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📰 Schermi Riflessi di Armando Lostaglio: Quo vadis, Aida? di Jasmila Žbanić …E l’Europa dov’era?

La 147 Rassegna del Cinema Lovaglio di Venosa, “Specchio della vita”, ci conduce ancora una volta nella dimensione umana nei ritmi vorticosi della storia. Una storia che, da occidentali, ci consegna rimorsi e dolore, per una tragedia consumatasi solo a due passi da noi, nel cuore dell’Europa, prossima ventura. E così, Jasmila Žbanić, 47enne regista, sceneggiatrice e produttrice di Sarajevo, già nel 2006 aveva convinto critica e pubblico vincendo l'Orso d'oro al Festival di Berlino per il suo film d'esordio, Il segreto di Esma. Era un film doloroso trattato con rara sensibilità, imperniato sul rapporto madre-figlia durante la tragedia bellica dei Balcani. Una piaga ancora aperta che ha umiliato con stupri e pulizie etniche - solo meno di 30 anni fa - il rinnovato sentimento europeo di uscire dagli olocausti del XX secolo, dai lager nazisti ai genocidi stalinisti. E invece quella tragedia, come un Vietnam di casa nostra solo al di là dell'Adriatico, è una lacerazione che solo il grande cinema sa tenere aperta, gridando giustizia contro i carnefici di una guerra tanto cruenta quanto banale (banalità del male). Jasmila Žbanić ritorna con equilibrio e sensibilità con “Quo vadis, Aida?” mediante il suo sguardo mai retorico e dalla parte di chi ancora paga le conseguenze di tali atrocità. La sua macchina da presa ci conduce nel luglio del 1995. Aida, interpretata da una straordinaria Jasna Đuričić, è stata insegnante di inglese ed ora lavora da interprete in una base ONU nei torridi giorni che precedono l’occupazione di Srebrenica da parte dell’esercito serbo. Alla guida il sanguinario Ratzko Mladic (interpretato da un credibile Boris Isakovic). Ma l'Onu e l'intero apparato di protezione internazionale gestito dalle gerarchie militari olandesi, si rivela sempre più inadeguato di fronte all’avanzata e alle pretese delle truppe del boia Mladic. La situazione dei rifugiati si fa sempre più drammatica anche sotto l’aspetto sanitario. Scene da lager nazisti con deportazioni su sgangherati autobus (al posto dei treni sferraglianti): “uomini da una parte, donne dall’altra”. Aida si ritrova nel disperato tentativo di salvare la propria famiglia (il marito era un preside e due figli studenti) mentre deve mediare con le autorità per difendere i concittadini dall’immanente pericolo di genocidio. Che il criminale di guerra perpetrerà con l'inganno, nel silenzio roboante e il pressapochismo della comunità internazionale. La stessa che invece avrebbe dovuto impedirlo. Il film è dunque un atto d’accusa. La città di Srebrenica diventa teatro di guerra, ovvero di occupazione e di soprusi perpetrati con rozza arroganza dai serbi armati fino ai denti, al servizio del “macellaio dei Balcani” che, dopo un processo durato molti anni, ha ricevuto la condanna all’ergastolo per genocidio. I criminali serbi causarono la morte di 8.372 uomini e ragazzi, vittime alle quali il film è dedicato insieme alle donne rimaste: “I nostri figli, padri, mariti, fratelli, cugini e vicini”. Agghiacciante la scena dei deportati bosniaci in una palestra per essere massacrati, mentre al balcone una famiglia assiste mangiando anguria. Jasmila Žbanić compie una convincente lezione di cinema: ottimi movimenti di macchina, sguardi intensi con alternanza di scene di massa drammatiche e inquadrature sui dettagli, senza mai cadere alla pur facile retorica di linguaggio. Il film è stato presentato con largo consenso in concorso a Venezia nel 2020, e quindi candidato agli Oscar e ai Golden globe come miglior film straniero. Chissà se la classe politica europea di quegli anni lo ha visto? E se provano ancora oggi un senso di vergogna? Suggeriamo pure la lettura del libro di Francesco Battistini e Marzio Mian “Maledetta Sarajevo. Viaggio nella guerra dei trent’anni. Il Vietnam d’Europa” (Neri Pozza). Non lo avrà visto Kohl in Germania e neanche Chirac in Francia, ne’ Major in Inghilterra e Bill Clinton negli Stati Uniti. E Lamberto Dini allora capo del nostro governo...non crediamo che lo abbia visto, e nemmeno i Prodi i D’Alema i Rutelli e i Bertinotti, Veltroni (lui forse si, dice che ama il cinema), i Fini e i Casini e loro sodali. No, avranno altro da fare, come trenta anni fa.

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