📰 L'Opinione di Marco Lombardi: Lo Sguardo di Sgarbi

Con una lettera pubblicata da molte testate, Vittorio Sgarbi contesta, tra l’altro, la norma che vieta i doppi incarichi a chi lavori sotto lo Stato. Come sottosegretario, funzione legata ad una mansione amministrativa, egli era infatti soggetto ad un divieto il cui principio è sancito all’articolo novantotto della Costituzione: i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della nazione. Ora non si spiega perché a Sgarbi non si sarebbe dovuta applicare una regola che impedisce a centinaia di migliaia di persone assunte negli enti pubblici, con stipendi anche dieci volte inferiori al suo, di arrotondare le loro entrate con lavoretti svolti fuori dall’orario di ufficio. Ciò detto si potrebbe aprire un dibattito sull’anacronistica applicazione di un principio che risale all’epoca dei soli rapporti a tempo indeterminato, mentre ormai il mercato offre una varietà di contratti flessibili che di fatto non minerebero il vincolo di esclusività. Cosa c’è di male se un usciere del Comune durante il fine settimana consegni le pizze, serva ai tavoli di un ristorante, faccia la comparsa in una produzione cinematografica? Oggi se egli volesse svolgere tali attività, così dette extraimpiego, nella migliore delle ipotesi dovrebbe superare un vaglio autorizzativo, da parte dell’ente di appartenenza, il cui lungo iter burocratico vanifica la possibilità di accedere ad incarichi, così detti parasubordinati, per loro natura decisi l’oggi per il domani da chi li conferisce. Se poi lo scopo è impedire conflitti di interesse, c’è da chiedersi perché agli stessi dipendenti pubblici sia invece concesso fare politica anche con cariche istituzionali, magari da consigliere o assessore. Un'ambiguità la cui soluzione sta forse nel fatto che le leggi le fanno i politici e non i lavoratori. L’Italia si sa, è paese dalle mille contraddizioni. Chissà se la penosa vicenda di Sgarbi non riesca almeno a sollevare una riflessione utile a scioglierne una.