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IL PASSATO RIONERESE NEL DIALETTO

Una pregevole pubblicazione in vernacolo di Francesco Ramunno

“Ma parl’ com t’ha fatt’ mam’’t”! ( Ma parla come ti ha fatto tua madre). E’ l’espressione tipicamente in dialetto rionerese che si rivolge ad una persona che, dopo una certa permanenza al nord Italia, incomincia a parlare “meneghino” ( in dialetto milanese) o da “tiuren”( torinese). Sono i classici “Ciao né “, quelli che, in altre parole, si atteggiano a settentrionali, esprimendosi con un idioma quasi incomprensibile per noi; disconoscendo così le origini del paese natale e soprattutto il suo dialetto.
Eppure si dice, e non a torto, che il dialetto sia la lingua madre in quanto è la parlata che si apprende fin da piccoli nell’ambito familiare (e, in primis, dalla madre) e che esso dialetto rappresenti anche l’identità della propria comunità.
Rionero in Vulture, poi, specie negli ultimi anni, si sta rivelando “la patria del vernacolo”, poiché sono molti i suoi cittadini che si cimentano in apprezzabili composizioni in dialetto. Forse è l’unico paese lucano ad avere una fioritura così notevole di autori dialettali sia in composizioni poetiche e racconti e sia testi  teatrali che, nell’appassionata ricerca e riscoperta, fanno riaffiorare ambienti, atmosfere, usi  ed abitudini ormai cadute nel dimenticatoio. Il verità, il centro volturino ha una lunga tradizione di poeti dialettali, da Vincenzo Maria Granata (1828-1911) a Carmine Cassese (1915-1998), a Donato Cesta (1915- 2005) e ai viventi Ernesto Grieco, Gerardo Nardozza, Carmine Ambrosio, Nino Asquino, Donato Di Lucchio, Cristian Strazza, Rosa Angela Nigro, Maria Carmela Di Lonardo e qualche altro di cui forse ci sfugge il nome. Tutti impegnati con passione ed  intelligenza in un’opera culturale, senza dubbio  meritoria, che va sostenuta ed incoraggiata. Addirittura per valorizzare al massimo il dialetto l’associazione culturale”Rivonigro” presieduta da Gerardo Nardozza e l’Amministrazione comunale, da qualche anno indicono il Premio Regionale di Poesie “I Dialetti Lucani”- Memorial Carmine Cassese, giunta alla 2^ edizione,  riservato ai lucani residenti e non solo, con un notevole successo di partecipanti.
Tanto che, nel 2003, l’ottimo prof. Leo Vitale, profondo studioso del dialetto  di Rionero, ha pubblicato un interessante e corposo  “Dizionario del dialetto rionerese”, con utili indicazioni di fonetica, oltre una raccolta di poesie popolari anonime. Nel 2004 ha pubblicato ancora  un altro volume di integrazioni e aggiunte di termini dialettali. Insomma è il maggior esperto del vernacolo rionerese. Come, da parte sua, l’attore Lillino Covella è insuperabile interprete del dialetto rionerese e delle scene simpaticamente popolaresche.
Ultimo, in ordine di tempo, ma non d’importanza, il recente volume di Francesco ( Cecchino, per gli amici) Ramunno dal titolo significativo “ Cumbare” e Cumbaridde”. Nel dialetto rionerese la e finale senza accento è muta. Perciò non la si pronuncia.
Si tratta di una raccolta di poesie, filastrocche, dialoghi e proverbi in dialetto rionerese meritevole di particolare attenzione per la freschezza dei versi e la finalità del lavoro. L’autore, rionerese verace dove è nato nel 1940, è un attento osservatore del costume e dell’idioma rionerese. Ha sempre nutrito una particolare inclinazione nel cogliere ogni sfumatura, ogni dettaglio del dialetto del suo paese natale, andando alla riscoperta delle espressioni più colorite, immediate del passato e oggi completamente ignorate. Così, con passione e determinazione, ha raccolto il meglio del vernacolo rionerese e ha pubblicato un bel numero di poesie, detti, filastrocche e proverbi tanto in uso un tempo nel suo paese. Ne è venuto fuori questo simpatico ed interessante volumetto, di un centinaio di pagine, con significative fotografie ed illustrazioni, pubblicato in proprio e donato agli amici ed estimatori, come atto di amore verso il suo paese.
Infatti, come ha scritto il prof. Michele Pinto nella presentazione del volume “il poeta, ispirandosi alla sua terra, alla sua gente, al suo contesto di vita, ritrova le proprie radici e racconta, con l’espressività del dialetto, di una quotidianità fatta di cose semplici, ma vissuta con straordinaria vitalità”.
Ne viene fuori una carrellata di espressioni con le quali, come giustamente annota il giornalista Donato Mazzeo nella prefazione “ Cecchino ha voluto condensare, in questa silloge bilingue (traduzione italiana, volutamente, a fronte)  termini, esclamazioni, intercalari, proverbi, fraseggi tipici, poesie che nascono dal suo “feeling” per la terra-madre e ciò che rappresenta dal punto di vista etno-antropologico”.
Vengono fatti rivivere, così, in maniera accattivante, scene ed indole di un popolo attanagliato da mille problemi e da condizioni di vita non certo invidiabili ma pieno d’inventiva e di umorismo, che “prende la vita come viene”, senza drammi e con una  “ immensa”capacità si sopportazione.
Pregi e difetti, dunque, ben delineati, a volte anche simpaticamente rappresentati negli atteggiamenti del popolino, colti nelle loro espressioni colorite caratteristiche.
Così, nella poesia ”Re ddoje lavannàre” ( tema peraltro già trattato da Vincenzo Maria Granata con “ Roie lavannare sciarrano a la funtana”), si descrive il carattere litigioso delle donne rioneresi per un posto al lavatoio pubblico ( lavatorio putroppo oggi non più esistente in quanto demolito negli anni ‘60 per dar spazio ad un mastodontico edificio). O l’atteggiamento, non certo allarmato e preoccupato come ai tempi nostri, per un’abbondante nevicata, quando, invece, “ Corre tàte / a la vije re lu ciddàre ( cantina, ndr) /  a fa lu refurniménte / re vine e re respènze, / mèndre all’accuvùne, / Chelùcce Ndunètte / che la néve / preparene la zelebrètte”. Oppure, la bella poesia “ Lu Natale re i cafune” quando “ Stavote lu baccalàie / se mànge sénza pàrte / e po’, tra na pèttele e nu cavenzunciédde / rumbìme pùre lu caresìdde”. O ancora, la profonda devozione dei rioneresi per la Madonna: “Jè quìst nu pòpule / devote e pìje, / quànne vai a zèrte sije /. I pugne mbiétte se re sape rà / e male nun se fa”.  E poi ancora , come si dipinge  bene l’emigrato rionerese al nord Italia : “Na mòrre re paisàne / fatìcane chi a Turìne / e chi a Melàne, / s’imbàrene nu poche re tuscaneggià / e ciao nè ra qua / e ciao nè ra ddà”. Bella anche la descrizione della “Case re lu cafone” con la provvista di ogni ben di Dio appesa per lo più alla “màzze nghiàne” ( una pertica in orizzontale, ndr). Ma Ramunno ha avuto anche l’accortezza, per una migliore comprensione, di intercalare le poesie con  opportune note esplicative sul contesto ambientale e storico delle poesie.
 Un’operazione culturale d’indubbio valore, dunque che , come sostiene l’autore,” mira a far conoscere il modo di parlare, le tradizioni, i costumi e le credenze popolari in voga fino a pochi lustri addietro, con pregiudizi e superstizioni, perché sarebbe un peccato e una grossa perdita, se il dialetto restasse solo nella memoria dei nostri vecchi”.
Il volume è stato presentato nei giorni scorsi presso il Palazzo Fortunato con l’intervento del vicesindaco di Rionero Vito D’Angelo, del prof. Michele Pinto, della prof.ssa Patrizia Del Puente, docente dell’Università degli Studi della Basilicata. Nel corso dell’incontro,  introdotto e coordinato egregiamente dal giornalista Armando Lostaglio, a cura dell’associazione Rivonigro sono state declamate alcune poesia con intermezzi musicali da parte di Sissi Casale - violino e Valeria Pinto - tastiere .

Michele Traficante

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