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📰 L'Opinione di Marco Lombardi: Astensionismo locale e autonomia differenziata: un ossimoro

Se il sessanta per cento degli elettori di Lombardia e Lazio hanno scelto di non recarsi alle urne, bisognerà pure iniziare a rispondere a qualche domanda, piuttosto che continuare a porle lasciandole cadere nel silenzio assoluto.

Parliamo di cittadini che erano stati chiamati a decidere chi avrebbe governato, peraltro, il proprio servizio sanitario regionale, dopo due anni di emergenza pandemica ricchi di polemiche e contestazioni nella gestione dell’assistenza ospedaliera e territoriale, le liste di attesa che scoppiano e i pronti soccorso senza medici per coprire le emergenze. Si tratta d’altronde di un trend, quello dell’astensionismo alle elezioni locali, che dura da oltre vent’anni, proprio in corrispondenza della riforma del titolo quinto della costituzione e dell’applicazione del principio di sussidiarietà, che ha visto decentrare i livelli di governo laddove le risorse pubbliche sono amministrate.

Ecco dunque un primo abbozzo di risposta ad una domanda fin troppo nota: la delocalizzazione dei poteri in Italia nella migliore delle ipotesi non ha funzionato molto bene. La classe dirigente del territorio si è dimostrata spesso poco preparata, a dir poco litigiosa e non di rado piuttosto avida e perfino disonesta. Ci sono certo lodevoli eccezioni, ma evidentemente non bastano a convincere un elettorato che, tutt’altro che stanco, sta dando un forte messaggio in chiave centralista, il che, in prossimità della riforma Calderoli sull’autonomia differenziata, dovrebbe convincerci che il mito del think globally act locally da noi è stato un sostanziale fallimento. Si tratta infatti di un provvedimento normativo che metterà un potere enorme, in termini di scelte di governo e risorse economiche, nelle mani di presidenti di regione eletti con il consenso di un venti, venticinque per cento massimo della popolazione residente di loro competenza. Non proprio la strada giusta si direbbe.

Ora, qui non si tratta di tornare indietro di quarant’anni alle elefantiache gerarchie ministeriali e all’azzeramento degli strumenti di condivisione delle politiche, ma di trovare un giusto mix tra tutela dell'interesse pubblico assicurata dall’alto e democrazia partecipativa. Un livello di efficienza sul territorio che oggi certamente non solo non viene garantito ai cittadini, basti leggere le pagine della cronaca giudiziaria locale, con uno scandalo al giorno che coinvolge politici e amministratori di regioni, province e comuni, ma neppure da essi percepito, visto che si preferisce sempre più spesso la strada dei comitati civici e delle campagne di protesta ai più fisiologici canali della partecipazione politica tra cui, in primis, il voto. Insomma, piuttosto che tendere verso riforme che sviliscano il ruolo del pluralismo al livello dello stato centrale, ad esempio con il rafforzamento istituzionale del leader di governo e l’annichilimento del dibattito parlamentare, cercando poi di compensarlo con la devoluzione dei poteri a livello locale, si tratta forse, al contrario, di governare dall’alto le diversità comunque presenti in una società sempre più omogenea, che sono ben altra cosa dai campanilismi, assicurando per legge l’ascolto e la parola agli interessi dei territori con pesi e contrappesi tra dimensione nazionale e locale sviluppati più a livello tecnico che politico. E’ forse questa la volontà popolare che molti rappresentanti dello popolo medesimo non sentono, o fingono di non sentire.

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