di Vittorio Baccelli
Possiedo una
casa ai piedi delle colline, lontana dai grandi centri. Ci si arriva da un
paese di due, tremila abitanti per una strada sterrata che poi prosegue salendo
lungo i colli fino a raggiungere fattorie isolate.
Mi era stata commissionata dall’editore una ricerca
sui pericoli, veri o presunti, rappresentati dagli asteroidi che numerosi
vagano nel sistema solare.
Un argomento questo divenuto d’attualità sia per i film hollywoodiani sull’argomento sia perché in un recentissimo passato siamo stati sfiorati da alcune grosse pietre celesti e ce ne siamo accorti solo a rischio passato. Avevo poi recentemente scritto un racconto “Fino all’alba” proprio sull’argomento dell’impatto che più disastroso non si può e questa pubblicazione aveva subito riscosso un buon successo di pubblico e di critica, si dice cosi, no? Insomma era stato stampato da parecchie parti ed era piaciuto. Poiché in città le distrazioni per me erano troppe e questa volta dovevo davvero rispettare una scadenza temporale ben definita, mi sono trasferito a ridosso dei colli e armato del mio fido computer ho iniziato a setacciare il web alla ricerca di notizie aggiornate su questi pericolosi sassi vaganti ai quali i nostri scienziati hanno affibbiato come nome, sigle alfanumeriche. Mi sono così imbattuto nel 2003 QQ 47 del diametro di poco più di un chilometro e che ci passerà vicino il 21.3.2014; abbiamo poi 2002 NT 7 questo del diametro di due chilometri che incroceremo l’1.2.2019; e ancora il 2000 BF 19 del diametro d’ottocento metri che arriverà nelle nostre vicinanze nell’agosto del 2022. Il più pericoloso di tutti è risultato il 1997 XF 11 d’un chilometro e mezzo di diametro e che ci sfiorerà il 26.10.2028. Quest’ultimo passerà accanto alla Terra a soli 954.000 chilometri, almeno secondo i conteggi attuali. I primissimi calcoli fatti al momento della sua scoperta prevedevano l’impatto con noi a quella data. Sembra comunque che il vero pericolo venga proprio da questo e molte pagine web che lo riguardano sono state rimosse. Perché? Per gli iniziali calcoli errati? Ma erano proprio errati quei computi? In definitiva anche se questo pietrone non ci colpirà, nel 2049 avremo il 2000 CU 11 che dovrebbe risultare altrettanto pericoloso. Sempre più incuriosito dalla più rischiosa di queste rocce vaganti, la 1997 XF 11 e dalle pagine rimosse che la riguardano, ho iniziato a vagare in rete alla ricerca di documentazioni sull’ipotetica fine del mondo, è così saltato fuori che secondo l’attendibilissimo calendario maya, questa sarebbe collocata per domenica 23 dicembre 2012. Sì, appuntate questa data, 23 dicembre 2012, poi fate le vostre ultime telefonate, rispondete alle e-mail e risolvete le faccende più urgenti, perché quel fatidico giorno il mondo finirà. O almeno così prevedevano i maya. Secondo le iscrizioni di Palenque, l’antica civiltà precolombiana riteneva che ogni età della storia fosse formata da tredici baktun. Un baktun è un periodo di tempo equivalente a quattrocento tun, ciascuno dei quali è formato da trecentosessanta giorni. Fatti un po’ di calcoli ci stiamo avvicinando in fretta alla fine di quella che i maya avevano denominato, l’Età del Giaguaro. E se è vero che ogni Età finisce con un cataclisma, fra pochi anni il nostro destino potrebbe prendere una svolta definitiva. A conferma di questo, secondo alcuni interventi sempre trovati in rete, la costellazione d’Orione è giunta nella sua posizione più settentrionale dopo un viaggio durato quasi tredicimila anni. Ora se ci rechiamo sul Monte degli Ulivi a Gerusalemme la cintura d’Orione sorgerà proprio sopra il Monte e, su sul suo lato esterno saranno presto visibili i sette pianeti degli antichi, ovvero i sette angeli dell’Apocalisse. Vero? Falso? Sicuramente intrigante questa ricerca che s’è intrecciata con avvistamenti ufo, uomini falena e altre presenze impossibili registrate in vari siti. La ricerca ha così preso una via che definirei traversa e ho scoperto che altri avevano avuto esperienze simili alle mie. In vecchi racconti ho descritto ciò che vidi un giorno di Santa Croce (grande festa nella mia città) alla fine degli anni ’40. Una luce fissa molto alta che scendeva a scalini: “a caduta di foglia” è stato definito questo modo di procedere d’alcuni ufo dai contattasti decenni dopo. Poi negli anni ’60 la mia visione dell’uomo falena fu quella d’un gigantesco pipistrello dell’apertura alare più grande del finestrino del portellone posteriore della mia auto e che mi inseguì per oltre un chilometro mentre guidavo all’impazzata; anche questo accadimento l’ho narrato tempo fa in una mia storia. Ero tanto mai preso da queste nuove ricerche che stavo dimenticando gli asteroidi killer, quando una notte dalla finestra di camera scorsi dei misteriosi bagliori su un colle vicino alla mia casa. Lì non c’era nulla, solo una macchia di giovani castagni piantati dalla Comunità Montana per il rimboschimento e una strada collinare, ormai ridotta a viottolo che partendo proprio dalla mia proprietà attraversava la macchia per poi sbucare, dopo circa un chilometro, sulla provinciale. Al mattino imboccai il viottolo e in breve giunsi nel bel mezzo della macchia. C’era un piccolissimo ruscello che si faceva strada a fatica tra le foglie e i vecchi cardi dei castagni, l’attraversai con un breve balzo e improvvisamente fui circondato dal silenzio. Di mattina non udire alcun rumore in una macchia d’alberi immersa nelle colline è praticamente impossibile in ogni stagione dell’anno. Pensai che qualche predatore forse aveva spaventato gli animali, ma il silenzio era veramente eccessivo anche per una situazione del genere. Fu proprio mentre facevo questa considerazione che una sensazione improvvisa di panico mi colse. Dopo vari istanti di smarrimento feci un salto all’indietro e riattraversai il ruscello. Il terrore che mi aveva attanagliato scomparve all’istante e anche i consueti rumori del bosco ripresero. Ero quanto mai stupito e provai ad attraversare di nuovo il rio: stesso silenzio, stesso panico irrazionale. Tornai indietro velocemente e tutto tornò normale. Mi diressi allora verso casa riproponendomi d’approfondire in seguito la cosa. Quando giunsi alla mia abitazione, vidi che davanti all’ingresso di casa c’era ferma una grossa Mercedes nera con due uomini a bordo. Era di un vecchio modello e normalmente da noi queste auto le usano gli zingari, ma questa era ben tenuta e tutta lucida come se fosse appena uscita dalla fabbrica. Uno dei due scese e mi venne incontro. Vestito con un completo scuro di taglio antiquato, portava una camicia bianca e una grande cravatta a disegni floreali sul tipo di quelle di moda negli anni ’60 al tempo dei beat. Il tessuto dell’abito sembrava troppo leggero, addirittura estivo, sicuramente inadatto per un mattino di fine novembre. Ma mano che si avvicinava con passi incerti, come se durasse fatica a stare in equilibrio, altri particolari strani si stavano manifestando. Innanzi tutto le scarpe avevano un’alta suola di gomma, che così alta non avevo mai visto, lui era di carnagione scura, ma i suoi lineamenti non erano negroidi, anzi erano molto appuntiti. Mi tese la mano, una mano scura e scarna con dita lunghissime e affusolate. La strinsi e la sentii molto calda mentre lui si presentava. Si chiamava Smith e vendeva libri e immagini sacre, o così almeno mi parve dicesse. Lo ringraziai e gli dissi che al momento queste cose non m’interessavano. Lui allora mi salutò e mentre risaliva sull’auto mi sembrò dicesse sottovoce “Lasci perdere i bagliori”. “ Prego? Come ha detto?” ma lui senza rispondere e continuando a salutarmi con la mano mise in moto e partì in direzione delle colline dove c’erano alcuni lontani casolari abitati. Quando rimasi solo non riuscii a ricordare bene cosa avessero voluto vendermi, né cosa m’avessero mostrato. Ero molto perplesso dai vestiti fuori moda e fuori stagione, da quelle strane scarpe dalla suola spropositata. Barcollava mentre camminava e la sua voce aveva un soffio strano in sottofondo come se fosse stato asmatico, inoltre il suo italiano era strascicato, le parole uscivano fuori a fatica. In più l’auto era troppo nuova per esser d’antiquariato e anche troppo pulita per aver viaggiato su una strada sterrata. Anche se ero confuso riguardo alla conversazione, ero certo che m’avesse bisbigliato di lasciar perdere i bagliori. Come poteva sapere che li avevo visti? Pieno di domande mi sedetti automaticamente al computer e nella posta trovai una e-mail del mio editore che sollecitava il lavoro che mi era stato commissionato. Eravamo vicinissimi alla scadenza, decisi così di liberarmi alla svelta da quell’impegno e passai tutto il pomeriggio a stendere l’articolo. Lo rilessi mettendo le correzioni e devo dire che mi sembrò ben fatto, forse un po’ troppo lungo ma di facile lettura. Le foto e i disegni degli asteroidi, scaricati dalla rete, avevano dei copyright e li segnalai, per la pubblicazione se ne sarebbe occupato il mio curatore. Sempre per posta elettronica inviai tutto al mio editore e rimasi così libero di concentrarmi su ciò che mi stava accadendo in quel momento e in quel luogo. Dopo una frugale cena volli tornare nel boschetto: arrivai al ruscello e l’oltrepassai; l’identico panico mi colse mentre un silenzio totale m’avvolgeva. Ma stavolta ero pronto a superare l’impatto emotivo. Mentre tremavo per una paura del tutto irrazionale, mi sforzavo ad andare avanti. Percorsi una cinquantina di metri in linea retta e all’improvviso, così com’era arrivato, il terrore svanì. Segnai con una pietra una linea sul sentiero nel punto esatto in cui il timore era cessato. Ripercorsi all’indietro il sentiero e passata la riga silenzio e terrore si ripresentarono di nuovo e continuarono fino a che non riattraversai il ruscello. S’era fatta ormai notte piena e i bagliori erano ricominciati. Ora mi era evidente che essi nascevano da questa zona che generava paura e silenzio. Ma cosa stava a significare tutto ciò? C’era forse un collegamento con la vecchia Mercedes e i suoi scuri abitanti? – lasci perdere i bagliori –
Un argomento questo divenuto d’attualità sia per i film hollywoodiani sull’argomento sia perché in un recentissimo passato siamo stati sfiorati da alcune grosse pietre celesti e ce ne siamo accorti solo a rischio passato. Avevo poi recentemente scritto un racconto “Fino all’alba” proprio sull’argomento dell’impatto che più disastroso non si può e questa pubblicazione aveva subito riscosso un buon successo di pubblico e di critica, si dice cosi, no? Insomma era stato stampato da parecchie parti ed era piaciuto. Poiché in città le distrazioni per me erano troppe e questa volta dovevo davvero rispettare una scadenza temporale ben definita, mi sono trasferito a ridosso dei colli e armato del mio fido computer ho iniziato a setacciare il web alla ricerca di notizie aggiornate su questi pericolosi sassi vaganti ai quali i nostri scienziati hanno affibbiato come nome, sigle alfanumeriche. Mi sono così imbattuto nel 2003 QQ 47 del diametro di poco più di un chilometro e che ci passerà vicino il 21.3.2014; abbiamo poi 2002 NT 7 questo del diametro di due chilometri che incroceremo l’1.2.2019; e ancora il 2000 BF 19 del diametro d’ottocento metri che arriverà nelle nostre vicinanze nell’agosto del 2022. Il più pericoloso di tutti è risultato il 1997 XF 11 d’un chilometro e mezzo di diametro e che ci sfiorerà il 26.10.2028. Quest’ultimo passerà accanto alla Terra a soli 954.000 chilometri, almeno secondo i conteggi attuali. I primissimi calcoli fatti al momento della sua scoperta prevedevano l’impatto con noi a quella data. Sembra comunque che il vero pericolo venga proprio da questo e molte pagine web che lo riguardano sono state rimosse. Perché? Per gli iniziali calcoli errati? Ma erano proprio errati quei computi? In definitiva anche se questo pietrone non ci colpirà, nel 2049 avremo il 2000 CU 11 che dovrebbe risultare altrettanto pericoloso. Sempre più incuriosito dalla più rischiosa di queste rocce vaganti, la 1997 XF 11 e dalle pagine rimosse che la riguardano, ho iniziato a vagare in rete alla ricerca di documentazioni sull’ipotetica fine del mondo, è così saltato fuori che secondo l’attendibilissimo calendario maya, questa sarebbe collocata per domenica 23 dicembre 2012. Sì, appuntate questa data, 23 dicembre 2012, poi fate le vostre ultime telefonate, rispondete alle e-mail e risolvete le faccende più urgenti, perché quel fatidico giorno il mondo finirà. O almeno così prevedevano i maya. Secondo le iscrizioni di Palenque, l’antica civiltà precolombiana riteneva che ogni età della storia fosse formata da tredici baktun. Un baktun è un periodo di tempo equivalente a quattrocento tun, ciascuno dei quali è formato da trecentosessanta giorni. Fatti un po’ di calcoli ci stiamo avvicinando in fretta alla fine di quella che i maya avevano denominato, l’Età del Giaguaro. E se è vero che ogni Età finisce con un cataclisma, fra pochi anni il nostro destino potrebbe prendere una svolta definitiva. A conferma di questo, secondo alcuni interventi sempre trovati in rete, la costellazione d’Orione è giunta nella sua posizione più settentrionale dopo un viaggio durato quasi tredicimila anni. Ora se ci rechiamo sul Monte degli Ulivi a Gerusalemme la cintura d’Orione sorgerà proprio sopra il Monte e, su sul suo lato esterno saranno presto visibili i sette pianeti degli antichi, ovvero i sette angeli dell’Apocalisse. Vero? Falso? Sicuramente intrigante questa ricerca che s’è intrecciata con avvistamenti ufo, uomini falena e altre presenze impossibili registrate in vari siti. La ricerca ha così preso una via che definirei traversa e ho scoperto che altri avevano avuto esperienze simili alle mie. In vecchi racconti ho descritto ciò che vidi un giorno di Santa Croce (grande festa nella mia città) alla fine degli anni ’40. Una luce fissa molto alta che scendeva a scalini: “a caduta di foglia” è stato definito questo modo di procedere d’alcuni ufo dai contattasti decenni dopo. Poi negli anni ’60 la mia visione dell’uomo falena fu quella d’un gigantesco pipistrello dell’apertura alare più grande del finestrino del portellone posteriore della mia auto e che mi inseguì per oltre un chilometro mentre guidavo all’impazzata; anche questo accadimento l’ho narrato tempo fa in una mia storia. Ero tanto mai preso da queste nuove ricerche che stavo dimenticando gli asteroidi killer, quando una notte dalla finestra di camera scorsi dei misteriosi bagliori su un colle vicino alla mia casa. Lì non c’era nulla, solo una macchia di giovani castagni piantati dalla Comunità Montana per il rimboschimento e una strada collinare, ormai ridotta a viottolo che partendo proprio dalla mia proprietà attraversava la macchia per poi sbucare, dopo circa un chilometro, sulla provinciale. Al mattino imboccai il viottolo e in breve giunsi nel bel mezzo della macchia. C’era un piccolissimo ruscello che si faceva strada a fatica tra le foglie e i vecchi cardi dei castagni, l’attraversai con un breve balzo e improvvisamente fui circondato dal silenzio. Di mattina non udire alcun rumore in una macchia d’alberi immersa nelle colline è praticamente impossibile in ogni stagione dell’anno. Pensai che qualche predatore forse aveva spaventato gli animali, ma il silenzio era veramente eccessivo anche per una situazione del genere. Fu proprio mentre facevo questa considerazione che una sensazione improvvisa di panico mi colse. Dopo vari istanti di smarrimento feci un salto all’indietro e riattraversai il ruscello. Il terrore che mi aveva attanagliato scomparve all’istante e anche i consueti rumori del bosco ripresero. Ero quanto mai stupito e provai ad attraversare di nuovo il rio: stesso silenzio, stesso panico irrazionale. Tornai indietro velocemente e tutto tornò normale. Mi diressi allora verso casa riproponendomi d’approfondire in seguito la cosa. Quando giunsi alla mia abitazione, vidi che davanti all’ingresso di casa c’era ferma una grossa Mercedes nera con due uomini a bordo. Era di un vecchio modello e normalmente da noi queste auto le usano gli zingari, ma questa era ben tenuta e tutta lucida come se fosse appena uscita dalla fabbrica. Uno dei due scese e mi venne incontro. Vestito con un completo scuro di taglio antiquato, portava una camicia bianca e una grande cravatta a disegni floreali sul tipo di quelle di moda negli anni ’60 al tempo dei beat. Il tessuto dell’abito sembrava troppo leggero, addirittura estivo, sicuramente inadatto per un mattino di fine novembre. Ma mano che si avvicinava con passi incerti, come se durasse fatica a stare in equilibrio, altri particolari strani si stavano manifestando. Innanzi tutto le scarpe avevano un’alta suola di gomma, che così alta non avevo mai visto, lui era di carnagione scura, ma i suoi lineamenti non erano negroidi, anzi erano molto appuntiti. Mi tese la mano, una mano scura e scarna con dita lunghissime e affusolate. La strinsi e la sentii molto calda mentre lui si presentava. Si chiamava Smith e vendeva libri e immagini sacre, o così almeno mi parve dicesse. Lo ringraziai e gli dissi che al momento queste cose non m’interessavano. Lui allora mi salutò e mentre risaliva sull’auto mi sembrò dicesse sottovoce “Lasci perdere i bagliori”. “ Prego? Come ha detto?” ma lui senza rispondere e continuando a salutarmi con la mano mise in moto e partì in direzione delle colline dove c’erano alcuni lontani casolari abitati. Quando rimasi solo non riuscii a ricordare bene cosa avessero voluto vendermi, né cosa m’avessero mostrato. Ero molto perplesso dai vestiti fuori moda e fuori stagione, da quelle strane scarpe dalla suola spropositata. Barcollava mentre camminava e la sua voce aveva un soffio strano in sottofondo come se fosse stato asmatico, inoltre il suo italiano era strascicato, le parole uscivano fuori a fatica. In più l’auto era troppo nuova per esser d’antiquariato e anche troppo pulita per aver viaggiato su una strada sterrata. Anche se ero confuso riguardo alla conversazione, ero certo che m’avesse bisbigliato di lasciar perdere i bagliori. Come poteva sapere che li avevo visti? Pieno di domande mi sedetti automaticamente al computer e nella posta trovai una e-mail del mio editore che sollecitava il lavoro che mi era stato commissionato. Eravamo vicinissimi alla scadenza, decisi così di liberarmi alla svelta da quell’impegno e passai tutto il pomeriggio a stendere l’articolo. Lo rilessi mettendo le correzioni e devo dire che mi sembrò ben fatto, forse un po’ troppo lungo ma di facile lettura. Le foto e i disegni degli asteroidi, scaricati dalla rete, avevano dei copyright e li segnalai, per la pubblicazione se ne sarebbe occupato il mio curatore. Sempre per posta elettronica inviai tutto al mio editore e rimasi così libero di concentrarmi su ciò che mi stava accadendo in quel momento e in quel luogo. Dopo una frugale cena volli tornare nel boschetto: arrivai al ruscello e l’oltrepassai; l’identico panico mi colse mentre un silenzio totale m’avvolgeva. Ma stavolta ero pronto a superare l’impatto emotivo. Mentre tremavo per una paura del tutto irrazionale, mi sforzavo ad andare avanti. Percorsi una cinquantina di metri in linea retta e all’improvviso, così com’era arrivato, il terrore svanì. Segnai con una pietra una linea sul sentiero nel punto esatto in cui il timore era cessato. Ripercorsi all’indietro il sentiero e passata la riga silenzio e terrore si ripresentarono di nuovo e continuarono fino a che non riattraversai il ruscello. S’era fatta ormai notte piena e i bagliori erano ricominciati. Ora mi era evidente che essi nascevano da questa zona che generava paura e silenzio. Ma cosa stava a significare tutto ciò? C’era forse un collegamento con la vecchia Mercedes e i suoi scuri abitanti? – lasci perdere i bagliori –
Al mattino il cielo era plumbeo e il computer non ne
voleva sapere di collegarsi mentre il telefono squillava quasi in
continuazione, ma all’altro capo della linea non c’era nessuno e s’udivano
crepitii di statica. Mi misi così a sfogliare vecchie riviste e a riflettere
sulle stranezze di quelle ultime ore. La Mercedes era ripartita verso le
colline e non era tornata indietro, però dopo lunghi e tortuosi giri la strada
sterrata sfociava nella provinciale d’una vallata adiacente. Bisognava però
conoscere bene i cammini per imboccare la via giusta. Forse l’avrà chiesta ai
contadini o qualcuno li avrà accompagnati. Quel pomeriggio mi riscossi dallo
sfogliare le riviste all’arrivo di un’altra Mercedes. Nera, di vecchio modello
e come l’altra sembrava appena uscita dalla fabbrica. Troppo pulita per aver
camminato su una strada sterrata, al suo interno c’erano due uomini scuri di
pelle, ma non negri e come gli altri vestiti da estate: stavolta addirittura in
jeans, polo con maniche corte e scarpe da ginnastica. Quest’ultime con
un’altissima suola di gomma. Ancora una volta questa strana forma delle scarpe,
la carnagione scura, i lineamenti appuntiti, le lunghe dita, l’abbigliamento
incongruo per la stagione. Il guidatore si presentò, disse di chiamarsi Kelley
e mi chiese se avevo visto passare un suo collega, un certo Jones. Risposi che
due giorni prima era passata una Mercedes e che alla guida c’era un certo
Smith. Se l’altro si chiamasse Jones questo non lo sapevo. Questa volta però mi
annotai il numero di targa prima che ripartissero. Intanto il telefono continuò
a squillare a vuoto finchè non lo staccai dalla linea e così lo zittii, almeno
per qualche ora perché poi ricominciò a suonare anche da scollegato. Col
computer invece potevo di nuovo connettermi, così nel sito della motorizzazione
cercai il nome del proprietario dell’auto: avevo il numero di targa, ma quella
targa risultò inesistente, devo comunque dire che mi aspettavo una risposta del
genere e non ne rimasi meravigliato. Ripresi la navigazione sui siti che
parlavano d’ufo e contatti alieni e, scoprii che il maggior numero d’avvistamenti
avviene il mercoledì alle 22. Questo dato statistico era stato rilevato in base
alle segnalazioni provenienti da tutto il mondo: utile? Mah! C’erano anche
intere pagine sui black out che avevano colpito un po’ tutte le nazioni
fortemente industrializzate. Il primo grande black out inseguì il presidente
Johnson nel 1967 dal Texas alle Hawaii. Spesso, ma non sempre i black out sono
stati accompagnati da avvistamenti ufo.
La mattina successiva giunsero due operai delle
linee elettriche e mi dissero che dovevano sostituire alcuni cavi del
collegamento che sale lungo le colline. Dissero di chiamarsi Allen e Brown. “Ma
come mai così tanti cognomi in lingua inglese ultimamente da queste parti?”
chiesi loro, ma non mi dettero alcuna risposta e continuarono a guardarmi come
se non avessero neppure capito cosa stavo loro chiedendo. In seguito si sono
avviati a piedi con due strane borse di pelle nera lucida verso i pali in
successione della linea elettrica. Sono spariti seguendo i piloni; avevano le
stesse caratteristiche degli altri visitatori anche se stavolta erano in tuta
blu, ma una tuta come quelle che si vedono nelle foto degli operai del primo
novecento. Dopo qualche minuto dalla loro partenza mi sono lentamente
incamminato lungo la linea elettrica. Ero curioso di vedere cosa avrebbero
combinato. Quei due sembravano esser arrivati proprio a piedi, non c’era
traccia, infatti, d’alcun mezzo di trasporto nei paraggi. Mentre avanzavo alle
mie spalle giunse un grosso aereo grigio senza contrassegni. Lo guardai mentre
volando s’infilò in una spessa nube bianca e…mai più lo vidi uscire. Come
poteva esser sparito? Non avevo risposte logiche da darmi. Neppure riuscii a
rintracciare i due operai, così dopo una lunga passeggiata me ne tornai a casa.
Davanti alla porta un postino mi stava aspettando. Un postino in divisa e con
la classica borsa a tracolla. Più che reale sembrava l’iconografia d’un
postino, anche lui doveva esser giunto a piedi dal villaggio, anche se questo
distava svariati chilometri. Mi salutò e disse che lo mandava Jones e che
doveva lasciarmi un pacchetto. Dalla sua antiquata borsa estrasse un piccolo
involucro confezionato con carta da pacchi. Me lo porse, poi mi mise davanti un
taccuino con fogli quadrettati e mi chiese di firmare la ricevuta. Rimasi perplesso
alla richiesta della firma ma al momento ero come confuso e non gli chiesi
nulla ma presi una bic da un taschino della mia giacca e meccanicamente posi la
mia firma sul taccuino. Il postino mi prese di mano la penna e la guardò
meravigliato come se non avesse mai visto una penna a sfera. Allora gli dissi
che se voleva poteva tenersela, ma lui me la rese di scatto come imbarazzato.
Salutò e s’avviò a piedi verso le colline mentre io rimasi a guardarlo e mi
riscossi solo quando alle mie spalle giunsero altre tre Mercedes sempre
supervecchie e superlucide. Avanzarono senza fermarsi in direzione delle
colline, a bordo avevano solo i guidatori e mi sembrò avessero tutti la divisa
d’autista. Rimasi a guardarle allontanarsi lungo la sterrata, col pacchetto in
mano, solo più tardi entrai in casa e cominciai a scartarlo. Era confezionato
con carta ondulata grigia color nocciola carta da pacchi, su un lato col
pennarello c’era scritto il mio nome in stampatello. Finii di scartare e saltò
fuori un cellulare color argento. In alto sulla destra stampato in verde c’era
scritto “SONICADH”, sicuramente la marca. Sonicadh? Mai sentita. Il display
sotto il logo era circolare, sotto ancora i tasti disposti in tre file di otto.
Su ogni tasto c’era stampato un asterisco di colore diverso: le file
alternavano il rosso al verde al giallo. Digitai più volte a caso. Ma non
successe niente. Così me lo infilai in una tasca. Il telefono di casa che pur
avevo scollegato continuava ogni tanto a mandare sinistri trilli, il computer
aveva nuovamente cessato di connettersi in rete e pure la corrente elettrica
iniziò a far le bizze. Le luci s’accendevano e si spengevano senza che nessuno
toccasse gli interruttori e qualche lampada dopo un po’ esplose. La tivù
s’accendeva, si spegneva e cambiava i canali in piena autonomia mentre anche
altri elettrodomestici entravano in funzione. Rimasi attonito seduto su una
poltrona del salotto a fissare il bailamme e sembrava d’essere in piena
infestazione poltergeist. Lame di luce accecante sciabolavano dalle finestre
mentre anche i mobili iniziarono a spostarsi. Ebbi la netta sensazione che
fosse successo qualcosa alla gravità mentre, ne ero certo, qualcosa di molto
grande stava lentamente passando proprio sopra la mia casa. Avevo un forte
attacco di vertigini e aspettavo che tutto questo terminasse, infatti,
all’improvviso la casa s’acquietò. Avvertii un certo pizzicore al volto, così
mi recai nel bagno e mi guardai allo specchio. Avevo la faccia arrossata come
se avessi preso troppo sole. Anche il dorso delle mani era arrossato. Mi
spalmai per bene creme idratanti su mani e volto, scesi in cucina e mi preparai
un panino al formaggio: tutto - anche le mie sensazioni - era tornato normale.
Mangiando il panino, uscì e mi avviai a piedi verso il piano. Un oggetto
luminoso molto alto solcò il cielo a zig zag. Questo me l’ero immaginato?
Camminando con cautela raggiunsi il villaggio e acquistai cibo e sigarette. Lo
spaccio locale fungeva anche da bar, mi sedetti a un tavolo davanti ad un
boccale di birra bionda e siccome c’erano altri avventori lì seduti chiesi loro
se avessero visto degli ufo, dei bagliori notturni o delle strane Mercedes. Mi
dissero di no, che non avevano notato niente di strano: ero forse alla ricerca
di trame per qualche nuovo racconto? Dissi di sì e, tutti cominciarono a
ridere. Misi gli acquisti in due sacchetti di plastica e tornai verso casa.
Davanti alla porta d’ingresso era stata lasciata una scatola di cartone delle
dimensioni di una scatola di scarpe. Era fatta di quel sottile ondulato con cui
era stato avvolto anche il telefonino, l’aprii. Dentro c’era un cubo nero della
grandezza d’un palmo di mano, leggero come se fosse di polistirolo, ma ben
solido al tatto e dello stesso calore delle mie mani. Nessuna apertura: lo
scossi, niente. Lo posai sul tavolo. I giorni passarono e persi il conto delle
ore e dei dì mentre vecchie e pulitissime Mercedes transitavano davanti alla
mia casa tutte in direzione dei colli e senza mai tornare indietro. Alcune di
queste si fermarono e dentro c’erano sempre i vari Smith, Jones, Kelley, Adam,
Allen, Brown, con la loro carnagione scura, i lineamenti appuntiti, le dita
delle mani troppo lunghe e affusolate, le suole delle loro scarpe troppo alte,
alle volte con addosso tute, alle volte in jeans, ma nella maggior parte dei
casi con abiti troppo leggeri per questa stagione e fuori moda o troppo avanti
nella moda. Si fermavano, mi chiedevano strane informazioni, tentavano di
vendermi poster o libri, con me sorseggiavano alle volte un tè o un caffè.
* * *
Ora sono loro che mi portano il cibo, le bevande e
le sigarette. Sono tutti abbronzati e possiedono le caratteristiche che vi ho
già più volte descritto, il loro parlare ha sibili in sottofondo e o è
accelerato o è rallentato. Giungono sempre dal villaggio a piedi o con le loro
Mercedes nere d’epoca e se ne ripartono tutti verso i colli. Dovrei andarmene,
qualcosa mi dice che farei bene a tornare in città, ma non lo faccio. La linea
telefonica e quella elettrica sono tornate normali, giro in internet svogliatamente,
non rispondo alla posta. Continuano a passare strani aerei grigi, grossi, senza
insegne, a bassa quota. Talvolta scompaiono a mezz’aria. Nel boschetto di
castagni di notte si susseguono i bagliori. In camera, sul comodino ho una foto
in cornice. Sono raffigurato assieme a una ragazza: non ricordo chi sia, ma so
che l’amo o l’ho amata. Faccio vedere la foto a Kelley, o è Allen? Mi chiede se
ho altro di lei. Frughiamo assieme la casa e troviamo degli abiti femminili,
dei cosmetici semiusati e dei monili. Salta fuori da un libro pure un’altra
foto; qui lei è in costume. Kelley, o è Allen? mette tutte le cose di lei in
una busta metallica e se la porta con sé. Mi ha detto che cercheranno di
trovarla, così potrà farmi compagnia. Passano altri giorni e nelle notti luci
colorate sepre più spesso attraversano il cielo sopra la mia casa. Una mattina
vengo svegliato dal clacson d’una Mercedes parcheggiata proprio davanti alla
mia porta d’ingresso. Vado ad aprire. La Mercedes è nuova ma vecchissima come
modello, più vecchia delle altre. Ha i vetri a specchio, uno sportello si apre
ed esce la ragazza delle foto, mi viene in mente un nome, Serafina. Forse si
chiama Serafina. Indossa il due pezzi della foto, ai piedi scarpe da tennis con
una suola altissima. Ma siamo in pieno inverno! La faccio accomodare, la casa è
calda e accogliente, Serafina è tornata da me, cosa posso volere di più? Un
pensiero in fondo alla mente vuol far capolino per dirmi che lei è morta da
tempo: un disastro aereo. Scaccio questo pensiero sicuramente folle, lei è qui
davanti a me, la sua presenza è rassicurante. Odo un leggero trillo nella casa.
È un rumore nuovo, ne cerco la provenienza. Viene da un cassetto al piano di
sopra, l’apro. È il cellulare che squilla, quello che mi era arrivato per
posta. C’è un messaggio nel tondo display, dice “Se c’è una coscienza
universale, perché dovrebbe esser sana di mente?” leggo perplesso, le parole si
fondono insieme, poi appare la scritta: “Risposta?” Penso “No” ma non so come
digitarlo. Appare la scritta “No” e poi “Grazie per la non risposta”.
* * *
Serafina gira nuda per la casa mentre fa ordine
nelle stanze, due Mercedes nere sono parcheggiate davanti. Una squadra di Jones
è al lavoro lungo i pali della linea telefonica, un piatto disco colorato
svetta nel cielo allontanandosi e avvicinandosi a scatti.
La sera ci sediamo in veranda, l’aria è tiepida,
l’inverno deve essere passato, infatti, lei è in due pezzi e io in pantaloni
corti e t-shirt. Ammiriamo le stelle, le costellazioni sono completamente
diverse da come me le ricordo, ma sono bellissime e poi le mie memorie si sono
incasinate, rammento appena il mio nome e qui tutto è in pace: strano sì, ma in
pace. Per ora, almeno.
Coincidenze
Mentre stavo scrivendo questo racconto, una sera e,
precisamente la sera di martedì 11 novembre 2003, intanto che stavo tornando a
casa con la mia auto dopo un pomeriggio letterario tenutosi a Lucca, alle ore
19.45 all’incirca, successe l’imprevisto. Transitavo lungo la statale 12,
quella dall’Abetone al Brennero e mi trovavo nel Comune di Borgo a Mozzano a
pochi chilometri, due o tre, dal bivio per Anchiano. La luna non era del tutto
piena ma illuminava perfettamente tutti i colli che costellano la strada.
All’improvviso un corpo luminoso sferico, di color giallo e arancione ai poli,
attraversò il cielo proveniente da dietro i colli ove si trova Montecatini,
scomparendo dietro le Apuane in direzione di La Spezia. Rimasi perplesso dalla
luminosità che emanava, nonostante il forte chiaro di luna. Anche la grandezza
dell’oggetto era notevole, considerando che si trovava alla stessa altezza
degli aerei di linea, considerai che per raggiungere quelle dimensioni ne
occorressero almeno cento. L’oggetto sferico viaggiava ad una velocità che
calcolai circa la metà di quella delle stelle cadenti. L’intero arco del cielo
fu attraversato in non più di due, tre secondi.Tutto avvenne nel silenzio più
totale e l’oggetto non lasciò alcuna scia. Nei giorni successivi mi aspettavo
di trovare sulla stampa qualche articolo su questo passaggio, mi dicevo che un
oggetto così grande e luminoso che ha attraversato mezza Italia non poteva
esser stato visto solo da me: invece niente, nessun articolo, nessuna notizia.
Aspettai una diecina di giorni, poi in internet con un motore di ricerca trovai
un sito che registrava tutti gli avvistamenti ufo. Mandai loro una e-mail con
tutti i dati chiedendo se vi erano state altre comunicazioni dell’avvistamento,
ma loro mi risposero che al momento ero il solo ad averlo segnalato, comunque
mi avrebbero tenuto informato. Mi fecero anche tutta una serie di domande
riguardo all’altezza, alla direzione, alla velocità, ecc. Ma la domanda che più
mi fece riflettere fu quella che mi chiedeva se c’erano altre persone al
momento dell’avvistamento. No. Non c’era nessuno. Più ci pensavo più la cosa mi
sembrava strana e impossibile. Su quella via, a quell’ora per circa dieci
minuti non transitò alcuna auto. Ripensandoci più attentamente, c’era la
strada, c’era la luna e c’erano i colli: e basta! Non c’erano veicoli, non
c’erano neppure le luci. Eppure proprio in quella zona dall’altra parte del
Serchio vi sono delle cartiere che illuminano tutta la loro area, insomma di
notte qui l’inquinamento luminoso è notevole. Quella sera non c’erano le auto e
mancavano le luci: i colli si stagliavano in maniera perfetta illuminati dalla
sola luna. Il giorno successivo, facendo la stessa strada tornai a casa alle
venti e rimasi meravigliato che la cena non fosse ancora pronta, pensavo
d’essere in ritardo. Ma non erano le venti, erano solo le diciannove. Mentre il
passaggio dell’oggetto e il periodo di tempo seguente è ben chiaro nella mia
memoria, ho della confusione per quello che riguarda i giorni immediatamente
successivi. A parte quell’ora che non mi torna del giorno dopo, ho la forte
sensazione che qualcosa d’importante mi sia sfuggito. Più ci ripenso più ne
sono convinto. Ho vissuto alcuni giorni a ridosso dell’avvistamento leggermente
confuso e me ne sono accorto solo successivamente. Il centro ufologico
nazionale giorni dopo m’ha confermato che nessun altro ha visto l’ufo, quel dì.