Uno studio della CGIL ci dice che in quattro regioni italiane, diversissime per livello di efficienza e rendimento istituzionale, curarsi nel privato permette di saltare tempi di attesa e pagare tariffe uguali o poco superiori al ticket.
La reazione d’impeto sarebbe quella di chiedere la chiusura di aziende sanitarie e ospedali, che tanto costano ai contribuenti, affidandosi alla libera iniziativa commerciale: un errore madornale.
In ciò che ormai è divenuto il mercato della salute, la sanità pubblica, con tutti i suoi difetti (volendo) correggibili, si fonda sull’approccio della presa in carico del paziente, al quale assicurare un percorso di cura cui accedere previo pagamento di una contribuzione, il ticket appunto. Nel privato, invece, la filosofia è quella di vendere quanti più prodotti possibili a dei potenziali clienti, concependo il suddetto percorso di cura come una filiera di servizi a pagamento dove anche il minimo contatto con il paziente deve essere remunerato. Pertanto, se sulle singole prestazioni, diciamo una tantum, il privato può essere più vantaggioso del pubblico, è nella gestione della cronicità o di una patologia dal lungo decorso, si pensi ad un trauma con annesso percorso riabilitativo, che il divario a favore del pubblico si fa evidente, sia in termini economici che, soprattutto, organizzativi. Perché una cosa è essere assistiti da un’equipe all’interno della medesima struttura pubblica, assai peggio è dover fare la spola tra un professionista e l’altro, tra un centro privato e l’altro, alla ricerca del prezzo migliore, o seguendo le indicazioni di qualche amico, o affidandosi alla rete di contatti personali del singolo medico.
La reazione d’impeto sarebbe quella di chiedere la chiusura di aziende sanitarie e ospedali, che tanto costano ai contribuenti, affidandosi alla libera iniziativa commerciale: un errore madornale.
In ciò che ormai è divenuto il mercato della salute, la sanità pubblica, con tutti i suoi difetti (volendo) correggibili, si fonda sull’approccio della presa in carico del paziente, al quale assicurare un percorso di cura cui accedere previo pagamento di una contribuzione, il ticket appunto. Nel privato, invece, la filosofia è quella di vendere quanti più prodotti possibili a dei potenziali clienti, concependo il suddetto percorso di cura come una filiera di servizi a pagamento dove anche il minimo contatto con il paziente deve essere remunerato. Pertanto, se sulle singole prestazioni, diciamo una tantum, il privato può essere più vantaggioso del pubblico, è nella gestione della cronicità o di una patologia dal lungo decorso, si pensi ad un trauma con annesso percorso riabilitativo, che il divario a favore del pubblico si fa evidente, sia in termini economici che, soprattutto, organizzativi. Perché una cosa è essere assistiti da un’equipe all’interno della medesima struttura pubblica, assai peggio è dover fare la spola tra un professionista e l’altro, tra un centro privato e l’altro, alla ricerca del prezzo migliore, o seguendo le indicazioni di qualche amico, o affidandosi alla rete di contatti personali del singolo medico.