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“L’OMBRA DEL VISIR”. UN ROMANZO DI MATTEO D. GALLUCCI

Fra storia e fantasia si snoda l’ultimo lavoro dello scrittore rionerese.

Certamente è uno dei romanzieri più importanti della Basilicata e non solo. Matteo Donato Gallucci, rionerese verace, laurea in pedagogia e docente di scuola superiore, ha già al suo attivo interessanti lavori che lo hanno posto all’attenzione di critici autorevoli. Per lo più si tratta di romanzi storici fra cui “La Marchesa di Mantova” nel 1998, “ Brigante” nel 2002, “Caccia al Brigante” nel 2004, “Specchi di giorni lontani” nel 2005, “ Il Quinto Vangelo” nel 2008. Tutte opere che hanno riscosso lusinghieri successi di pubblico e di critica.

Ultimamente Gallucci si presenta con un romanzo che in parte si discosta da quelli precedenti, nel senso che dà più sfogo alla fantasia, pur ambientando le vicende in un contesto storico ben preciso.
“L’ombra del Visir” è l’ultimo romanzo, ultimo certamente in ordine di tempo, che Matteo Donato Gallucci ha offerto ai suoi numerosi e affezionati lettori e presentato nei giorni scorsi presso l’Auditorium del Centro sociale “Pasquale Sacco” di Rionero in Vulture con la collaborazione dell’Associazione Culturale “Suggesto” rappresentata dal giovane Nicola Giansanti che ha introdotto i lavori. Ad illustrare il valore di narratore Gallucci ed il pregio del suo romanzo, sono intervenuti il sindaco di Rionero, Antonio Placido, il dirigente scolastico della scuola Primaria di Rionero Antonio Pinto e il prof. Rocco Viglioglia, docente delle Scuole Superiori. A rendere più accattivante il contenuto del romanzo ci ha pensato la brava Incoronata Di Lorenzo che ha letto alcuni dei brani più significativi.
Con questo romanzo Matteo Donato Gallucci è ritornato al suo filone narrativo che più lo attrae, cioè il fantasy, genere letterario col quale ha vinto il Premio Tolkien negli anni 1983, 1984, 1985.
Il romanzo si sviluppa nella Venezia del XVII secolo che contava circa 150 mila abitanti e vede coinvolti il Doge e la sua famiglia, oltre le note vicende storiche e politiche che videro la Repubblica di San Marco alle prese, non sempre favorevoli, con l’Impero Ottomano. Era il periodo della lenta ma gloriosa decadenza della Città lagunare con la perdita, non senza resistenza, dei domini orientali sotto l’assalto dei Turchi. Nel 1540 perde la Morea, nel 1573 Cipro, nel 1669 Creta con la pace sofferta di Candia stipulata nel 1671 e, nel 1718 di nuovo la Morea, dopo che questa era stata riconquistata nel 1684 dal doge Morisini.
In questo contesto storico il Doge di Venezia aveva due figli naturali, Marco e Licinia. Marco, nelle notti di luna piena si trasformava in lupo feroce; sicché, per la sua pericolosità, il padre si vide costretto ad affidarlo, con lauto compenso, alla famiglia Trevisan, che viveva in una fattoria, lontano da Venezia e che lo trattarono come un figlio. Il Doge aveva però adottato anche un ragazzo orfano di padre e di madre, Daniele Trevin, che divenne un aitante e valoroso guerriero
che s’innamorò della figlia del Doge, Licinia, dalla quale fu appassionatamente ricambiato.
Marco, a sua volta, s’innamorò perdutamente di Dora, figlia del fattore che lo ospitava, la quale si legò al giovane veneziano di profondo amore. Dora però muore dopo essere stata violentata da due balordi, mentre si bagnava in un fiume. Tremenda la vendetta di Marco che, in una notte di luna piena, sbrana i due malfattori.
Nel vendicare una giovane rom, Irina, oggetto di sevizie da parte di un gruppo di uomini della sua gente che detestava il bagnarsi, fra cui anche il padre e il fratello, per essere stata scoperta nuda sulla riva di un laghetto naturale formatosi in un’ansa del fiume, Marco, mezzo uomo e mezzo lupo, viene ferito mortalmente con alcuni colpi di pistola. Irina però riesce a portarlo a casa da dove Daniele lo trasporta nel palazzo del Doge.
Il Doge, disperato di fronte al figlio moribondo, invia Daniele a cercare un gran Guaritore a Candia, sperando di strappare alla morte Marco. Con Daniele parte anche Licinia, accompagnato dal suo confessore Padre Lorenzo, per fare visita ad una zia residente a Corfù. Durante l’avventuroso viaggio la loro nave, la galeazza “ Il Polo”, comandata dall’esperto ed energico capitano Contarini, viene assalita dai pirati di Abdullh al Faruk, detto lo sciacallo per la sua ferocia. Nello scontro i veneziani hanno la peggio, ma vengono salvati dalle navi del sultano turco che mettono in fuga i pirati. Licinia e il religioso, sono dati per morti essendo spariti nei flutti del mare. Daniele approda nell’isola di Creta e si dirige verso Candia ma resta prigioniero delle amazzoni condotte dalla principessa Amina, nipote del gran Visir Ahmed Koprulu, la quale s’innamora e si concede al forte guerriero veneziano e ne diventa la sua donna. Si viene a scoprire poi che Amina è figlia del gran Guaritore Muhammed Koprulu e che questi è fratello del Gran Visir, il quale teme di essere spodestato dal fratello minore con l’aiuto delle due sorelle. Tuttavia, supplicato dalla nipote Amina, il Gran Visir perdona il veneziano e suoi compagni. In un atto di calcolata generosità egli consente che Daniele, con Amina e il padre e anche Licinia, ritrovata a Candia ( padre Lorenzo è stato ucciso dai turchi), facciano ritorno a Venezia.
Qui Muhammed Koprulu guarisce completamente Marco che può finalmente starsene in una tenuta donata dal Doge con l’amata Irina, mentre Daniele e Amina, col padre di quest’ultima, vivono felicemente a Venezia.
Un romanzo a lieto fine, dunque, ma che si sviluppa in una girandola di vicende intriganti ed accattivanti che avvincono il lettore dalla prima all’ultima pagina. L’autore, ormai maturo narratore e padrone del linguaggio si sa destreggiare magnificamente nel groviglio delle vicende narrate. Egli mostra una notevole conoscenza non solo della storia politica di Venezia ma anche del mondo islamico, sia nella terminologia, sia nella mentalità e cultura. Come pure si
mostra gran conoscitore del mondo marinaro, quasi esperto lupo di mare, poiché, alla maniera di Emilio Salgari, riesce a rendere avvincente le manovre di assalto dei pirati, le varie manovre delle navi per l’abbordaggio e il concitato ordine di “fuocooo”, lanciato dal capitano della galeazza veneziana ai suoi uomini.
Non mancano, inoltre, felici espressioni descrittive e poetiche quali, per esempio: “ La luna proiettava un chiarore argenteo attraverso gli spazi incorniciati di alberi”, pag. 47; “I bambini spalancarono gli occhi grandi che parevano nuotare sulla faccia” e “Il cielo notturno germogliò di stelle e una falce di luna crescente mostrava entrambe le punte rivolte verso il basso”, pag. 126 e ancora ” Il cielo si faceva opaco come vetro affumicato”, pag. 127.
Una lettura veramente godibile, anche per lo stile sobrio e scorrevole, che fanno di Matteo Donato Galucci un romanziere di belle speranze nel pur affollato panorama letterario nazionale.

Michele Traficante

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