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“L’ULTIMA SPOSA DI PALMIRA” DI GIUSEPPE LUPO.

Romanzo fra i 5 finalisti del “Premio Campiello di Letteratura 2011”

E’ indubbiamente, con il melfitano Raffaele Nigro, uno dei più noti e accreditati scrittori lucani e non solo. Giuseppe Lupo, originario di Atella in provincia di Potenza, ma da tempo trapiantatosi a Milano ove insegna letteratura contemporanea presso l’Università Cattolica, sede di Brescia e di Milano, è ormai un affermato autore di romanzi storico- antropologico e, sul versante saggistico, tra la letteratura italiana del Novecento e i linguaggi dell’espressività.

Numerosi i premi attribuitigli a livello regionale e nazionale per i suoi romanzi: “L’americano di Celennne”. Marsilio Editori, nel 2000 (Premio Giuseppe Berto 2001 – Premio Mondello 2001), “Ballo di Agropinto”, Marsilio Editori, 2004, “La carovana Zanardelli”, Marsilio Editori, 2008 ( Premio Grinzane Cavour - Fondazione Carical 2008 e Premio Carlo Levi 2008). E’ stato dal 1996 autore di numerosi saggi e curatore di importanti opere soprattutto del corregionale Leonardo Sinisgalli di Montemurro. Giuseppe Lupo è componente della Giuria della Narrativa e Letteratura spirituale del Premio Basilicata, presieduta da Leone Piccioni.
L’ultimo romanzo, in ordine di tempo, di Giuseppe Lupo che sta riscuotendo un grande successo di pubblico e di critica è “L’ultima sposa di Palmira” finalista alla 49esima edizione del Premio Campiello Letteratura 2011 e vincitore del Premio Vittorini.
Nei giorni scorsi il volume “L’ultima sposa di Palmira”, Marsilio Editori, Prima edizione: febbraio 2011, Seconda edizione: giugno 2011, pagg. 174, è stato presentato a Rionero in Vulture ad un folto ed attento pubblico presso la Cantina Terra dei Re di Via Monticchio. L’evento, di alto spessore culturale, rientrava nell’ambito della più ampia e prestigiosa rassegna “Sorsi d’autore” che da qualche tempo la nota azienda vitivinicola rionerese porta avanti con meritato successo.
La presentazione del libro, o meglio la piacevole e garbata conversazione con l’autore, condotta brillantemente e con la consolidata professionalità dal giornalista Mimmo Sammartino, caporedattore di Potenza della Gazzetta del Mezzogiorno e presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Basilicata, ha pienamente soddisfatto i numerosi presenti i quali si sono vivamente interessati al romanzo, ponendo anche alcune specifiche domande a Giuseppe Lupo sul significato della sua opera letteraria.
Si tratta, come ha sostenuto Mimmo Sammartino di “ …un racconto visionario dentro una realtà reinterpretata. Un mondo mitico che si dice per non dissolversi. E definisce nuovi equilibri con gli spazi della ragione e della scienza. E’ un mondo- aggiunge Sammartino - capace di reinventarsi geografie e nomo. Di tenere insieme il diario della catastrofe ( lo sconquasso del 23 novembre 1980 descritto con gli occhi di un’antropologa milanese) e i 21 racconti fantasmagorici in un paese possibile dell’Appennino ( Palmira, per l’appunto”.
Tramite le intelligenti ed appropriate domande del conduttore che illustrato le linee culturali del romanzo e le peculiarità narrative di Giuseppe Lupo, l’autore con garbo ma con puntualità ha, come suo dirsi, sviscerato il tema della narrazione letteraria, evidenziando come tramite questo suo lavoro ha inteso sacralizzare una civiltà che non c’è più, auspicando, come nella sua “Palmira” in cui convivono, in un quartiere, cristiani, ebrei, mussulmani, una pacifica convivenza fra i popoli.
Il romanzo, lungamente meditato nel corso degli anni con dei semplici racconti, parte dal disastroso terremoto del 23 novembre 1980 che quasi rase al suolo numerosi paesi della Basilicata e dell’Irpinia. Un’esperienza vissuta in prima persona dall’autore, allora diciassettenne ( Atella fu uno dei paesi gravemente danneggiati) e che da tempo voleva raccontare, ma non in modo cronachistico con i sui lutti e le sue distruzioni, ma in maniera visionaria che porta però a “ guardare avanti”.
Un evento che anche per lui, come confessa - “tutto cambiò. Chiuso in casa, con intorno un mondo distrutto, in mezzo a una via interrotta, iniziai a leggere e la letteratura, da quel momento, entrò sempre più nella mia vita”. E per Lupo la letteratura è per definizione una rielaborazione, una trasfigurazione della realtà. Solo in questo modo, secondo lui, può aspirare a superare la contingenza e diventare eterna, durevole chiave interpretativa del mondo.
Di qui la storia dell’ultima sposa di Palmira, raccontata da un’antropologa milanese, la dottoressa Pittalunga, che scende nelle zone terremotate per documentarne la tragedia. Arriva a Palmira ( un paese immaginario fra l’Irpinia e la Basilicata) completamente distrutto. Si è salvata solo una falegnameria ove il falegname mastro Vito Gerusalemme è alle prese con il completamento del mobilio di Rosa Consiglio, appunto l’ultima sposa di Palmira. Ma mastro Vito Gerusalemme, novello “cantastorie” ( evidente il richiamo dell’autore ad un simpatico, saggio e fabulatore falegname di Atella, mastro Silvio Di Pasquale ( 1906-1981)), intende raccontare alla Pittalunga e soprattutto tramandare sulle ante dei mobili, mediante disegni, la storia di Palmira perché non vada perduta. Qui, secondo lo snodarsi romanzo, in una girandola di fatti e di personaggi, Palmira diventa un paese fantastico, ove succede di tutto, come la scomparsa della salma di Patriarca Maggiore, i viaggiatori invisibili, un muratore che ascoltava gli uccelli, una donna che fece attendere la morte, un raduno di comete, l’edificazione di una casa in una notte ecc. Tutto emerge dai racconti mitici del falegname Vito Gerusalemme all’incredula fredda e razionale antropologa milanese, salvo poi che quest’ultima alla fine capisce e, forse, giustifica il bisogno di un mondo onirico e trovare la forza per “ ripartire”. Un mondo dei sogni e dei miti che tanto affascina l’autore il quale, come egli ha confessato, s’incanta facilmente davanti ai sogni. E la fantasia dell’autore, a volte, prende il sopravvento. Il racconto delle vicende si connota fra storia, leggenda, realtà e qualcosa di miracoloso. La stessa nascita di Palmira, dovuta ad un tal Patriarca Maggiore, mitico personaggio venuto dall’oriente vissuto in epoca medievale, con le sue diverse mogli e i quaranta figli, che danno origine ad una lunga genealogia, assume carattere leggendario. Intorno alla sua camera da letto sorgono con gli anni e con i secoli case e case tante da dare origine al Paese di Palmira. Ma il terremoto tutto distrugge in pochi minuti. Perché? L’autore non si preoccupa di dare una risposta a tale domanda, ma vuole “sognare” che dalle macerie possa nascere nuova vita, forse migliore di quella passata. Per lo meno bisogna crederci, perché col terremoto non tutto è finito. Come nelle grandi tragedie umane della storia, dopo la caduta c’è sempre stata la ripresa e …la vita continua ( deve continuare). E’ questo forse il messaggio che l’autore vuol dare con questo romanzo. Insomma si tratta di una filosofia di vita dove emerge non un contrasto ma una “convivenza” fra la scienza ( impersonata nella razionale e fredda antropologa milanese) e il mito rappresentato dal falegname Vito Gerusalemme).
Nel romanzo di Giuseppe Lupo non mancano richiami alla sua terra d’origine, come, per esempio, il fiume Levata ( richiama un torrente che si versa nella fiumara di
Atella), malva e vitalba ( richiama il nome della vallata ai piedi del castello di Lagopesole) ecc.
A tal proposito abbiamo chiesto a Giuseppe Lupo qual è il suo rapporto culturale con la terra d’origine. “ La Lucania – ci ha risposto – è il magazzino / serbatoio della mia immaginazione e delle mie fantasie. Quando devo cominciare un libro nuovo, vengo in Basilicata e ci passo alcuni giorni. Faccio il pieno di creatività e riparto per Milano”.
Insomma Giuseppe Lupo con questo suo quarto romanzo, si dimostra un autore di tutto rispetto, certamente avviato ad ulteriori successi editoriali.

Michele Traficante

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