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📰 Schermi Riflessi di Armando Lostaglio: Nostalgia film di Mario Martone

“Vedi Napoli e poi muori”, recitava un antico adagio. Non c’è redenzione nel film Nostalgia , perché a Napoli non può avere luogo tale termine.

Menzogne e verità represse si contagiano nel film gioiello diretto da Mario Martone, che ritorna con Nostalgia ad indagare la sua città facendone il laboratorio ideale e reale della nostra contemporaneità, ne officia poeticamente riti e contesti, manifestando rimorsi che sfociano irrimediabilmente in violenza. Profili inquieti vi si muovono: Pierfrancesco Favino offre una ulteriore prova di umanità in un film disegnato su misura. Si chiama Felice, è il ragazzo che era stato mandato via dai suoi quartieri alla volta di Beirut e quindi del Cairo, a causa di un “incidente” perpetrato con il suo amico del cuore, Oreste, diventato un malommo temuto boss del quartiere; Felice ora ritorna, parla una lingua da straniero e si è persino convertito all’Islam. Gira circospetto nella sua Napoli, da vincente, quarant’anni dopo, attratto da una rimpianto senza scampo, ritrovando violenze ancor più radicate, e ritornare alle sue corse in moto con il suo amico; e soprattutto l’anziana madre che di lì a poco morirà. Poesia pura è la scena dell’incontro e del bagno che il figlio farà all’anziana donna (è Aurora Quattrocchi). La storia e i suoi protagonisti reggono bene all'irrompere del talento espressivo di Favino. Don Luigi è il sacerdote del quartiere impegnato nel strappare giovani alla malavita (è ben interpretato da Francesco Di Leva, già diretto da Martone), il quale diventerà una sorta di alter ego. Felice esala una esistenza irrisolta per via dei rimorsi, in una storia che riflette in controluce tracce da Apocalypse now nell’incontro con il suo temuto compagno di strada. Sovviene questo verso di Bert Hellinger laddove sostiene che “C'è un solo modo per capire in che direzione andare. Devi seguire la tua paura. Essa ti mostrerà la via. Fuggire da ciò che t'impaurisce è un modo per perdere il cammino: così facendo ti allontani sempre più da ciò che stai cercando. Se hai timore di affrontare quella persona o quella situazione, si trova proprio lì il nodo da sciogliere. Quel nodo che se riconosciuto e affrontato ti donerà le chiavi della libertà...” Il finale purtroppo tragico non offre alcun riscatto ad una città che ha tuttavia bisogno di luce, offuscata da luoghi comuni troppo ostentati da una drammaturgia che non evoca nulla di nuovo. E’ una "nostalgia" diversa quella che ritrae Andrej Tarkovskij (stesso titolo, film diretto nel 1983 scritto con Tonino Guerra) che scaturisce nel poeta espatriato. Una patria da riconquistare ma che non appartiene che ai ricordi giovanili. E sono divisi i personaggi: in Martone cercano di superare la propria alienazione ricucendo la propria separazione fisica dalle altre persone. Napoli aggrega e divide: i vicoli e i quartieri annichiliscono in una forma primordiale di sopravvivenza mai superata, e la violenza resta il paradigma necessario da abbattere, troppo spesso ineludibile. Mario Martone è un regista compiuto fra teatro e cinema, fluttuando tra una propria visione poetica e le innumerevoli storie che nella sua città prendono corpo da sempre. Qui, ripercorre le pagine di Ermanno Rea , esistenze infrante fra dolori e volontà di riscatto. Il film in concorso a Cannes, rappresenterà l’Italia agli Oscar.

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