Secondo i mass media la Corte di Cassazione avrebbe sancito il dovere per gli immigrati di uniformarsi alla cultura della società che gli accoglie.
Bene, ma che cultura, in Italia? Quale violazione ha commesso lo straniero in questione per meritarsi siffatta sentenza? Chissà, forse avrà messo la pancetta nell'amatriciana, confuse le parole del testo di Volare, allacciatosi le cinture di sicurezza, oppure, disgrazia delle disgrazie, chiesto lo scontrino.
Ironia a parte, egli pretendeva di passeggiare per le vie del paese con alla cintola un coltello dalla lama di venti centimetri, senza porto d'armi né autorizzazione. Di fronte alla richiesta della polizia di consegnarlo, l'uomo si è rifiutato, appellandosi alla natura religiosa dell'oggetto. La Cassazione, messa di fronte alla decisione se la libertà religiosa sia un giustificato motivo per violare il codice penale, ha scelto di ribadire il pacifico principio secondo cui anche in una società plurale “il limite invalicabile è costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante”, derivandone che “nessun credo religioso può legittimare il porto in luogo pubblico di armi o di oggetti atti ad offendere”. E' lo stesso principio che rende illegale in Italia la pratica dell'infibulazione.
Insomma, si è creato un gran polverone attorno ad un caso estremo che peraltro, si badi, nel nostro ordinamento giuridico, a differenza di quello anglosassone, non fa legge. Si ricorderà, diversi anni fa, il clamore che suscitò una sentenza secondo cui non sarebbe stato giuridicamente sostenibile il reato di violenza sessuale, qualora la vittima avesse indossato i pantaloni. Sembrava l'anticamera di una depenalizzazione dello stupro, mentre si è rilevata una fattispecie limite mai più ripresentata.
Il giudice stavolta non ha fatto altro che applicare il buon senso, legittimandolo con il caposaldo di ogni democrazia e cioè che la libertà individuale incontra come unico limite quella degli altri, per come essa è difesa dalle leggi vigenti. Vale per tutti, di ogni religione o etnia. Che poi per ribadire tale concetto abbia usato un termine ambiguo come “valori”, non muta il senso della sentenza, se la si legge attentamente e, soprattutto, senza secondi fini legati alle proprie convinzioni o alle esigenze di una bieca propaganda politica e morale.
Marco Lombardi
Fonte:
http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snpen&id=./20170515/snpen@s10@a2017@n24084@tS.clean.pdf