di Martina Pansini
“Ogni tela che dipingeva era una stella luminosa. Ma tutte quelle stelle erano circondate da una
solitudine vuota e insondabile”
Così il dottor Gachet, medico di Vincent Van Gogh, nel film ricorda l’ormai defunto artista, ed è
proprio su questa visione di Van Gogh che gravita il film d’animazione “Loving Vincent”.
Il mondo
del cinema ha ancora da raccontarci qualcosa riguardo a quello che potrebbe essere ben definito
“un genio incompreso”. Ma che cosa c’è di diverso questa volta? Cosa lo distingue da tutti gli altri
film basati sulla vita di Van Gogh per di più, se si parla di un film d’animazione? Ciò che ha
scatenato la curiosità dei molti, me compresa, tanto da fargli ottenere una candidatura al Golden
Globe 2018 come miglior film d’animazione, una nomination agli Oscar 2018 nella stessa categoria
e un’altra candidatura, questa volta, al David di Donatello 2018 come miglior film straniero, è la
tecnica con cui è stato realizzato. Stiamo parlando, infatti, del primo lungometraggio interamente
dipinto su tela.

Ogni singolo fotogramma è un quadro realizzato (si potrebbe dire “a regola d’arte”,
riproducendo lo stile dell’artista olandese) da 125 artisti diversi! Ovviamente per la realizzazione è
stato necessario utilizzare il rotoscope, ossia le scene sono state ricalcate a partire da una pellicola
già filmata e con l’ausilio di attori. “Loving Vincent” ha lasciato letteralmente tutti a bocca aperta,
soprattutto nelle sale italiane in cui ha riscosso talmente tanto successo da entrare nella lista dei
film evento più visti in Italia.
L’idea della pittrice Dorotea Kobiela e del regista Hugh Welchman di
descrivere Van Gogh attraverso la sua arte è a dir poco straordinaria, dopotutto un pittore lascia un
pezzo di sé stesso nelle proprie opere, come se il narratore fosse lo stesso Van Gogh che, attraverso
i suoi quadri, ci permette di interpretare la realtà esattamente come lui.
Ma allora verrebbe da chiedersi come mai, nonostante il successo ottenuto, non abbia vinto l’Oscar
per esempio.

La risposta è presto data. Una pecca è rappresentata dalla trama. Gli eventi sono
ambientati nella Francia del 1891, a un anno dalla morte di Van Gogh e il giovane Armand Roulin
deve consegnare una lettera mai spedita del defunto a suo fratello Theo. Armand giunge nella
cittadina in cui l’uomo aveva passato gli ultimi giorni della sua vita e decide, a seguito di vari
incontri, di far luce sulla sua misteriosa morte. Il film risulta un qualunque noir e gli avvenimenti
scorrono lenti e monotoni e lo spettatore ha da subito impressione che “il caso” non vedrà mai una
risoluzione definitiva.

Tuttavia da apprezzare sono i personaggi che appaiono sulla scena, i quali
forniscono ognuno il proprio parere su Van Gogh, pareri che molto spesso sono anche
contraddittori tra di loro. In conflitto vediamo la percezione che aveva di lui la comunità, coloro che
non avevano avuto un contatto diretto o un particolare rapporto, che lo avvertiva come “il pazzo
del villaggio”, quasi un fenomeno da baraccone, in contrasto con chi aveva avuto la possibilità di
conoscerlo che invece riusciva a scorgere in lui la genialità.
Armand diventa, col passare del tempo,
una rappresentazione del pubblico, di uno qualunque di noi che si trova davanti ad un quadro di
Van Gogh e cerca di coglierne la personalità. Il viaggio interiore che compie Armand è lo stesso che
il regista ci costringe ad intraprendere.
Ci costringe a formare un’opinione, la distrugge e la ricrea
fino a farci arrivare a capire, alla fine del film, che è impossibile comprendere una personalità così
tanto complessa. Nessuno dei personaggi può dire di conoscere la verità su Van Gogh. Tutti loro ci
forniscono una tessera, più o meno importante che sia, ad un puzzle destinato ad essere già in
partenza incompleto, in quanto mancherà sempre la più importante fra tutte le tessere: quella
dello stesso artista.
Per questo si è scelto di ambientare la narrazione dopo la sua morte.
Voglio che i miei disegni arrivino al cuore della gente.
Voglio che di me si possa dire: “sente
profondamente, sente con tenerezza”
Così Vincent Van Gogh parlava di sé e della sua arte. Oggi possiamo dire che il suo desiderio si è
realizzato. Ogni suo dipinto è una lettera che arriva dritta a coloro i quali sono disposti a riceverla e
accogliere ciò che hanno da comunicare, ogni sua firma all’angolo della tela è un “con affetto,
Vincent” (che è proprio il titolo del film).