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📰 Schermi Riflessi di Armando Lostaglio: MAURO lo zio d’Argentina Ricordi scaturiti dal libro di Nicola Corona “Il Papa straniero

MAURO lo zio d’Argentina Ricordi scaturiti dal libro di Nicola Corona “Il Papa straniero – Volver” (ed Librìa, 2021)La sua pelle era diventata scura, quasi come quella degli indios. Viveva ormai da circa trent’anni in Argentina, a La Plata, grande agglomerato vicino alla capitale, forse la città più “meridionale” del Sudamerica. Lì aveva portato con sé la moglie e lì nacque l’unica figlia. Ogni sei o sette anni tornava nella sua città di origine, Rionero in Vulture (in Basilicata), lasciata dopo la guerra per quella miseria collettiva che gravava. Laggiù, raccontava, era il nuovo Eldorado, e parlava un gran bene di Peron, il Presidente, il suo Mito. Da queste parti avevamo solo sentito parlare di quel personaggio politico e soprattutto della mitica moglie, Evita. Mauro Capobianco, questo era il suo nome, vantava invece di averli conosciuti. Aveva parentela con il noto regista Tito Capobianco, pure lui della Plata. Quando Mauro ritornava in Italia negli anni ’50, era ancora netta la differenza fra l’economia argentina e quella italiana, soprattutto meridionale. Raccontava di grandi città, di immense distese, pianure coltivate, e poi automobili, tante, industrie, allevamenti di bestiame a iosa. “ Terre quante ne vuoi, case quante ne vuoi ”, usava dire la moglie Angelina (era sorella di mia nonna, si esprimeva in un italiano misto con dialetto e spagnolo) ingenerando non poche invidie fra quei parenti e amici, che trascinavano ancora una esistenza alle prese con i​ drammi della vita contadina. Ma negli anni successivi, quando il “ boom” economico scalfì anche la fragile economia lucana, Mauro notò subito la trasformazione sociale in rapporto con la sua nuova patria. Dalla fine degli anni ’60 in poi vi fu infatti una inversione di tendenza, le due economie si ritrovarono in un rapporto inversamente proporzionale rispetto a quando Mauro era partito. Ma certo non fu solo questo ad aumentare in lui la nostalgia per la sua cittadina del Sud dell’Italia. Raccontava che la sognava spesso come quando ci giocava da bambino. E invece era lì, nella pampas sconfinata a lavorare da autista, fino a quando andò in pensione. Così riusciva a ritornare più spesso, con una maggiore frequenza rispetto a prima. L’ultima volta che venne, negli anni ’70, non voleva più far ritorno a La Plata; rinviava la sua partenza ora per un motivo ora per un altro. Sua moglie ci teneva di più a ritornare, perché la figlia, ormai madre, l’aspettava. E si sa, - ci confidava quasi in lacrime - quando decidono le donne, poi le cose si fanno. Però Mauro ci teneva alla sua Rionero, raccontava una sera d’inverno che prima di morire gli sarebbe bastato arrivare, anche a piedi se necessario, almeno fino a Piano del Conte, a Filiano, da lì guardare la sua città natia e poi girarsi e ritornare, sempre a piedi nell’immenso lontano Sudamerica. Ci sarebbe ritornato a piedi, perché “laddove apri gli occhi per la prima volta, quella - solo quella - è la tua terra”. Scrissi allora per Mauro, fumatore incallito di MS, pelle scura e accento sudamericano, alcuni versi che chiamai Condor . Considerammo l’ipotesi (ma poi non lo feci) di inviarli ad un cantautore genovese, sensibile a queste come ad altre vicende umane, perché magari potesse musicarli. Il cantautore è Ivano Fossati, l’anno il 1989. Poco dopo il cantautore incise l’album “Discanto” che contiene proprio la struggente canzone “Italiani d’Argentina”, dedicata ai tanti genovesi emigrati e che non riuscirono mai più a ritornare. E' stata una felice coincidenza.

 
Condor
“Vorrei arrivare dall’Argentina fino al Pian del Conte
e vedere dalla collina Rionero.
Vorrei vederla...
Di lontano...nell’abbraccio alare del Vulture
E poi tornare indietro. Fino all’Argentina.”
Così diceva. Ma non è più ritornato.
La sua pelle aveva cambiato colore:
scura, come i suoi occhi, oramai.
L’accento è miscuglio
lucano e castigliano.
Così mi appariva in quegli anni adolescenti
lo zio d’America che parlava di noi​
e della terra promessa.
Mentre laggiù, in fondo all’oceano
dall’altra parte del mondo
lo attendeva un emisfero senza più linfa:
immense distese, le pampas, i bovini,
tanta terra, carne e sole da lasciare,
da azzerare al proprio destino.
Invece non è più ritornato lo zio d’America latina
E’ la pampa a ricoprirlo ormai
di terra e di sole. Ormai.
Ma il cielo d’un tratto si è ristretto a ventaglio
La bramea sorride al crepuscolo
e un pezzo di Vulture è volato via
lontano, con lei, sulle ali di un condor.

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