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TESTIMONIANZE DALL’AFRICA

“A Baibokoum viene ancora da dire:Ma questi sono uomini? Che hanno fatto per vivere così? Il loro Dio non è lo stesso Creatore e Padre nostro? Non siamo fratelli? Allora perché? E tante altre domande che spesso cadono nella rabbia e che si sciolgono tra le lacrime di chi impotente resta a guardare lo spettacolo più becero del nostro tempo”. Così scrive don Ferdinando Castriotti nella prefazione al volume” Gli anni neri della nostra vita”.
Un libro, di un centinaio di pagine  con tantissime fotografie a colori di Giustino Cilenti, scritto magistralmente da Nino Cilenti ( figlio di Giustino) e Valentina Dello Russo, che illustra l’esperienza di un gruppo di volontari  di Melfi, vissuta nella comunità di Baibokoum, posta nell’estremo sud  del Ciad, sistemata in poche capanne di terra e paglia poste a grappoli intorno ad un grande spiazzo,  ma che ospitano circa ventimila persone.
Le domande angoscianti di don Ferdinando turbano, dovrebbero turbare e scuotere profondamente le coscienze sensibili dei cittadini dell’opulento Occidente. Ma scrive ancora don Ferdinando con amarezza “ Quanti ho sentito parlare di soluzioni dei problemi dell’Africa, già pronti con la ricetta in tasca, ma che puntualmente è rimasta lì dentro ad aspettare cosa e chissà! (…) Si va su Marte – prosegue don Ferdinando -  a cercare l’acqua, si vede come riempirci di orgoglio per le conquiste tecnico-scientifiche, e si dice che questo serve  all’uomo per  potersi conoscere! Ho conosciuto persone  a Baibokum, che l’acqua ce l’hanno nel sottosuolo, ma che nessuno aiuta a tirarla su, e che per conoscersi raccontano la vita dei loro padri andati. E a Baibokum si muore di sete!”.
Ma, grazie a Dio, c’è chi non resta indifferente di fronte a questo scempio umano. Sono i gruppi di volontari, le associazioni umanitarie, che, con enormi sacrifici, sono impegnati ad alleviare le tristi condizioni di quelle popolazioni, portare loro non solo il “lume della fede in Cristo con un’intensa e proficua evangelizzazione, ma il minimo indispensabile per “sopravvivere”.
Fra questi volontari di Melfi che, da circa vent’anni, offrono la loro opera a favore di gente che vive in condizioni di estrema ed infinita povertà. Tutto è cominciato nel 1986 quando suor Silvana Riva, una francescana  Angelina che prestava il suo servizio presso l’ospedale San Giovanni di Melfi, partì per il cuore dell’Africa, precisamente a Baibokoum. Dalle sue testimonianze e ricerca di aiuto, si creò un movimento di solidarietà ad opera di don Vincenzo D’Amato, il “Gruppo Missionario”, che s’impegnò ad inviare i primi soccorsi. Sono seguiti altri invii di aiuti e spedizioni di volontari melfitani verso le missioni cattoliche del Ciad, partecipando ogni anno alla costruzione di scuole, dispensari, chiese ed altri edifici  accoglienti che sostituiscono le squallide capanne di terra e paglia ( le pajote).
Negli ultimi anni il testimone della solidarietà e carità cristiana é passato a don
Ferdinando Castriotti che con un nutrito manipolo di volontari, “gli amici di Melfi”, come sono chiamati affettuosamente da quelle popolazioni africane, continua l’opera altamente  umanitaria contribuendo in maniera incisiva a sostenere concretamente lo sforzo e l’impegno dei missionari ( padri  Cappuccini di Foggia  e suore Francescane Angeline) da anni alle perse con gli immani problemi che investono le misere condizioni sociali, sanitarie e culturali di quella parte dell’Africa. Popolazioni che hanno bisogno di tutto e né lo sfruttamento del petrolio da parte delle grandi Compagnie petrolifere contribuisce a risollevarle dallo stato di grande miseria in cui versano da tempo immemorabile. Accorato, a tal riguardo, l’appello del papa Benedetto XVI, lanciato recentemente in occasione dell’annuale Giornata su “La terra:un dono per l’intera famiglia umana”, perché si cambi “il modello di  sviluppo” sul piano globale”ed affrontare seriamente e rimuovere le “cause strutturali” che determinano, aggravandolo di anno in anno, il dramma della fame che costringe 800 milioni di persone a vivere “ in stato di sottoalimentazione, specialmente i bambini che non hanno futuro”. Pertanto occorre “ una grande mobilitazione a livello mondiale. Ogni persona e ogni famiglia può e deve dare qualcosa per alleviare la fame nel mondo adottando uno stile di vita e di consumo compatibile con la salvaguardia del creato e con criteri di giustizia verso chi coltiva la terra in ogni Paese”.  
“Non risolveremo i problemi dell’Africa – dice don Ferdinando – ma potremo dire di aver fatto qualcosa per quel pezzo di mondo che il Signore ci ha affidato”.

Michele Traficante

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