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Evasion, notizie del libero pensiero 26 maggio 2016

Una donna vicino all’opera Sea of hands, a Sydney, in Australia. L’iniziativa fa parte della settimana della riconciliazione tra aborigeni e australiani. (David Gray, Reuters/Contrasto)

Incendio in un ricovero per anziani in Ucraina. Sono morte 17 persone, secondo la nota del ministero delle situazioni d’emergenza ucraino. Gli altri 18 ospiti sono stati trasferiti in un centro provvisorio e alcuni in ospedale. È successo in un villaggio alla periferia della capitale Kiev. 

Secondo l’Oms non serve rinviare le Olimpiadi per l’epidemia di zika. L’Organizzazione mondiale della sanità ritiene che “non altererebbe la propagazione internazionale” del virus. È la risposta alla lettera con cui più di cento scienziati hanno chiesto di non celebrare i giochi in programma in agosto a Rio de Janeiro. Il Brasile è il paese più colpito dall’epidemia, con un milione e mezzo di contagi dal 2015. 

Aperta fino al 27 novembre la 15ª Biennale di architettura di Venezia. Il direttore artistico dell’edizione di quest’anno è l’architetto cileno Alejandro Aravena e il titolo dell’esposizione è Reporting from the front, una riflessione su come migliorare la qualità della vita in circostanze difficili. Il Leone d’oro per il miglior padiglione è stato assegnato alla Spagna.

La Lufthansa non volerà più in Venezuela. Dal 18 giugno la compagnia aerea tedesca sospenderà il collegamento tra Francoforte e Caracas. In una nota, la società spiega di essere arrivata a questa decisione perché i controlli valutari imposti dal governo di Nicolás Maduro rendono impossibile cambiare in dollari gli utili guadagnati nel paese e inviarli all’estero. 

In Francia code alle pompe di benzina per lo sciopero contro la riforma del lavoro. Quasi tutti i depositi sono stati riaperti dalla polizia, ma i lavoratori mantengono ferme sei delle otto raffinerie del paese. Il ministro delle finanze ha aperto alla possibilità di ritoccare i punti più criticati della riforma, in discussione al senato, ma il premier Manuel Valls ha detto che il testo non sarà modificato. 

È presto per recuperare le scatole nere dell’aereo egiziano caduto il 19 maggio. Non saranno ripescate prima di dodici giorni, secondo l’Afp. Per chiarire le cause del disastro c’è fretta: le scatole nere emettono un segnale finché non esauriscono le batterie, cioè per quattro o cinque settimane. L’Airbus dell’EgyptAir in volo da Parigi al Cairo è precipitato nel mar Egeo con 66 persone a bordo.

Secondo l’Onu almeno 700 migranti sono morti nel Mediterraneo nell’ultima settimana. Alcuni sopravvissuti portati ieri a Pozzallo hanno raccontato di essere partiti mercoledì notte da Sabratha, in Libia, in 500 su un peschereccio che ne trainava un altro senza motore con 400 persone, poi affondato. Da mercoledì nel Canale di Sicilia ci sono stati tre naufragi accertati: sono 65 i corpi recuperati, ma centinaia quelli dispersi, secondo l’Unhcr. 

L’Iran non autorizza il pellegrinaggio alla Mecca in polemica con l’Arabia Saudita. I due paesi non si sono messi d’accordo sull’organizzazione del pellegrinaggio di settembre e Teheran ha annunciato che quest’anno gli iraniani non vi parteciperanno. L’esecuzione dell’imam sciita Nimr al Nimr, il 2 gennaio in Arabia Saudita, ha aggravato la storica tensione tra i due paesi, che da allora hanno sospeso i rapporti diplomatici. 

L’esercito iracheno pronto a lanciarsi all’assalto a Falluja. Il governo di Bagdad ha cominciato il 23 maggio una campagna per riconquistare la città – a 60 chilometri dalla capitale – da due anni e mezzo nelle mani del gruppo Stato islamico. Per ora le forze regolari hanno circondato e isolato Falluja, dove sono rimasti bloccati circa 50mila civili.


New York Times (a pagamento)
Il resoconto di Friedman sullo stato di Israele
(che secondo gli Usa ha «il governo più a destra di sempre»)
(Gianluca Mercuri) Thomas Friedman è uno dei più grandi giornalisti americani anche perché pochi hanno capito come lui il Medio Oriente: l’autore del fondamentale From Beirut To Jerusalem (1989) è un ebreo innamorato di Israele che ha percorso per anni la regione raccontandone i (molti) conflitti e le (poche) speranze. Per questo quando scrive un’analisi preoccupata su Israele forse è il caso di preoccuparsi. Friedman dice con ironia (ma fino a un certo punto) che presto il Nyt dovrà chiamare Benjamin Netanyahu «primo ministro di Israele-Palestina», perché «eliminando ogni possibilità di separarsi dai palestinesi della Cisgiordania, Israele sprofonda sempre di più in uno Stato binazionale controllato dagli ebrei estremisti». Per chi si sia perso i drammatici choc vissuti dalla politica israeliana nelle ultime settimane, nel pezzo di Friedman c’è un riepilogo completo: la lacerazione provocata dall’uccisione a sangue freddo, da parte di un soldato, di un assalitore palestinese ferito; il tentativo del ministro della Difesa Moshe Yaalon di preservare «gli alti standard di integrità» dell’esercito; la sua rottura con Netanyahu e le sue parole pesantissime nel dimettersi: «Forze estremiste e pericolose hanno preso il controllo di Israele e del Likud»; la sua sostituzione con il superfalco Avigdor Lieberman; le dichiarazioni senza precedenti dell’ex premier Ehud Barak: «Ciò che sta accadendo è un’opa ostile sul governo di Israele da parte di elementi pericolosi. Israele è infettata dai germi del fascismo»; le parole del filosofo Moshe Halbertal sul Likud: «Il partito di governo si sta trasformando da partito nazionalista con una base democratica a partito ultranazionalista che prende di mira i “nemici interni” — i tribunali, le ong, la scuola, la minoranza araba, l’esercito — ovvero chiunque si opponga al progetto di occupazione permanente della Cisgiordania». Questa è la conclusione che ne trae Friedman: «Per chi tiene al futuro di Israele, è un momento cupo». Sembra della stessa idea il Dipartimento di Stato Usa, che ieri sera ha fragorosamente commentato la formalizzazione dell’accordo tra Netanyahu e Lieberman: «I report che ci giungono descrivono la nuova coalizione come quella più di destra nella storia di Israele. Molti dei suoi ministri si oppongono alla soluzione dei due Stati. Questo solleva legittime domande sulla direzione che il governo può prendere e le politiche che può adottare».

Financial Times (a pagamento)
La produttività degli americani cala per la prima volta in 30 anni
Pessima notizia (tranne che per un americano che di nome fa Donald)
La produttività del lavoro, negli Stati Uniti (ovvero, quanto Pil si produce a parità di tempo di lavoro) è prevista in calo nel 2016 per la prima volta in 30 anni. E, aggiunge subito il Financial Times, che ne dà notizia con un articolo di Sam Fleming e Chris Giles, questo «aumenta le prospettive di una persistenza della stagnazione dei salari e il rischio di un ulteriore contraccolpo populista», che potrebbe ingrossare le fila di chi, soprattutto fra operai e classe media, è attirato dal «messaggio anti-establishment di Donald Trump» (non perdetevi, al riguardo, il commento di Alan Friedman a pagina 29 del Corriere). Ad annunciare il possibile calo della produttività (-0,2%) è il think-tank Conference Board, il cui capo economista, Bart van Ark spiega che «le aziende devono investire seriamente in innovazione». Perché, aggiunge il Ft, «se non cresce il tasso di produttività, le economie avanzate faranno fatica ad innalzare i livelli di vita e a pagare i costi dell’invecchiamento della popolazione». Per dare un’idea del cambio di passo, basta pensare che la produttività, negli Stati Uniti, fra il 1999 e il 2006 è cresciuta (grazie soprattutto alla rivoluzione digitale) a un tasso del 2,4%.

Il Sole 24 Ore (edizione cartacea)
«Una Confindustria no partisan, non bi partisan»
Sul quotidiano degli industriali il discorso del nuovo leader Boccia
«Una Confindustria no partisan, non bi partisan» che sia «equidistante dai partiti ma non dalla politica, per partecipare in maniera responsabile alla definizione delle politiche di questo Paese». Una Confindustria che «deve essere non consociativa, non conflittuale ma corresponsabile», che «deve opporsi ai veti, dire no ai rapporti di scambio, rispettare le competenze e le responsabilità di tutte le parti in gioco». Così parlò Vincenzo Boccia, prima del voto che, ieri pomeriggio, lo ha eletto (con l’87% dei sì, 914, contro 132 contrari) nuovo presidente degli industriali italiani. La riunione dei delegati di Confindustria era a porte chiuse, ma Nicoletta Picchio, sul quotidiano di Confindustria, riporta ampi stralci del discorso del neo presidente. «La nostra è una visione larga dell’industria, fatta di cultura, di innovazione, di creatività, di tecnologia — ha detto Boccia —. Vogliamo puntare sul brand Italia che è un patrimonio unico al mondo» (anche se non privo di ombre, come segnala il calo del 3,6% a marzo del fatturato industriale, cui molti giornali oggi danno ampio spazio). Il neopresidente si è anche detto «orgoglioso di rappresentare i più grandi imprenditori del mondo». Boccia ha anche promesso di voler mantenere «uno stretto rapporto con il sistema» e con gli imprenditori («i vostri suggerimenti saranno per me preziosi»). Oggi Boccia presenterà in pubblico la «sua» Confindustria (ne scrive, nelle Bussole e nella newsletter PrimaOra del Corriere Dario Di Vico) e ad ascoltarlo ci sarà anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Les Inrocks
La tentazione Mélenchon per le presidenziali
Il fascino (per nulla discreto) del candidato del Front de Gauche
(Greta Sclaunich) Era stata la vera sorpresa della ultime presidenziali: era finito sì quarto dietro la sinistra del Ps, la destra dell’Ump e l’estrema destra del Front national. Ma Jean-Luc Mélenchon, candidato dell’estrema sinistra del Front de gauche, aveva realizzato l’impresa di far decollare il bacino di voti della sua coalizione: 11,3% contro l’1,93% della presidenziale del 2007. Il prossimo anno, invece, come andrà? Secondo lui, «il 2017 sarà la volta buona»: lo rivela in un’intervista al settimanale Les Inrocks, del quale è anche il volto di copertina. E se non lo sarà, la sua presenza nella rosa dei candidati non può che far alzare l’asticella del dibattito. Così la pensa Pierre Siankovski, il direttore della redazione, che firma un editoriale dedicato proprio a Mélenchon. Del quale ammira sia «la capacità di avere il polso del Paese» sia quella della passione «che lo anima». E poi c’è quella «follia che ci intriga»: «Chiamatela follia delle passioni, chiamatela anima, chiamatela come volete ma lasciatevi tentare della lettura della realtà di Mélenchon», conclude Siankovski. In fondo si rischia ben poco: le presidenziali sono ancora lontane e questa passione sarà difficile arrivi davvero a smuovere una fetta consistente dell’elettorato.

Bbc
I fratellini siriani che in Svizzera non danno la mano alla maestra
rischiano di dover metter mano al portafogli: multa di 5 mila franchi
Il caso dei due bimbi siriani, di 14 e 15 anni, figli di un imam e immigrati in Svizzera, che rifiutano di stringere la mano alla loro maestra (come nella Confederazione è d’uso a inizio e fine lezione), perché toccare una donna sarebbe contrario all’islam, aveva già sollevato un polverone. Ne aveva scritto anche il Corriere quando, ad aprile, la pratica di concessione della cittadinanza ai due ragazzini di Therwil era stata bloccata. Ieri, nuova puntata del caso: le autorità regionali hanno decretato che la famiglia dei due ragazzini dovrà pagare una multa di 5 mila franchi svizzeri (4.500 euro) se continueranno a rifiutarsi di dare la mano alla maestra. «L’interesse pubblico riguardo all’uguaglianza di genere e all’integrazione degli stranieri - si legge nella disposizione - sopravanza di gran lunga quello sulla libertà religiosa degli studenti». La vicenda aveva diviso anche le comunità musulmane, niente affatto concordi sul fatto che il Corano vieti a un alunno di stringere la mano alla propria insegnante. Quanto ai ragazzini, di 14 e 15 anni, secondo quanto scrive la Bbc, citando media svizzeri, uno di loro avrebbe detto che nessuno li può costringere a stringere la mano a una donna e che la loro cultura «non può essere cancellata come un hard disk». Decisamente, non tira aria di strette di mano.

The Guardian
Le storie della buonanotte per bambine ribelli (ideate da due italiane)
che hanno raccolto 600 mila dollari su Kickstarter
(Davide Casati) «C’era una volta una ragazza messicana il cui nome era Frida». Inizia così una delle 100 storie di donne — Frida Kahlo, Elisabetta I, Serena Williams... — reinventate, a mo’ di favola, in un libro che ancora non è uscito, ma di cui si sanno già parecchie cose che hanno suscitato l’attenzione (e scatenato l’entusiasmo) del Guardian (e nostra). Si conoscono le autrici: Elena Favilli e Francesca Cavallo, due italiane poco più che trentenni. Si conosce il titolo, splendido: «Storie della buonanotte per bambine ribelli». E si conosce quanto il progetto di questo volume puntasse a raccogliere sulla piattaforma di crowdfunding Kickstarter (40 mila dollari) e quanto invece abbia già raccolto: 624.905 dollari. «Una cosa pazzesca, al di là di ogni immaginazione», hanno spiegato le due al Guardian. Raccontando come faranno evolvere il progetto con i fondi in più (più copie, ma anche un corso di leadership al femminile in Ruanda nel gennaio prossimo), e che cosa le abbia spinte a inventarsi questo progetto. E cioè la passione che le aveva portate a inventarsi Timbuktu, una (splendida) app per bambini; l’esperimento fatto con la loro newsletter («le risposte che ci arrivavano erano così entusiaste che abbiamo capito che questo era un libro da fare»), ma soprattutto la consapevolezza che «per le bimbe è importante crescere circondate da modelli femminili. I libri per bambini sono ancora zeppi di stereotipi di genere. E un volume come il nostro aiuterà le bambine a essere più sicure di sé. A sognare in grande».

Wall Street Journal (a pagamento)
Che cosa ci impedirà di passare l’estate lontani dalle mail di lavoro
(ha a che fare con le canzone che non riusciamo a toglierci dalla testa)
(Davide Casati) L’estate sta arrivando, e con essa due certezze: molti manager e dirigenti non riusciranno a staccarsi dal loro lavoro mentre sono (teoricamente) in vacanza, e i loro partner si infurieranno cercando di capire perché diamine non riescano a staccarsi dal proprio (maledetto) cellulare. Jennifer Deal — una ricercatrice dell’Università della California del Sud — prova, parlando al pubblico (interessatissimo) del Wall Street Journal, a spiegare quali siano i meccanismi che rispondono alla domanda dei partner (e pure dei manager). C’entra la tecnologia, certo. E c’entra anche il «calvinismo» personale di ognuno nei confronti del proprio lavoro. Ma in gioco c’è qualcosa di molto più subdolo: l’effetto Zeigarnik. Mai sentito nominare? Può darsi, ma l’abbiamo tutti visto in azione: è lo stesso che ci impedisce di levarci dalla testa un motivetto, pure quando lo vorremmo scacciare. Tecnicamente, è la difficoltà a dimenticarsi di qualcosa quando l’abbiamo lasciata a metà. Il cellulare offre a chi abbia la tendenza a cadere vittima di questo effetto la spaventosa possibilità di finire — ovunque ci si trovi! — quanto non è stato completato. E per i manager, o i dirigenti, la possibilità di aver lasciato incompleto il proprio lavoro è altissima. Rimedi? Immergersi completamente in qualcosa di diverso, che ci occupi completamente. «Lo sport. Allenare la squadra dei propri figli». «Chiudere il cellulare in un cassetto» (occhio all’ansia, però). O «pensare che sarà impossibile completare quel compito in quel momento». Ma attenzione: «l’effetto Zeigarnik fa parte delle modalità di funzionamento del nostro cervello. Impossibile sradicarlo». C’è da sperare che, come scusa, funzioni.

New Scientist
Attenzione alla fotografia sui social: ne va del vostro lavoro
Una ricerca su 66.000 soggetti rivela «5 personalità tipo»
(Silvia Morosi) Simpatici, felici o nevrotici? L’immagine del nostro profilo sui social network rivela molto della nostra personalità. E viene utilizzata (e vagliata) con cura anche da chi analizza le candidature per un posto di lavoro. A dirlo è un’analisi effettuata da un team dell’Università della Pennsylvania, a Philadelphia, riportata da New Scientist. Prendendo in esame 66.000 utenti Twitter e analizzando 3200 «cinguettii», sono state individuate e catalogate «5 personalità tipo: estroversione, apertura a nuove esperienze, piacevolezza, coscienziosità e nevrosi», spiegano i ricercatori, guidati da Daniel Preotiuc-Pietro. È emerso, ad esempio, che i soggetti particolarmente estroversi preferiscono «foto artistiche, spesso magari anche tecnicamente fatte male, ma in cui appaiono più giovani». Le persone aperte a nuove esperienze, invece, «si presentano in un modo stravagante e sono più propense a utilizzare un oggetto nel loro profilo». Inoltre se indossano occhiali non sono da sole e a volte possono avere lo sguardo arrabbiato. «Le persone piacevoli scelgono una foto colorata anche se sfocata e in generale in situazioni ludiche». Quelle coscienziose e autodisciplinate mostrano emozioni positive, «possono apparire più vecchie di quello che realmente sono e tendono a mostrarsi da sole piuttosto che in gruppo». I nevrotici, infine, scelgono di non essere chiaramente visibili o di rappresentare se stessi con un oggetto, piuttosto che un volto. Attenzione quindi alla «web reputation»: probabilmente in pochi, pubblicando un post (e una foto) su Facebook, si interrogano su quali possano essere le conseguenze.

The Guardian
Una campagna di crowdfunding tra gli eredi di Francis Drake
Obiettivo? Riappropriarsi del dipinto del corsaro di sua Maestà
(Silvia Morosi) Chissà se Francis Drake avrebbe mai immaginato che i suoi eredi avrebbero dato vita a una campagna di crowdfunding da 10 milioni di dollari? I parenti del corsaro, il primo inglese a circumnavigare il globo, dal 1577 al 1580, hanno avviato una raccolta fondi per comprare un ritratto di Elisabetta I noto come «Armada portrait», del 1590. Come spiega il Guardian, «non si conosce l’identità dell’autore, ma secondo gli storici dell’arte è uno dei ritratti più iconici della sovrana, di proprietà del pirata», insignito dalla regina del titolo di cavaliere. «Il ritratto elogia uno dei più famosi conflitti della storia britannica contro l’Armada di Spagna, la superpotenza europea del 16esimo secolo». Il dipinto — che esalta la Regina — «è insolitamente grande e orizzontale per il suo tempo. Mostra le mani della sovrana mentre toccano un globo: una rappresentazione del suo orgoglio per la recente colonizzazione del continente». La campagna spera di raccogliere i soldi in circa due mesi.

Le Monde
Loft in vendita a 50mila euro... ma è di soli 3 metri quadrati
Più è piccolo, più è caro: la follia immobiliare di Parigi
(Greta Sclaunich) In teoria, dice la legge francese, se uno spazio misura meno di 9 metri quadri non può essere considerato un appartamento. In pratica, basta scorrere gli annunci immobiliari di Parigi per scoprire mini-appartamenti che questa legge la infrangono eccome. L’ultima follia immobiliare, scoperta da Le Monde? Un «loft» di 3 metri quadri, in vendita nell’ile-Saint-Louis, nel pieno centro della capitale, per 50mila euro. Altri dettagli da sapere: c’è sì una finestra (ma è minuscola) e ci sono diversi lavori da fare. L’agenzia immobiliare che propone il «loft» alza le spalle e ammette, senza fare una grinza, che in effetti il prezzo (di 16.600 euro al metro quadro) «è un po’ eccessivo». Ma in fondo è normale così, come sottolineano i responsabili di altre agenzie contattate dalla testata: «Più lo spazio è piccolo, più è caro». La prova in una serie di annunci da far tremare i polsi: un «appartamento» di 5 metri quadri a 35mila euro, uno da 4,21 metri quadri da 37mila euro (al quinto piano, senza ascensore), uno da 7 metri quadri a 49mila euro...gioiellini carissimi che però, sottolineano gli agenti, «possono servire come deposito: costano comunque meno di un box in affitto». Loro si giustificano così.

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