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L'opinione di Marco Lombardi: Il puzzle delle lobby


Le parole di Luigi di Maio sul lobbismo in democrazia, per quanto improvvide riguardo la presunta lobby dei malati di cancro – benché in effetti esista anche chi specula sul dolore della gente -, sono da non disprezzare per almeno due motivi.
Il primo è che denunciare i mali del lobbismo non regolamentato davanti a una platea di lobbisti è comunque un gesto di coraggio, in un paese dove le priorità e talvolta anche la biografia dei politici fa da camaleonte a seconda dell'uditorio.

Il secondo è che ribadiscono una delle principali distorsioni della politica, non solo italiana: la mancanza di una pianificazione delle scelte. Le politiche pubbliche che si formano a livello locale e nazionale, infatti, dovrebbero essere la ricaduta pratica di una visione programmatica che sta a monte, tradotta strada facendo in progetti e che a valle sfocia nell'esecuzione degli stessi, gestiti direttamente dalle autorità pubbliche o da soggetti privati selezionati in base ai meriti. La prassi segue invece il corso opposto. La lobby segnala la gradita esecuzione di un certo intervento, di natura legislativa od opera pubblica, il politico lo fa suo, spesso in cambio di qualcosa (di regola consenso politico, non di rado favori materiali) e si adopera affinché questo sia giustificato da un progetto che andrà a comporre la visione di governo, la quale risulterà pertanto come un puzzle le cui tessere quasi mai si completano in un quadro d'insieme. Il fenomeno, che prende il nome di particolarismo o clientelismo, lamenta non solo la mancanza di coerenza, ma soprattutto la penalizzazione dei gruppi meno potenti. Rimanendo in tema di salute, è noto che un simile meccanismo “premia” le malattie che statisticamente incidono di più o che godono di maggiore sensibilità sociale - e spesso la sensibilità la fa l'industria farmaceutica -, relegando in un angolino le meno conosciute, ma non per questo meno gravi. E' il caso delle malattie rare, che sono tante, colpiscono complessivamente molte più persone di quanto si creda e finiscono snobbate sia dal mercato sanitario che dal servizio pubblico. Sorte simile per i disabili gravi, i non autosufficienti, pressoché incapaci di organizzarsi in valenti gruppi di pressione, sia per le condizioni psico-fisiche dei diretti interessati, sia perché le loro famiglie spesso non hanno il tempo di pensare ad azioni collettive, specie a livello nazionale.
Il lobbismo insomma, regolato e trasparente, può essere un importante stimolo per la democrazia, purché sia la scossa che aggiusta il ritmo di un organismo già funzionante, non la spina che lo tiene in vita. Inoltre dovrebbe riguardare i partiti, le loro fondazioni e solo di riflesso i gruppi da questi espressi nelle assemblee elettive, non direttamente le istituzioni, specialmente chi riveste cariche di governo e deve eseguire gli indirizzi del mandato politico in modo neutrale e il più possibile protetto da interferenze esterne. Interferenze gradite, ma anche non gradite, perché bisogna dire che a volte il lobbismo è subito da chi amministra la cosa pubblica, il quale, in caso voglia difendersene, ad oggi ha nel suicidio politico la sola scelta percorribile. E' qui che bisogna intervenire, rafforzare gli anticorpi a difesa del buon governo e in tal senso la riforma costituzionale potrebbe anche aiutare, data però l'onestà intellettuale e non solo intellettuale di chi governerebbe forte di un saldo mandato elettorale. Si torna lì, la differenza la fanno la cultura, l'etica, l'onestà, in assenza dei quali perfino un puzzle pieno di buchi è preferibile ad un'unica enorme tessera monocolore.

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