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Autori Underground

AI CONFINI
di Vittorio Baccelli


Possiedo una casa ai piedi delle colline, lontana dai grandi centri. Ci si arriva da un paese di due, tremila abitanti per una strada sterrata che poi prosegue salendo lungo i colli fino a raggiungere fattorie isolate.
Mi era stata commissionata dall’editore una ricerca sui pericoli, veri o presunti, rappresentati dagli asteroidi che numerosi vagano nel sistema solare.
Un argomento questo divenuto d’attualità sia per i film hollywoodiani sull’argomento sia perché in un recentissimo passato siamo stati sfiorati da alcune grosse pietre celesti e ce ne siamo accorti solo a rischio passato. Avevo poi recentemente scritto un racconto “Fino all’alba” proprio sull’argomento dell’impatto che più disastroso non si può e questa pubblicazione aveva subito riscosso un buon successo di pubblico e di critica, si dice cosi, no? Insomma era stato stampato da parecchie parti ed era piaciuto. Poiché in città le distrazioni per me erano troppe e questa volta dovevo davvero rispettare una scadenza temporale ben definita, mi sono trasferito a ridosso dei colli e armato del mio fido computer ho iniziato a setacciare il web alla ricerca di notizie aggiornate su questi pericolosi sassi vaganti ai quali i nostri scienziati hanno affibbiato come nome, sigle alfanumeriche. Mi sono così imbattuto nel 2003 QQ 47 del diametro di poco più di un chilometro e che ci passerà vicino il 21.3.2014; abbiamo poi 2002 NT 7 questo del diametro di due chilometri che incroceremo l’1.2.2019; e ancora il 2000 BF 19 del diametro d’ottocento metri che arriverà nelle nostre vicinanze nell’agosto del 2022. Il più pericoloso di tutti è risultato il 1997 XF 11 d’un chilometro e mezzo di diametro e che ci sfiorerà il 26.10.2028. Quest’ultimo passerà accanto alla Terra a soli 954.000 chilometri, almeno secondo i conteggi attuali. I primissimi calcoli fatti al momento della sua scoperta prevedevano l’impatto con noi a quella data. Sembra comunque che il vero pericolo venga proprio da questo e molte pagine web che lo riguardano sono state rimosse. Perché? Per gli iniziali calcoli errati? Ma erano proprio errati quei computi? In definitiva anche se questo pietrone non ci colpirà, nel 2049 avremo il 2000 CU 11 che dovrebbe risultare altrettanto pericoloso. Sempre più incuriosito dalla più rischiosa di queste rocce vaganti, la 1997 XF 11 e dalle pagine rimosse che la riguardano, ho iniziato a vagare in rete alla ricerca di documentazioni sull’ipotetica fine del mondo, è così saltato fuori che secondo l’attendibilissimo calendario maya, questa sarebbe collocata per domenica 23 dicembre 2012. Sì, appuntate questa data, 23 dicembre 2012, poi fate le vostre ultime telefonate, rispondete alle e-mail e risolvete le faccende più urgenti, perché quel fatidico giorno il mondo finirà. O almeno così prevedevano i maya. Secondo le iscrizioni di Palenque, l’antica civiltà precolombiana riteneva che ogni età della storia fosse formata da tredici baktun. Un baktun è un periodo di tempo equivalente a quattrocento tun, ciascuno dei quali è formato da trecentosessanta giorni. Fatti un po’ di calcoli ci stiamo avvicinando in fretta alla fine di quella che i maya avevano denominato, l’Età del Giaguaro. E se è vero che ogni Età finisce con un cataclisma, fra pochi anni il nostro destino potrebbe prendere una svolta definitiva. A conferma di questo, secondo alcuni interventi sempre trovati in rete, la costellazione d’Orione è giunta nella sua posizione più settentrionale dopo un viaggio durato quasi tredicimila anni. Ora se ci rechiamo sul  Monte degli Ulivi a Gerusalemme la cintura d’Orione sorgerà proprio sopra il Monte e, su sul suo lato esterno saranno presto visibili i sette pianeti degli antichi, ovvero i sette angeli dell’Apocalisse. Vero? Falso? Sicuramente intrigante questa ricerca che s’è intrecciata con avvistamenti ufo, uomini falena e altre presenze impossibili registrate in vari siti. La ricerca ha così preso una via che definirei traversa e ho scoperto che altri avevano avuto esperienze simili alle mie. In vecchi racconti ho descritto ciò che vidi un giorno di Santa Croce (grande festa nella mia città) alla fine degli anni ’40. Una luce fissa molto alta che scendeva a scalini: “a caduta di foglia” è stato definito questo modo di procedere d’alcuni ufo dai contattasti decenni dopo. Poi negli anni ’60 la mia visione dell’uomo falena fu quella d’un gigantesco pipistrello dell’apertura alare più grande del finestrino del portellone posteriore della mia auto e che mi inseguì per oltre un chilometro mentre guidavo all’impazzata; anche questo accadimento l’ho narrato tempo fa in una mia storia. Ero tanto mai preso da queste nuove ricerche che stavo dimenticando gli asteroidi killer, quando una notte dalla finestra di camera scorsi dei misteriosi bagliori su un colle vicino alla mia casa. Lì non c’era nulla, solo una macchia di giovani castagni piantati dalla Comunità Montana per il rimboschimento e una strada collinare, ormai ridotta a viottolo che partendo proprio dalla mia proprietà attraversava la macchia per poi sbucare, dopo circa un chilometro, sulla provinciale. Al mattino imboccai il viottolo e in breve giunsi nel bel mezzo della macchia. C’era un piccolissimo ruscello che si faceva strada a fatica tra le foglie e i vecchi cardi dei castagni, l’attraversai con un breve balzo e improvvisamente fui circondato dal silenzio. Di mattina non udire alcun rumore in una macchia d’alberi immersa nelle colline è praticamente impossibile in ogni stagione dell’anno. Pensai che qualche predatore forse aveva spaventato gli animali, ma il silenzio era veramente eccessivo anche per una situazione del genere. Fu proprio mentre facevo questa considerazione che una sensazione improvvisa di panico mi colse. Dopo vari istanti di smarrimento feci un salto all’indietro e riattraversai il ruscello. Il terrore che mi aveva attanagliato scomparve all’istante e anche i consueti rumori del bosco ripresero. Ero quanto mai stupito e provai ad attraversare di nuovo il rio: stesso silenzio, stesso panico irrazionale. Tornai indietro velocemente e tutto tornò normale. Mi diressi allora verso casa riproponendomi d’approfondire in seguito la cosa. Quando giunsi alla mia abitazione, vidi che davanti all’ingresso di casa c’era ferma una grossa Mercedes nera con due uomini a bordo. Era di un vecchio modello e normalmente da noi queste auto le usano gli zingari, ma questa era ben tenuta e tutta lucida come se fosse appena uscita dalla fabbrica. Uno dei due scese e mi venne incontro. Vestito con un completo scuro di taglio antiquato, portava una camicia bianca e una grande cravatta a disegni floreali sul tipo di quelle di moda negli anni ’60 al tempo dei beat. Il tessuto dell’abito sembrava troppo leggero, addirittura estivo, sicuramente inadatto per un mattino di fine novembre. Ma mano che si avvicinava con passi incerti, come se durasse fatica a stare in equilibrio, altri particolari strani si stavano manifestando. Innanzi tutto le scarpe avevano un’alta suola di gomma, che così alta non avevo mai visto, lui era di carnagione scura, ma i suoi lineamenti non erano negroidi, anzi erano molto appuntiti. Mi tese la mano, una mano scura e scarna con dita lunghissime e affusolate. La strinsi e la sentii molto calda mentre lui si presentava. Si chiamava Smith e vendeva libri e immagini sacre, o così almeno mi parve dicesse. Lo ringraziai e gli dissi che al momento queste cose non m’interessavano. Lui allora mi salutò e mentre risaliva sull’auto mi sembrò dicesse sottovoce “Lasci perdere i bagliori”. “ Prego? Come ha detto?” ma lui senza rispondere e continuando a salutarmi con la mano mise in moto e partì in direzione delle colline dove c’erano alcuni lontani casolari abitati. Quando rimasi solo non riuscii a ricordare bene cosa avessero voluto vendermi, né cosa m’avessero mostrato. Ero molto perplesso dai vestiti fuori moda e fuori stagione, da quelle strane scarpe dalla suola spropositata. Barcollava mentre camminava e la sua voce aveva un soffio strano in sottofondo come se fosse stato asmatico, inoltre il suo italiano era strascicato, le parole uscivano fuori a fatica. In più l’auto era troppo nuova per esser d’antiquariato e anche troppo pulita per aver viaggiato su una strada sterrata. Anche se ero confuso riguardo alla conversazione, ero certo che m’avesse bisbigliato di lasciar perdere i bagliori. Come poteva sapere che li avevo visti? Pieno di domande mi sedetti automaticamente al computer e nella posta trovai una e-mail del mio editore che sollecitava il lavoro che mi era stato commissionato. Eravamo vicinissimi alla scadenza, decisi così di liberarmi alla svelta da quell’impegno e passai tutto il pomeriggio a stendere l’articolo. Lo rilessi mettendo le correzioni e devo dire che mi sembrò ben fatto, forse un po’ troppo lungo ma di facile lettura. Le foto e i disegni degli asteroidi, scaricati dalla rete, avevano dei copyright e li segnalai, per la pubblicazione se ne sarebbe occupato il mio curatore. Sempre per posta elettronica inviai tutto al mio editore e rimasi così libero di concentrarmi su ciò che mi stava accadendo in quel momento e in quel luogo. Dopo una frugale cena volli tornare nel boschetto: arrivai al ruscello e l’oltrepassai; l’identico panico mi colse mentre un silenzio totale m’avvolgeva. Ma stavolta ero pronto a superare l’impatto emotivo. Mentre tremavo per una paura del tutto irrazionale, mi sforzavo ad andare avanti. Percorsi una cinquantina di metri in linea retta e all’improvviso, così com’era arrivato, il terrore svanì. Segnai con una pietra una linea sul sentiero nel punto esatto in cui il timore era cessato. Ripercorsi all’indietro il sentiero e passata la riga silenzio e terrore si ripresentarono di nuovo e continuarono fino a che non riattraversai il ruscello. S’era fatta ormai notte piena e i bagliori erano ricominciati. Ora mi era evidente che essi nascevano da questa zona che generava paura e silenzio. Ma cosa stava a significare tutto ciò? C’era forse un collegamento con la vecchia Mercedes e i suoi scuri abitanti?       – lasci perdere i bagliori
Al mattino il cielo era plumbeo e il computer non ne voleva sapere di collegarsi mentre il telefono squillava quasi in continuazione, ma all’altro capo della linea non c’era nessuno e s’udivano crepitii di statica. Mi misi così a sfogliare vecchie riviste e a riflettere sulle stranezze di quelle ultime ore. La Mercedes era ripartita verso le colline e non era tornata indietro, però dopo lunghi e tortuosi giri la strada sterrata sfociava nella provinciale d’una vallata adiacente. Bisognava però conoscere bene i cammini per imboccare la via giusta. Forse l’avrà chiesta ai contadini o qualcuno li avrà accompagnati. Quel pomeriggio mi riscossi dallo sfogliare le riviste all’arrivo di un’altra Mercedes. Nera, di vecchio modello e come l’altra sembrava appena uscita dalla fabbrica. Troppo pulita per aver camminato su una strada sterrata, al suo interno c’erano due uomini scuri di pelle, ma non negri e come gli altri vestiti da estate: stavolta addirittura in jeans, polo con maniche corte e scarpe da ginnastica. Quest’ultime con un’altissima suola di gomma. Ancora una volta questa strana forma delle scarpe, la carnagione scura, i lineamenti appuntiti, le lunghe dita, l’abbigliamento incongruo per la stagione. Il guidatore si presentò, disse di chiamarsi Kelley e mi chiese se avevo visto passare un suo collega, un certo Jones. Risposi che due giorni prima era passata una Mercedes e che alla guida c’era un certo Smith. Se l’altro si chiamasse Jones questo non lo sapevo. Questa volta però mi annotai il numero di targa prima che ripartissero. Intanto il telefono continuò a squillare a vuoto finchè non lo staccai dalla linea e così lo zittii, almeno per qualche ora perché poi ricominciò a suonare anche da scollegato. Col computer invece potevo di nuovo connettermi, così nel sito della motorizzazione cercai il nome del proprietario dell’auto: avevo il numero di targa, ma quella targa risultò inesistente, devo comunque dire che mi aspettavo una risposta del genere e non ne rimasi meravigliato. Ripresi la navigazione sui siti che parlavano d’ufo e contatti alieni e, scoprii che il maggior numero d’avvistamenti avviene il mercoledì alle 22. Questo dato statistico era stato rilevato in base alle segnalazioni provenienti da tutto il mondo: utile? Mah! C’erano anche intere pagine sui black out che avevano colpito un po’ tutte le nazioni fortemente industrializzate. Il primo grande black out inseguì il presidente Johnson nel 1967 dal Texas alle Hawaii. Spesso, ma non sempre i black out sono stati accompagnati da avvistamenti ufo.
La mattina successiva giunsero due operai delle linee elettriche e mi dissero che dovevano sostituire alcuni cavi del collegamento che sale lungo le colline. Dissero di chiamarsi Allen e Brown. “Ma come mai così tanti cognomi in lingua inglese ultimamente da queste parti?” chiesi loro, ma non mi dettero alcuna risposta e continuarono a guardarmi come se non avessero neppure capito cosa stavo loro chiedendo. In seguito si sono avviati a piedi con due strane borse di pelle nera lucida verso i pali in successione della linea elettrica. Sono spariti seguendo i piloni; avevano le stesse caratteristiche degli altri visitatori anche se stavolta erano in tuta blu, ma una tuta come quelle che si vedono nelle foto degli operai del primo novecento. Dopo qualche minuto dalla loro partenza mi sono lentamente incamminato lungo la linea elettrica. Ero curioso di vedere cosa avrebbero combinato. Quei due sembravano esser arrivati proprio a piedi, non c’era traccia, infatti, d’alcun mezzo di trasporto nei paraggi. Mentre avanzavo alle mie spalle giunse un grosso aereo grigio senza contrassegni. Lo guardai mentre volando s’infilò in una spessa nube bianca e…mai più lo vidi uscire. Come poteva esser sparito? Non avevo risposte logiche da darmi. Neppure riuscii a rintracciare i due operai, così dopo una lunga passeggiata me ne tornai a casa. Davanti alla porta un postino mi stava aspettando. Un postino in divisa e con la classica borsa a tracolla. Più che reale sembrava l’iconografia d’un postino, anche lui doveva esser giunto a piedi dal villaggio, anche se questo distava svariati chilometri. Mi salutò e disse che lo mandava Jones e che doveva lasciarmi un pacchetto. Dalla sua antiquata borsa estrasse un piccolo involucro confezionato con carta da pacchi. Me lo porse, poi mi mise davanti un taccuino con fogli quadrettati e mi chiese di firmare la ricevuta. Rimasi perplesso alla richiesta della firma ma al momento ero come confuso e non gli chiesi nulla ma presi una bic da un taschino della mia giacca e meccanicamente posi la mia firma sul taccuino. Il postino mi prese di mano la penna e la guardò meravigliato come se non avesse mai visto una penna a sfera. Allora gli dissi che se voleva poteva tenersela, ma lui me la rese di scatto come imbarazzato. Salutò e s’avviò a piedi verso le colline mentre io rimasi a guardarlo e mi riscossi solo quando alle mie spalle giunsero altre tre Mercedes sempre supervecchie e superlucide. Avanzarono senza fermarsi in direzione delle colline, a bordo avevano solo i guidatori e mi sembrò avessero tutti la divisa d’autista. Rimasi a guardarle allontanarsi lungo la sterrata, col pacchetto in mano, solo più tardi entrai in casa e cominciai a scartarlo. Era confezionato con carta ondulata grigia color nocciola carta da pacchi, su un lato col pennarello c’era scritto il mio nome in stampatello. Finii di scartare e saltò fuori un cellulare color argento. In alto sulla destra stampato in verde c’era scritto “SONICADH”, sicuramente la marca. Sonicadh? Mai sentita. Il display sotto il logo era circolare, sotto ancora i tasti disposti in tre file di otto. Su ogni tasto c’era stampato un asterisco di colore diverso: le file alternavano il rosso al verde al giallo. Digitai più volte a caso. Ma non successe niente. Così me lo infilai in una tasca. Il telefono di casa che pur avevo scollegato continuava ogni tanto a mandare sinistri trilli, il computer aveva nuovamente cessato di connettersi in rete e pure la corrente elettrica iniziò a far le bizze. Le luci s’accendevano e si spengevano senza che nessuno toccasse gli interruttori e qualche lampada dopo un po’ esplose. La tivù s’accendeva, si spegneva e cambiava i canali in piena autonomia mentre anche altri elettrodomestici entravano in funzione. Rimasi attonito seduto su una poltrona del salotto a fissare il bailamme e sembrava d’essere in piena infestazione poltergeist. Lame di luce accecante sciabolavano dalle finestre mentre anche i mobili iniziarono a spostarsi. Ebbi la netta sensazione che fosse successo qualcosa alla gravità mentre, ne ero certo, qualcosa di molto grande stava lentamente passando proprio sopra la mia casa. Avevo un forte attacco di vertigini e aspettavo che tutto questo terminasse, infatti, all’improvviso la casa s’acquietò. Avvertii un certo pizzicore al volto, così mi recai nel bagno e mi guardai allo specchio. Avevo la faccia arrossata come se avessi preso troppo sole. Anche il dorso delle mani era arrossato. Mi spalmai per bene creme idratanti su mani e volto, scesi in cucina e mi preparai un panino al formaggio: tutto - anche le mie sensazioni - era tornato normale. Mangiando il panino, uscì e mi avviai a piedi verso il piano. Un oggetto luminoso molto alto solcò il cielo a zig zag. Questo me l’ero immaginato? Camminando con cautela raggiunsi il villaggio e acquistai cibo e sigarette. Lo spaccio locale fungeva anche da bar, mi sedetti a un tavolo davanti ad un boccale di birra bionda e siccome c’erano altri avventori lì seduti chiesi loro se avessero visto degli ufo, dei bagliori notturni o delle strane Mercedes. Mi dissero di no, che non avevano notato niente di strano: ero forse alla ricerca di trame per qualche nuovo racconto? Dissi di sì e, tutti cominciarono a ridere. Misi gli acquisti in due sacchetti di plastica e tornai verso casa. Davanti alla porta d’ingresso era stata lasciata una scatola di cartone delle dimensioni di una scatola di scarpe. Era fatta di quel sottile ondulato con cui era stato avvolto anche il telefonino, l’aprii. Dentro c’era un cubo nero della grandezza d’un palmo di mano, leggero come se fosse di polistirolo, ma ben solido al tatto e dello stesso calore delle mie mani. Nessuna apertura: lo scossi, niente. Lo posai sul tavolo. I giorni passarono e persi il conto delle ore e dei dì mentre vecchie e pulitissime Mercedes transitavano davanti alla mia casa tutte in direzione dei colli e senza mai tornare indietro. Alcune di queste si fermarono e dentro c’erano sempre i vari Smith, Jones, Kelley, Adam, Allen, Brown, con la loro carnagione scura, i lineamenti appuntiti, le dita delle mani troppo lunghe e affusolate, le suole delle loro scarpe troppo alte, alle volte con addosso tute, alle volte in jeans, ma nella maggior parte dei casi con abiti troppo leggeri per questa stagione e fuori moda o troppo avanti nella moda. Si fermavano, mi chiedevano strane informazioni, tentavano di vendermi poster o libri, con me sorseggiavano alle volte un tè o un caffè.

* * *

Ora sono loro che mi portano il cibo, le bevande e le sigarette. Sono tutti abbronzati e possiedono le caratteristiche che vi ho già più volte descritto, il loro parlare ha sibili in sottofondo e o è accelerato o è rallentato. Giungono sempre dal villaggio a piedi o con le loro Mercedes nere d’epoca e se ne ripartono tutti verso i colli. Dovrei andarmene, qualcosa mi dice che farei bene a tornare in città, ma non lo faccio. La linea telefonica e quella elettrica sono tornate normali, giro in internet svogliatamente, non rispondo alla posta. Continuano a passare strani aerei grigi, grossi, senza insegne, a bassa quota. Talvolta scompaiono a mezz’aria. Nel boschetto di castagni di notte si susseguono i bagliori. In camera, sul comodino ho una foto in cornice. Sono raffigurato assieme a una ragazza: non ricordo chi sia, ma so che l’amo o l’ho amata. Faccio vedere la foto a Kelley, o è Allen? Mi chiede se ho altro di lei. Frughiamo assieme la casa e troviamo degli abiti femminili, dei cosmetici semiusati e dei monili. Salta fuori da un libro pure un’altra foto; qui lei è in costume. Kelley, o è Allen? mette tutte le cose di lei in una busta metallica e se la porta con sé. Mi ha detto che cercheranno di trovarla, così potrà farmi compagnia. Passano altri giorni e nelle notti luci colorate sepre più spesso attraversano il cielo sopra la mia casa. Una mattina vengo svegliato dal clacson d’una Mercedes parcheggiata proprio davanti alla mia porta d’ingresso. Vado ad aprire. La Mercedes è nuova ma vecchissima come modello, più vecchia delle altre. Ha i vetri a specchio, uno sportello si apre ed esce la ragazza delle foto, mi viene in mente un nome, Serafina. Forse si chiama Serafina. Indossa il due pezzi della foto, ai piedi scarpe da tennis con una suola altissima. Ma siamo in pieno inverno! La faccio accomodare, la casa è calda e accogliente, Serafina è tornata da me, cosa posso volere di più? Un pensiero in fondo alla mente vuol far capolino per dirmi che lei è morta da tempo: un disastro aereo. Scaccio questo pensiero sicuramente folle, lei è qui davanti a me, la sua presenza è rassicurante. Odo un leggero trillo nella casa. È un rumore nuovo, ne cerco la provenienza. Viene da un cassetto al piano di sopra, l’apro. È il cellulare che squilla, quello che mi era arrivato per posta. C’è un messaggio nel tondo display, dice “Se c’è una coscienza universale, perché dovrebbe esser sana di mente?” leggo perplesso, le parole si fondono insieme, poi appare la scritta: “Risposta?” Penso “No” ma non so come digitarlo. Appare la scritta “No” e poi “Grazie per la non risposta”.

* * *
Serafina gira nuda per la casa mentre fa ordine nelle stanze, due Mercedes nere sono parcheggiate davanti. Una squadra di Jones è al lavoro lungo i pali della linea telefonica, un piatto disco colorato svetta nel cielo allontanandosi e avvicinandosi a scatti.
La sera ci sediamo in veranda, l’aria è tiepida, l’inverno deve essere passato, infatti, lei è in due pezzi e io in pantaloni corti e t-shirt. Ammiriamo le stelle, le costellazioni sono completamente diverse da come me le ricordo, ma sono bellissime e poi le mie memorie si sono incasinate, rammento appena il mio nome e qui tutto è in pace: strano sì, ma in pace. Per ora, almeno.

Coincidenze

Mentre stavo scrivendo questo racconto, una sera e, precisamente la sera di martedì 11 novembre 2003, intanto che stavo tornando a casa con la mia auto dopo un pomeriggio letterario tenutosi a Lucca, alle ore 19.45 all’incirca, successe l’imprevisto. Transitavo lungo la statale 12, quella dall’Abetone al Brennero e mi trovavo nel Comune di Borgo a Mozzano a pochi chilometri, due o tre, dal bivio per Anchiano. La luna non era del tutto piena ma illuminava perfettamente tutti i colli che costellano la strada. All’improvviso un corpo luminoso sferico, di color giallo e arancione ai poli, attraversò il cielo proveniente da dietro i colli ove si trova Montecatini, scomparendo dietro le Apuane in direzione di La Spezia. Rimasi perplesso dalla luminosità che emanava, nonostante il forte chiaro di luna. Anche la grandezza dell’oggetto era notevole, considerando che si trovava alla stessa altezza degli aerei di linea, considerai che per raggiungere quelle dimensioni ne occorressero almeno cento. L’oggetto sferico viaggiava ad una velocità che calcolai circa la metà di quella delle stelle cadenti. L’intero arco del cielo fu attraversato in non più di due, tre secondi.Tutto avvenne nel silenzio più totale e l’oggetto non lasciò alcuna scia. Nei giorni successivi mi aspettavo di trovare sulla stampa qualche articolo su questo passaggio, mi dicevo che un oggetto così grande e luminoso che ha attraversato mezza Italia non poteva esser stato visto solo da me: invece niente, nessun articolo, nessuna notizia. Aspettai una diecina di giorni, poi in internet con un motore di ricerca trovai un sito che registrava tutti gli avvistamenti ufo. Mandai loro una e-mail con tutti i dati chiedendo se vi erano state altre comunicazioni dell’avvistamento, ma loro mi risposero che al momento ero il solo ad averlo segnalato, comunque mi avrebbero tenuto informato. Mi fecero anche tutta una serie di domande riguardo all’altezza, alla direzione, alla velocità, ecc. Ma la domanda che più mi fece riflettere fu quella che mi chiedeva se c’erano altre persone al momento dell’avvistamento. No. Non c’era nessuno. Più ci pensavo più la cosa mi sembrava strana e impossibile. Su quella via, a quell’ora per circa dieci minuti non transitò alcuna auto. Ripensandoci più attentamente, c’era la strada, c’era la luna e c’erano i colli: e basta! Non c’erano veicoli, non c’erano neppure le luci. Eppure proprio in quella zona dall’altra parte del Serchio vi sono delle cartiere che illuminano tutta la loro area, insomma di notte qui l’inquinamento luminoso è notevole. Quella sera non c’erano le auto e mancavano le luci: i colli si stagliavano in maniera perfetta illuminati dalla sola luna. Il giorno successivo, facendo la stessa strada tornai a casa alle venti e rimasi meravigliato che la cena non fosse ancora pronta, pensavo d’essere in ritardo. Ma non erano le venti, erano solo le diciannove. Mentre il passaggio dell’oggetto e il periodo di tempo seguente è ben chiaro nella mia memoria, ho della confusione per quello che riguarda i giorni immediatamente successivi. A parte quell’ora che non mi torna del giorno dopo, ho la forte sensazione che qualcosa d’importante mi sia sfuggito. Più ci ripenso più ne sono convinto. Ho vissuto alcuni giorni a ridosso dell’avvistamento leggermente confuso e me ne sono accorto solo successivamente. Il centro ufologico nazionale giorni dopo m’ha confermato che nessun altro ha visto l’ufo, quel dì.

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