Un Ricordo di Leonardo Sinisgalli
A trent’anni dalla sua
scomparsa, avvenuta a Roma il 31 gennaio del 1981, Leonardo Sinisgalli, il
poeta-ingegnere di origini lucane, viene commemorato anche mediante ricordi
inediti, come quelli legati ad esperienze in campo letterario e
cinematografico. “Riordinando i miei ricordi, partendo da quella soffitta della
mia casa di Bra, dove venne a girare un suo cortometraggio, mi sono imbattuto
in Leonardo Sinisgalli, stretto amico di mio padre.”
Esordisce così, da queste
memorie infantili, il ricordo che Alberto Alberti, medico piemontese, avrà proprio
di Sinisgalli. Si sofferma anche sull’intenso rapporto che il poeta ha
intrattenuto con l’intellettuale Velso Mucci, frequentatori entrambi di quella villa
di campagna nei pressi di Bra (Cuneo). E in quel luogo Sinisgalli girò il
cortometraggio “Vita silenziosa”. Insieme a lui, quale aiuto regista, vi era un
giovanissimo Marco Ferreri.
“Fu proprio Mucci – dice
Alberti - a far conoscere Sinisgalli alla mia famiglia, e dopo la guerra ne
nacque una lunga ed affettuosa amicizia, con frequenti soggiorni da noi.
Come in un sogno, mi ricordo
di quella volta che proiettarono “Vita
silenziosa”, il documentario che Sinisgalli girò nella soffitta di casa mia
nel 1951; il cortometraggio (più di 2 minuti) venne poi presentato con successo
alla Mostra del Cinema di Venezia.”
Il regista Riccardo Ghione
in un’intervista dirà: “Il suo pezzo era piuttosto curioso. Sinisgalli a Bra aveva trovato una grande quantità di ricordi
ottocenteschi: ha usato un metodo diremmo “gozzaniano”, girando le immagini
come una elegia. Alternava, nelle riprese, sei metri e tre metri di pellicola
per volta. Era il tentativo di creare un “verso” cinematografico, di trovare
cioè una corrispondenza con la metrica poetica”.
Questo è il testo del cortometraggio
“Vita silenziosa” che Alberti ha certosinamente recuperato:
“Non ho dovuto forzare troppo la memoria per ricordarmi il luogo dove
penetrai una sera, al lume di una lucerna. Gli anni lunghi delle province nel
loro corso lentissimo non riescono a consumare il profilo delle cose. Si può
dire che, appena le rimuovono da una stanza all’altra fino a spingerle in
soffitta: e qui il tempo farà cadere molta polvere.
Frugare in questo recesso, con gli ordigni che hanno
così poca vista, accendere per una notte migliaia di candele è stato forse un
gesto sacrilego, ma la tentazione era forte.
In mezzo a tutta la roba buttata alla rinfusa ho
cercato di scontornare quei gruppi che soltanto il caso aveva combinati per
costituire delle tribù.
Gli oggetti riescono meglio degli uomini a trovare
una ragione di reciproca simpatia, ma qui in questa immensa camera le affinità
si sono rivelate così ricche, da mettere in allarme i nostri poveri sensi.
A nessuno di noi è venuto in mente di toccare, sia
pure con la massima cautela e con la punta di un dito uno qualunque dei tanti
cadaveri appesi o ammucchiati davanti ai nostri occhi...” (Leonardo Sinisgalli).
Questi i ricordi del
poeta-ingegnere, recuperati da Alberti che aggiunge:
“Portarono un proiettore, e
la mia fantasia di bambino rimase colpita soprattutto dalle grandi pizze di
alluminio. Ma se chiudo gli occhi rivedo ancora come in sogno una scena del
film, un’inquadratura avvolta in una nebbia grigia…”
Sinisgalli riposa a
Montemurro, nella sua Lucania, e sulla lapide c’è scritto: “Risorgerò tra tre anni o tre secoli, tra raffiche di grandine nel mese
di giugno”.