Il risultato delle elezioni federali tedesche lascia l'amaro in bocca per l'affermazione dei populisti xenofobi, peraltro prevedibile vista la storia recente di un paese con pesanti tagli al sostanzioso welfare uniti ad un'impopolare politica di accoglienza sul campo dell'immigrazione. Tuttavia, come in Francia, le forze estreme, se isolate, sembrano impossibilitate a ritagliarsi un ruolo di governo in realtà democratiche e questo, alla lunga, dovrebbe schiacciare l'impeto dei loro sostenitori sotto il peso di aspettative per un radioso domani che non arriverà (si spera) mai.
Sarebbe però interessante studiare bene le dinamiche dei flussi elettorali, visto che in Germania, a differenza di ciò che accade in Italia e in Francia, l'avanzata populista e la crisi dei partiti tradizionali si lega ad una crescente affluenza alle urne: si tratta dunque di una trasmigrazione di voti da una forza all'altra o di un ricambio dell'elettorato? Da un primo calcolo aritmetico prevarrebbe la seconda ipotesi, con una nuova leva, andrebbe capito se nuova anche dal punto di vista anagrafico, che trova in messaggi politici anche violenti lo sbocco della propria identità e partecipazione politica. Sarebbe questo il male maggiore da cui difendersi, l'incapacità cioè della cultura democratica di saper trasmettere alle generazioni più giovani il diritto e il dovere ad una risoluzione pacifica dei conflitti sociali.