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VINCENZO PLASTINO, UN DELICATO POETA RIONERESE

Autore di numerose poesie è purtroppo del tutto sconosciuto 
“ O quanta paziente opra di secoli / ti grava addosso, ne l’immenso azzurro / del tuo cielo lucano, o solitario / Vulture ameno! / Ne l’onta ignava dei silenzi cupi, / ora vigili il verde, alto, de’ piani / i cosparsi villagi, e il lembo estremo / l’Aufido mugge; / vigili il degradar blando de’ colli, / la pace antica de’ pascenti buoi, / il travaglio de gli uomini; e festosa / la vaporiera / ne la fuga de’ clivi alita e fischia, / e tu rimani, come un monumento, / ne l’incontaminata aura de’ cieli, / muto e superbo.”

Con questi meravigliosi versi, tratti dall’opera “ il Poema dei Fati” Vincenzo Maria Plastino saluta il suo bel Vulture, la montagna che sovrasta la cittadina di Rionero.
Un poeta semplice, delicato, di grande sensibilità paragonato, in un certo qual modo, a Giovanni Pascoli, col suo “fanciullino”. Infatti, Vincenzo Maria Plastino amò le forme della sua arte con entusiasmo  bambino, che in lui era animato da una spiritualità fervente e da uno sconfinato bisogno di credere nell’ideale e di rifugiarvisi tutto, con tutto il suo sogno di bontà e di perfezionamento umano.
Vincenzo Maria Plastino, figlio di Antonio e di Lucia Labella, è nato a Rionero in Vulture il 12 febbraio 1877 e morto prematuramente il 21 ottobre 1915, all’età di 38 anni.  Il 21 aprile 1909 aveva sposato Carmela Plastino.
 Secondo di altri due fratelli, Emilio, colonnello del genio e Michele  ( 1881-1933), studiò prima a Melfi e poi a Napoli, dove si formò una cultura che poi da solo ampliò.  Indubbiamente la freschezza e l’originalità dei suoi versi  sono dovute proprio all’aver studiato e fatto molto da sé, con la visione della rigogliosa natura della sua terra e al cospetto del maestoso monte Vulture. Insegnante di scuola elementare si dedicò con passione all’elevazione culturale dei suoi alunni senza perdere però di vista la sua passione per la poesia e non solo. Pubblicò nel 1903 “ Quinto Fabio Quintiliano”, Saggio di critica pedagogica e sociale e nel 1904 “La Patria e i suoi eroi. Nozioni di storia e geografia per gli alunni della IV classe elementare. 
Il suo talento letterario e  la limpidezza della sua poesia non sfuggirono al senatore Giustino Fortunato che con grande generosità protesse e incoraggiò il suo concittadino, avendo, col suo acume, colto il lui una persona degna di attenzione.
Vincenzo Maria Plastino, uomo di profonda cultura già nel 1903 pubblicò  un fascicolo di densi studi di “Critica sociale”. Pubblicò ancora una raccolta di versi “ Fogli e fiori.Iuvenilia ( 1894)  , un romanzo “Osanna”( 1903), e lasciò inediti due interessanti studi di indole critica: “L’ideale pedagogico nella rivoluzione francese” e “Principi di antropofosia”.Indagine critica sull’evoluzione storica del pensiero pedagogico.
Interessante anche la sua conferenza tenuta al Congresso Magistrale di Melfi e pubblicata nel 1912. Notevole anche i suoi contributi al quindicinale politico letterario “Corriere Lucano”, diretto da gli insegnanti Vincenzo Solimene ( 1851-1903) di Forenza, ma in servizio a Rionero in Vulture  e il rionerese  Giovanni Plastino ( 1846-1893). Collaborò anche con i periodici “Quinto OrazioFlacco”, giornale di Venosa e “Eco”, giornale di Potenza.
Pubblicò ancora, fra l’altro, la raccolta di Versi “Il Natale” nel 1892 e, , “ Su le condizioni presenti e l’avvenire agricolo della Basilicata”, in la “Nuova Gazzetta Venosina” n. 297, anno VIII del 31.12.1899.
Ma il lavoro che annovera Vincenzo Maria Plastino fra i poeti meritevole di grande attenzione è senza dubbio la raccolta dal titolo “ il Poema dei Fati”,
edito a Melfi nel 1902 dalla tipografia Giuseppe Grieco. Si tratta di una raccolta, piccola di mole,  ma densa di anima e di pensiero, tutta sfavillante di immagini,
varia di ritmi e di movenze poetiche, dalle più antiche alle più nuove, poliforme e policorde. Il volumetto porta questa dedica: “Alla tua santa memoria o mio povero padre!”, con la quale Vincenzo Maria Plastino esprime tutta la gratitudine di un figlio devoto nei confronti  del  genitore, memore dei sacrifici fatti da questi  per la famiglia in tempi non certo facili in un piccolo paese di provincia.
Circostanza che esalta ancor di più l’arte poetica di Vincenzo Maria Plastino, sorretto da una incrollabile fede nel suo talento. Infatti, così si esprime : “ O superbo ideal di giovinezza, radiante di amore, o Gloria, amica / di sole, di battaglie, e di tristezza,  / balza dal ritmo del la strofa antica; sorride a te la Musa intemerata, / che sol di lotte e di miserie ha cura, / mentre percote la sua furia alata / contro i vigliacchi, che non han paura; / in te l’anima esulta e si tormenta / nel dubbio eterno, che si fa pensiero, / perseguendo le istorie, avida, intenta, / tentando i Fati nel loro rio mistero… “.
Vincenzo Maria Plastino fu poeta vero, nel senso più nobile e più ardente della parola. Tutto ch’egli vide e canto, plasmò secondo il suo cuore  e tutto ch’egli ha lasciato vive nella sua personalità interiore e del suo occulto travaglio e tormento spirituale. Non era un vagabondo dell’anima. Era un sacerdote del pensiero. L’umanità migliore era in cima alla sua passione e questo suo culto comunicò al suo canto.
Così, in uno afflato premonitore, si rivolge alla Basilicata:
“Sacra Lucania, ne l’oblio pensosa / cantò la Grecia – altera abbandonata, / tu non chini la fronte immacolata / a’ compri onori e a la virtù chiassosa; / non chiedi a l’aura i suoi favori, orbata / di figli e di ricchezze; un dì fastosa, / or superba t’avvolgi e disdegnosa, / in una pace di dimenticata. (…) Sorridi invan, a l’ sol gli sguardi immoti; / t’han detto triste, o pia terra lucana, / e i figli tuoi un popolo d’iloti…”
Prematuramente tolto alla famiglia, alla società, alla sua terra fervida d’amore e di sole, alla vetta del Vulture, sentinella compiacente di tanti spiriti superiori, il suo canto divenne inerte. Su Vincenzo Maria Plastino cadde, purtroppo, inesorabile l’oblio degli uomini, della sua gente. Di lui oggi  non si ricorda più nessuno. Ecco perché abbiamo sentito il bisogno di ricordalo e proporlo agli immemori perché un faro di luce di così forte intensità poetica non si spenga del tutto.

Michele Traficante

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