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Schermi Riflessi di Armando Lostaglio: Essere figli


E’ la nostra identità dacché nasciamo, l’essere figli sempre; è lo status con il quale veniamo al mondo e che ci rimane addosso per identità, per nome e per cognome, per destino e pertanto immutabile, per sempre.
L’essere figli nonostante il percorso di una vita ci conduca in altri stati fisici ed interiori, in geografie estetiche ulteriori, in situazioni e sentimenti tinti d’altrove.

L’essere figli non confligge mai, rimane addosso perché nasciamo figli, e poi saremo anche altro: padri, madri, fratelli e compagni di viaggio. Avremo responsabilità e talvolta non sapremo prenderle: ma ci sarà quella voce adulta sempre al cospetto, come custode dei momenti di gioia relegati ai ricordi in bianco e nero, quelli dell’infanzia. Saremo figli sempre e per sempre, perché quella battuta con voce calda ce la porteremo sempre con noi, nel profondo dell’anima. Già, l’anima, quella che (“nietzchianamente”) avrà “il respiro dei canti futuri”. Noi figli e padri ad un tempo, ma pur sempre eredi di un progetto del Creato, di un respiro proiettato in avanti. “Chi ha tempo non aspetti tempo” era il suo slogan più eletto, preferito, ansioso com’era di confermare l’impegno, di proiettarsi in un futuro, voracemente docilmente al tempo stesso. Questo concetto conteneva mio padre, lo portava sempre con sé. E nel finire degli anni quel verso: “Quando si muore si muore soli” (di De André, che da ragazzo gli facevo ascoltare, e che lui chiamava affettuosamente u genoves). Eppure i conflitti non mancavano mai,un'altra canzone si affaccia alla memoria: di Cat Stevens "Padre e figlio" (Father and son). "...Sei ancora giovane, questo è il tuo problema, c'è così tanto che devi conoscere...- (e, dal figlio) : è sempre stata la solita vecchia storia, dal momento in cui potevo parlare mi è stato ordinato solo di sentire..." Ora anche quei contrasti ci mancano, benevoli e sinceri; è volato via da tempo ormai, sulle ali di quell’avvoltoio - il Vulture - la montagna che conosceva come le sue tasche, avendola attraversata in lungo ed in largo, sui cavalli, alla guida delle mandrie. E raccontava di quelle lunghe transumanze, fino all’Irpinia, che sembravano esodi biblici; e poi le guerre, i terremoti, le miserie e la fame del dopoguerra, che cercava con generosità di lenire, per se e per gli altri. Non c’erano le Feste del Papà allora, sacrali e liturgiche, c’era solo il quotidiano di parole date, la stima di ogni cosa, da tenersi stretta come una seconda pelle. Essere figli sarà anche riconoscersi trasgressori di quei Comandamenti che lui invece aveva trasgredito in uno o forse due nei Dieci. Ma sarà sempre la sua professione di vita a farci da riflesso continuo. Si rimarrà figli per sempre, come una legge non scritta, in nome di un onore che val la pena rinverdire. Sempre. 

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