una. Qualche volta
usciamo assieme, si va in giro per la città, gli altri della sua razza quando
si accorgono che siamo assieme ci guardano stupiti, alcuni preoccupati. Alle
volte mentre passeggiamo per una strada ci mettiamo a guardare in alto verso i
tetti e vediamo un affollamento di teste che ci osservano: li salutiamo con la
mano e ci mettiamo a ridere. Abbiamo girato tutto il centro, siamo andati con
la mia auto al mare e in montagna, ma in auto lui ci si trova a disagio, mi sa
che soffre un po’ di mal d’auto. L’altro giorno siamo entrati in una chiesa,
era zeppa di loro. È una chiesa incuneata trai vicoli della città più vecchia,
tutta pietre e marmi scolpiti che ricordano una primitiva impostazione medioevale
mescolata a rifacimenti barocchi. Facce e animali s’intrecciano ad alberi,
rampicanti e fiori nelle incisioni sulla pietra, anche il pavimento è in
pietra. C’era un organo che diffondeva le sue note in sottofondo e profumi
misti a vapori d’incenso volteggiavano per l’aria. Poche luci soffuse creavano
un’atmosfera irreale. Non c’erano umani, ma solo loro, tutti in piedi e
immobili ai lati della chiesa, sul pulpito almeno dieci di loro se ne stavano
dritti impalati guardando il soffitto. Mi sono seduto su una panca, Didim è
rimasto in piedi accanto a me. La maggior parte di loro stava fissando
l’altare, anzi il loro sguardo era diretto un po’ più in alto dell’altare ove
c’era una vetrata rotonda con vetri colorati che lasciavano entrare la luce
esterna in un tripudio di colori. Malgrado i miei sforzi non sono riuscito a
mettere a fuoco quale fosse il disegno della vetrata, non era un disegno
geometrico, sembrava piuttosto astratto, ma la sua forma confondeva la vista.
Dopo un bel po’ Didim m’ha fatto un cenno e siamo usciti. L’unica cosa che mi
ha detto è stata “Che bella chiesa, vero?” Ho annuito e siamo tornati a casa,
io dentro casa e lui sul tetto con gli occhi rivolti al cielo.
Stamani quando mi sono svegliato ho trovato su una
sedia a lato del mio letto tutta una serie dei vestiti che loro indossano,
c’era sopra un biglietto con su scritto “Sono per te. Buon Compleanno. D.” Solo
allora mi sono rinvenuto che era il mio compleanno. Didim se l’era ricordato,
non mi sovviene però d’averglielo mai detto, o forse l’ha scoperto da solo
girando tra le cose della mia casa. È un dono che m’ha riempito di gioia. Ho
preso in mano i vesti, morbidissimi al tatto, dev’essere un tessuto
incredibilmente buono ma lo strano è che sembra polveroso. Anche le scarpe,
nuovissime e col tocco polvere, potrebbe essere una nuova moda! Mi sono
spogliato completamente e ho indossato gli abiti, c’erano anche un paio di
mutande tipo slip, calzini e una canottiera come quelle della salute, il tutto
color nero sporco, ovviamente. Ho sorriso perché i capi dell’intimo non li
avevo mai visti. Era tutto perfettamente della mia misura, anche la cintura che
aveva un solo foro, incredibile! Una volta rivestito mi sono guardato allo
specchio: ero bellissimo.
Mi sono allora tolto la catena d’oro che porto al
collo e anche il braccialetto, non mi sembravano intonati al nuovo look. Ho
cambiato l’orologio che avevo al polso, un swach di plastica tutto colorato,
con un Invicta triangolare dal quadrante nero e cintolino di pelle nera. Così mi sono sentito veramente a mio agio. Ho
preso un pacchetto di Marlboro e un accendino, è d’argento ma ne troverò uno
nero quanto prima, e ho infilato tutto nella tasca interna dello spolverino. Ho
poi scavalcato con estrema agilità il davanzale dello studio e ho cominciato a
salire verso la parte più alta del tetto. Didim era lì immobile con lo sguardo
rivolto verso l’alto. Mi sono fermato accanto a lui e ho iniziato a seguire il
movimento delle nuvole. Sono stato circa un’ora in questa posizione, poi mi
sono girato verso di lui e sorridendo gli ho detto “Grazie!”. Lui lentamente si
è girato, mi ha guardato a lungo, ha sorriso e “Ti è piaciuto il mio regalo?”
“Moltissimo” gli ho risposto. Abbiamo rivolto il nostro sguardo verso l’alto e
siamo rimasti immobili tutto il giorno. Un’ incredibile musica divina ha
raggiunto le mie orecchie, ma non era solo musica era un inno un atto creativo,
una fusione con l’universo, di più non saprei descrivervi.