Può accadere che, leggendo un libro, si possano trovare
assonanze o incursioni in questo o quel film che riposa
nella memoria e che magari un brano, una sequenza e
persino una musica lasci riaffiorare. Da tempo leggiamo di
Michele Libutti racconti brevi e di recente anche poesie.
Vige nella sua maniera tenue e nitida il vissuto di un
racconto che fa della quotidianità il pane essenziale del
nutrimento gioioso, quantunque melanconico, dove anche
l’idea della fine appare come un gaio sollievo o la giusta
continuità. E’ come surrogare il tempo che scorre
involontario, giudice implacabile che imbatte la storia come
un auto contro il vento. Il libro di Michele
Libutti (diciassettesima operazione editoriale) si apre con
un racconto toccante, intimista; è quello che dà il titolo al
libro: La badante d’estate. E’ la terza età da filo conduttore,
nella quale (dicevo) anche l’idea della fine appare come
giocoso sollievo. Se però l’autore affondasse un po’ più
nella capacità di eros (senile e non solo), questo racconto
sarebbe un piccolo capolavoro, agito fra la dolcezza dei
sentimenti e la irascibilità che si oppone ad una fine
incombente. Occorre rivedere la scena dei due anziani che
si amavano da ragazzi del film
La notte di San Lorenzo
dei
Fratelli Taviani (del 1982).
Da Libutti ci si aspetta sempre
che la cosiddetta “asticella” potesse alzarsi (finalmente) e
godere di una più ariosa e fantasiosa armonia dei sensi.
Invece l’autore tiene sempre tesa l’espressione
“proporzione” che equivale a dire nella giusta misura,
valore risolutivo sia in ambito estetico che etico e persino
medico. Già, la sua quarantennale professione (medico a
Rionero in V., con laurea in lettere classiche) che lo ha
accompagnato anche e soprattutto nelle vicende umane
che fanno della malattia probabilmente l’esplosione di una
umanità (fisiologica) tenuta a freno. E così il racconto “il
sorriso del lupo” (il terzo di questo libro) ci conduce a
scoprire una malattia rara, il
Les
ossia Lupus eritematoso
sistemico, narrato con tenerezza, la stessa che si prova in
un film (altrettanto raro) come
La storia del cammello che
piange
(diretto da Luigi Falorni
e
Byambasuren Davaa
,
2003):
affetto e compassione nel senso del
cum-
patior
.
Un’ultima considerazione va al racconto (il sesto)
“Vita e opere di Wolfgang Strimmler”, qui Libutti ci invita
alla riscoperta del corpo in maniera filosofale e bizzarra,
che rimanda vagamente allo straordinario film
Il curioso
caso di Benjamin Button
diretto nel 2008 da
David Fincher
(
da un racconto di Scott Fitzgerald
). E’ avvincente ed
emana serenità.
Condividiamo quasi in toto quanto scrive in prefazione
Deana Summa (presente anche in precedenti testi di
Libutti) quando scrive che si tratta della più matura
raccolta di Libutti e per la più consapevole familiarità con
gli strumenti diegetici (...) pur nella asciuttezza essenziale
delle trame. Michele Libutti sa
regalare comunicando e mettendo a nudo parti nascoste,
luoghi e persone, ambiti interiori e stanze di vita
quotidiana; creando o ricordando, non importa... Diventa
una operazione intuitiva del mondo circostante, talvolta
ignorato. Una lettura che sa essere carezzevole o
conturbante, dipende dal nostro approccio con le cose della
vita.
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