“La storia mette un santo in ogni sogno”. E’ uno dei versi cantati come sa fare solo
lui, Tom Waits: Time . Eppure ciò che non è facile trovare è il sogno, il santo, la
storia: la acuta bellezza del verso del cantautore americano ci inquieta ancor più
perché questo tempo (Time, appunto) si è svuotato persino di ogni necessità, non
ci fanno sentire funzionali (e organici) a nessun sistema. Ciò che credevamo risolto
appare d’un tratto sfinito, svenduto. Immorale ed amorale.
Barconi e gommoni premono anche d’inverno sulle coste del Mare Nostrum, e
affondano con i loro carichi di miseria, già prossimi alla fine: un naufragio di civiltà.
L’arte lo scorso 2017 si è confrontata intensamente con le migrazioni: il cinema di
Alejandro Inarritu, di Gianfranco Rosi, dell’artista Ai Weiwei.
Periferie urbane restano a lungo senza legge né luce. E lo sguardo rarefatto va oltre
per non sentirsi complice; annuisce per non macchiarsi di colpe altrui. Gli ultimi
sono ancor più soggiogati, e la classe media ondula nell’illusione (e l’inganno) di
sentirsi padrone del proprio tempo solo quando si riflette negli illusori annunci
della Tv. Questo tempo necessita, eccome, di un santo nel sogno perenne di
riscatto. La storia, questa storia, è bene ribadirlo, non regala più santi.
E intanto questo secolo diventa maggiorenne, compie diciotto anni senza che
nessuno se ne sia accorto: le speranze riposte all’inizio del Duemila non si sono
avverate; anzi, la “Crisi” conclamata da oltre dieci anni e ostentata come alibi ha
fatto deporre le armi alla “speranza del futuro migliore”, prerogativa di questo
nuovo secolo. Il nuovo che avanza non è mai avanzato. Il Papa fa quel che può
nell’incoraggiare gli uomini a guardarsi dentro, a migliorare se stessi nel rapporto
con gli altri, con la diversità, con l’alterità. E’ forse qui che la storia mette un santo
in ogni sogno. Occorre crederci, quale ultimo approdo. E porre argini alla deriva.
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