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L’EQUIVOCA INTERPRETAZIONE DEL VERBO…NUMBARE

Nell’ultimo accattivante romanzo del medico scrittore Michele Libutti

Non c’è che dire. Michele Libutti, stimato  medico di medicina generale, ha affinato notevolmente il suo stile di scrittore. Come direbbe il famoso giallista americano Evan Hunter (alias Ed McBain), di origini lucane, ha raggiunto “la voce”, cioè quello stile inconfondibile che ogni autore deve trovare per riconoscersi prima e farsi riconoscere poi  dai suoi lettori.
Insomma non sappiamo se considerare Michele Libutti uno scrittore ( e che scrittore) prestato alla medicina o un medico (valente e stimato) prestato alla scrittura.
Ma Michele Libutti è certamente l’uno e l’altro. Non per niente, pur esercitando da anni ( dal 1979) la professione di buon medico secondo scienza e coscienza egli ha conseguito, nel 2001, anche la laurea in Lettere Classiche. E così il dottor Michele  Libutti, quasi con cadenza annuale ha già pubblicato i seguenti  volumi con un notevole successo di pubblico e di critica:”Pillole, storie in agrodolce di pazienti e … di pazienze” (2000); “Don Antonio & altre storie” ( 2002); “Il vecchio di Lagopesole” (2003); “Panta kakà” ( 2004); “ Chiamami quando vuoi… “ ( 2006);  “Fiale. Croce e delizie di un medico di famiglia del XXI secolo d.C.” ( 2007);  “ Quei gigli di Sant’Antonio…” ( 2009); “ Cose dell’altro mondo” ( 2010). Non gli sono mancati pubblici riconoscimenti ed ambiti premi, come quello ricevuto nel 2006 dall’allora ministro della P.I. on.le  Giuseppe Fioroni per il libro “Panta kakà “ ( Va tutto male) con questa motivazione “ Per l’originalità del racconto che fa rivivere, quasi in forma di telenovela i personaggi della mitologia greca con ironico riferimento al mondo contemporaneo”. Altro riconoscimento il 2007, 2° Premio letterario internazionale conferitogli  sempre a Roma alla presenza del Nobel Dario Fo per il volume “Chiamami quando vuoi” con al seguente motivazione ;” con ironia, talvolta amara, l’autore mostra i limiti e i pericoli  della frenetica vita contemporanea, cercando il senso smarrito”.   Ma il dott. Libutti non il tipo di montarsi la testa, non è un esibizionista, non ama la notorietà, è piuttosto riservato e si direbbe che scriva  per se stesso e non tanto  per gli altri.
Così, il nostro medico scrittore, è giunto alla sua nona pubblicazione con l’ultimo, in ordine di tempo, accattivante romanzo dal titolo “Voce del verbo … Numbare” ( Editrice Ermes, Potenza, Febbraio 2011, pagg. 171). E non sembra intenzionato a fermarsi qui. Infatti, pare che il dott. Libutti nel ruolo di scrittore si sia creato una “ vita di riserva”, nella quale sprigionare tutto il suo notevole talento di narratore, distaccandosi il più possibile dal mondo della sofferenza che il suo contatto con gli ammalati suoi pazienti lo costringono  a vivere quasi quotidianamente. Non per niente nel suo laboratorio medico è ben in vista un cartello con questo testo: “Non dimenticare che la vita del Medico è adombrata da un velo di tristezza per le continue sofferenze cui è obbligato ad assistere. La gratitudine per il bene che ha cercato di farti sarà per Lui una grande ricompensa”. Ovviamente rivolto ai suoi pazienti.
In questo romanzo l’autore giocando, si fa per dire, sul significato ambiguo del verbo “numbare” descrive con grande efficacia un mondo contrastante fra l’amore per la vita semplice di campagna a contatto con la natura, gli animali e il mondo cosiddetto della cultura. I suoi personaggi tutti ben definiti, ma con caratteristiche peculiari psicologicamente parlando, vivono le loro esperienze di vita con semplicità ma anche con inconfessate ambizioni di elevazione sociale. Giorgio, il trentenne professore di scuola media protagonista del romanzo, si scontra con Silvia, giovane  bella, semplice e paga del suo ruolo di ragazza di campagna a cui intende  caparbiamente restare atttaccato, benché la madre sogni per lei un avvenire diverso con il prosieguo degli studi e una vita in città. Giorgio però nello stesso tempo ne è affascinato e conquistato. Il piccolo ambiente scolastico tuttavia non impedisce a Giorgio di avere a  che  fare con la professoressa di matematica  Vittoria, donna avvenente ma infelice, che non esita a cadere fra le braccia del giovane professore. Alla fine Giorgio preferisce Silvia per la sua semplicità e il sincero affetto che gli mostra. S’innamorano e si amano ( numbano?). Le loro vite però, inevitabilmente, si dividono quando Giorgio è costretto a scegliere tra Silvia e  la vita agreste in un piccolo comune dell’Appennino lucano e la sua attività di docente in una città ricca di stimoli culturali.
Ma come tutti i romanzi che si rispettano non manca la sorpresa finale.
Dopo venti anni ritroviamo Giorgio il quale, dopo anni d’insegnamento e dopo aver sposato Vittoria la quale si è  mostrata, seppur per una volta, infedele, lascia l’insegnamento e, rilevata una libreria, diventa un libraio nella città di Roma. Vive nella capitale una vita scialba, separato dalla moglie da sette anni. Per rompere la solitudine, la malinconia e dimenticare le delusioni della vita frequenta i fatui cosiddetti salotti buoni della città, intrattenendo relazioni del tutto insoddisfacenti con alcune  attempate donne della borghesia romana.
Fra queste, occasionalmente, conosce Camilla, una ultraquarantenne “sofisticata” e ben acculturata  insegnante universitaria di Estetica ancora attraente e “ben messa”, come la giudica Giorgio. I due incominciano a familiarizzare e a frequentarsi. Camilla, da poco giunta a Roma per l’insegnamento all’Università, si sente sola e inconsapevolmente si sente attratta dal maturo amico libraio. Arriva così anche per loro  “il momento della musica“, cioè, come spiega l’autore, il momento giusto per dare un calcio al  passato ed iniziare una nuova vita. E qui la sorpresa! Camilla non né altra  che la Silvia amata da Giorgio venti anni prima, irriconoscibile per essersi  fisicamente adeguata con opportuno trucco estetico, alla moda di città, la quale, quasi per una rivalsa nei confronti del professore che l’aveva lasciata preferendo la città, aveva ripreso con accanimento per anni gli studi, tanto da arrivare all’insegnamento universitario. Però non aveva mai dimenticato il professore,  “suo primo amore”, a cui era rimasta fedele. Immaginarsi Giorgio che, emozionantissimo, dopo averla riconosciuta anche per una cicatrice su una coscia, se le tenne poi stretta stretta, felice di aver ritrovato chi veramente l’aveva amato e gli era stata fedele per tutti quegli anni.
Questa, grosso modo, la trama del romanzo nel quale  Michele Libutti non manca di rivelare la sua formazione umanistica e i suoi studi classici. Infatti non mancano citazioni letterarie ( dall’oraziano “Carpe diem”( letteralmente “cogli il giorno”), al lirico greco Alceo, a Dante, a Leopardi, a Foscolo, D’Annunzio ecc), con alcune  espressioni latine, alle quali, in verità, sarebbe stato utile far seguire la traduzione in lingua italiana.
Col suo stile agile, scorrevole e garbato che  rende molto gradevole la lettura del romanzo, Michele Libutti scandaglia con acume le personalità dei suoi personaggi evidenziandone le caratteristiche psicologiche e trovando la giusta “voce “  a seconda di quale personaggio vuol far parlare. Evidentemente il dott. Lubutti durante le ore di footing ( marcia alternata a brevi corse veloci) lungo strade di aperta campagna, mentre rinfranca e ritempra il fisico, rimugina anche   sulle trame dei suoi romanzi, elabora con notevole dose di fantasia le vicende, crea, delinea e definisce le caratteristiche peculiari dei protagonisti. Il risultato sono le sue opere di alto spessore culturale che fanno di Michele Libutti un autore di primo piano avviato a sempre più ambiti traguardi nel campo narrativo non solo regionale ma nazionale.

Michele Traficante

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