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Evasion, giornale del libero pensiero 26 Giugno 2016

Una donna con suo figlio all’interno di una tenda nel campo costruito dai rohingya a Hyderabad, in India. Circa 1.200 persone appartenenti alla minoranza rohingya sono scappate dalle violenze che subiscono in Birmania e si sono rifugiate in India. (Noah Seelam, Afp)

Un gatto contro l’ictus 

Da uno studio della Georgia Southern University, su 'High Blood Pressure and Cardiovascular Prevention' emerge che chi possiede un animale domestico, cane o gatto che sia, ha meno probabilità di contrarre malattie cardiovascolari e non solo per l’aumentata attività fisica ma proprio perché la compagnia delle bestiole allevia lo stress. In particolare per l'ictus, nelle donne con animali la probabilità di morire risulta ridotta di circa il 40 per cento rispetto a chi non ne possiede.

The Independent
Quei 2,5 milioni di voti per rifare il referendum
preparatevi al nuovo neologismo: ora è «Bregret»
La discussione, in una Gran Bretagna mai così divisa come oggi, è tutta concentrata sul valore del referendum: possibile che uno scarto di meno di 4 punti percentuali (48,1 per il remain e 51,9 per il leave) abbia deciso il destino del Regno allontanandolo dall’Unione Europea? si chiedono i firmatari (e non solo loro) della petizione per rifare la consultazione che il 23 giugno ha sancito l’uscita del Paese dall’Ue. Mentre la disperata (perché è quasi impossibile si ripeta il referendum) raccolta di firme raggiunge e supera i 2,5 milioni di adesioni, il quotidiano The Independent dà largo spazio al leader liberale Tim Farron che sottoloinea come il risultato del voto sulla Brexit sia «frutto delle bugie della campagna per il leave». E dedica un interessante video inchiesta ai pentiti della Brexit — non perdete anche, sul Corriere di oggi, il reportage di Marco Imarisio da Sunderland — lanciando un neologismo che sentiremo spesso nei prossimi mesi: perché di motivi per rammaricarsi dell’addio a Bruxelles deciso dai suddisti di Sua Maestà Elisabetta ce ne saranno tanti. Il nuovo termine è «Bregret» (ne scrivono anche Daily Record e The Ladbible) , acronimo composto da «Brexit» (che era già la somma di Britain exit) e «regret» e definisce i pentiti del voto. «Tornerei alle urne subito, per votare per il remain — spiega un’elettrice intervistata — sono scoraggiata e sento che i pentiti sono tanti». C’è poi l’indecisa che ha votato per il leave, «ma non credevo che davvero saremmo usciti». E ci sono anche gli astensionisti pentiti: «Non credevo che il mio voto avrebbe pesato tanto, perché pensavo che avrebbero vinto i sì all’Europa». Ora tornerebbero volentieri a votare. Se solo si potesse riavvolgere il nastro.

Deutsche Welle
Brexit, il fronte delle destre si rafforza in Europa
e il partito anti-immigrati chiede il «leave» anche in Slovacchia
La dichiarazione del partito Nostra Slovacchia (Lsns, 8% alle ultime elezioni del marzo scorso), formazione anti-immigrati che ieri ha annunciato una raccolta di firme per convocare anche in Slovacchia un referendum sulla possibile uscita del Paese dall’Ue, non è che l’ultimo segnale di «un fronte delle destre che in Europa si sta velocemente coalizzando dopo il voto britannico per la Brexit». Lo scrive il sito in inglese del tedesco Die Welle, che — accanto all’articolo sul leader Lsns Marian Kotleba, «E’ tempo che anche la Slovacchia lasci il Titanic Europeo» — dedica una lunga gallery ai leader riavvicinati e galvanizzati dal risultato del referendum nel Regno Unito: oltre a Marine Le Pen, a capo del francese Front National, vi figurano Frauke Petry — la combattiva guida di Alternativa per la Germania —, l’olandese Geert Wilders — che ha subito chiesto il referendum anti Ue anche nei Paesi Bassi — , l’austriaco Norbert Hofer, il russo Vladimir Zhirinovsky, lo xenofobo presidente ungherese Victor Orban, il serbo ultranazionalista Vojislav Seselj, nonché l’economista euroscettico ceco Petr Mach. Saranno loro a influenzare il destino delle possibili consultazioni, scrive Die Welle, che — oltre alla Francia — potrebbero presto far rivivere l’horror film della Brexit in Austria, Olanda, Finlandia, Ungheria.

La Stampa
L’Isis brinda alla disfatta di Cameron a aizza i suoi lupi:
«I crociati si disgregano, adesso dobbiamo colpire Berlino»
C’è un altro punto di vista sulla Brexit che pochi osservatori hanno finora sottolineato: ci pensa Giordano Stabile su La Stampa, raccontando di un «Medio Oriente più compiaciuto che preoccupato» e rivelando che la macchina propagandistica dell’Isis — attraverso Telegram — sta festeggiando il voto britannico come l’inizio della «disgregazione dei crociati». E visto che i nemici dell’Islam, gli odiati occidentali che avrebebro portato la guerra in Medio Oriente «stanno facendo a se stessi quello che hanno fatto a noi, utilizzando lo strumento della democrazia», li strateghi del terrore invocano, dal Califfato, una nuova offensiva dei lupi solitari, gli attentatori collegati a cellule dormienti in Europa. Occorre, scrivono alcuni messaggi su Twitter degli jihadisti, «approfittare del caso in Europa per colpire Bruxelles (di nuovo) e Berlino», per accelerare la crisi e «paralizzare» il continente. Intanto, però, nel Golfo Persico crescono le preoccupazioni legate alle conseguenze economiche della Brexit. Troppo esposti dagli ingenti investimenti a Londra (porta d’ingresso nell’Ue), molti tycoon arabi stanno correndo ai ripari. E i politici dei Paesi del Golfo guardano con ansia all’Oman: il suo ministro degli Esteri ha elogiato con entusiasmo l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea e adesso anche Mascate (capitale omaniana) potrebbe decidere di uscire dalla «piccola Ue araba», il Consiglio di cooperazione del Golfo guidato da Riad.

El Mundo
Spagna al voto, pensando alla Brexit: chi sarà l’elettore decisivo?
Alle urne peseranno indecisi ed ex astensionisti
Per la prima volta nella storia delle recenti elezioni politiche nei Paesi membri dell’Unione europea, potrebbero essere gli ex astensionisti a fare la differenza. Almeno così prevede l’analisi di El Mundo, alla vigilia dell’apertura delle urne: «Gli elettori urne che possono fare da ago della bilancia condividono frustrazioni e speranze». Sono i delusi e quelli che fino a ieri non credevano si sarebbero recati a votare il nuovo «partito» che deciderà la vittoria di uno degli schieramenti in Spagna. «Sono un indeciso — spiega uno di loro — ma il partito che appoggiavo a dicembre non ha saputo gestire il mio voto e adesso non so cosa fare». Gli indecisi — che secondo i sondaggi ammontano al 30% dell’elettorato — sono insieme ai «votanti di ritorno» quelli che stabiliranno l’esito della seconda elezione generale in soli sei mesi, i nuovi equilibri tra Popolari, Psoe, Ciudadanos e Podemos. Anche se altri rapporti prevedono che l’astensionismo — al 26,80% lo scorso dicembre — potrebbe salire, alcuni analisti sostengono che giovani e disoccupati potrebbero tornare alle urne per dire la loro, «preoccupati dal tasso di disoccupazione e dalla corruzione» e spinti al voto dalla rabbia (un po’ quel che in Italia accade con M5S). Ma in un altro articolo intitolato «En busca de la movilización del abstencionista», Luis Ángel Sanz scrive che Sanchez è convinto che «la Brexit possa spingere molti elettori a cercare sicurezza nel Psoe» abbandonando partiti come Podemos che ora potrebbero apparire troppo radicali. Se davvero torneranno alle urne gli astensionisti cronici, ci potranno essere sorprese: secondo il politologo Ivan Redondo, l’elettorato decisivo si trova nella «generazione di transizione», fra i 40 e i 60, circa 9,5 milioni di elettori ; peseranno soprattutto a in Andalusia, Madrid, Catalogna e Valencia. Poi conterà, naturalmente, il voto di 11 milioni di pensionati.

il Manifesto (sito a pagamento)
«La vuelta buena»: i comunisti d’Italia sperano
nella vittoria in Spagna della coalizione Unidos Podemos
«La Spagna va oggi al voto per la seconda volta in sei mesi. Contro il premier uscente Rajoy e il Pp (il Partido Popular), in testa nonostante scandali e corruzione», scrive in prima pagina il Manifesto. Che subito precisa: questa volta potrebbe non andare come nelle ultime consultazioni, perché in campo c’è «non un populismo» bensì «la coalizione di sinistra Unidos Podemos guidata da Pablo Iglesias che punta al sorpasso del Psoe e al governo del Paese». Come scrive anche Andrea Nicastro sul Corriere di oggi (che alle elezioni spagnole dedica due pagine), i sondaggi sembrano premiare la coalizione di sinistra che cavalca lo scontento. A Madrid, scrive Simone Pieranni, «si respira la certezza di vivere un momento storico». E per leggere meglio quanto sta accadendo, «gli interventi di Errejon e Iglesias (ndr, al comizio finale) dovrebbero essere ascoltati da chi ancora oggi si ostina a paragonare Podemos al Movimento Cinque stelle o altre forze populiste e fondamentalmente di destra che si muovono nel panorama europeo». Per il Manifesto, Unidos Podemos («essenzialmente anti fascista») oggi costituisce «un esempio di sinistra vera e maggioritaria». Per questo «lo scarto con altre forze considerate populiste e anti sistema è lampante». Insomma la formazione di Iglesias — ormai «un partito organizzato e disciplinato» — potrebbe davvero farcela e, da domani, governare a buon diritto la Spagna.

Il Fatto Quotidiano
Distratti da inglesi e spagnoli, ma c’è stato anche il voto italiano
Dopo le comunali «ecco cosa serve a M5S per governare bene»
Il terremoto Brexit e la nuova consultazione che oggi riporta la Spagna alle urne dopo sei mesi di ingovernabilità sembrano aver messo in secondo piano le vicende italiane e il risultato, eclatante, del recente voto alle elezioni comunali che ha consegnato al Movimento 5 Stelle le redini di 19 grandi città su 20, a cominciare da Roma e Torino. Ecco perché è interessante lo speciale (4 pagine) che Il Fatto Quotidiano dedica oggi al futuro del movimento fondato da Beppe Grillo. E in particolare val la pena di scorrere i pareri di politologi e personaggi della cultura sul tema «Ecco cosa serve a M5S per amministrare bene», perché al governo delle città, come di una nazione, «l’onestà non basta». Da Aldo Masullo (cos’è l’onestà nelle istituzioni) a Isaia Sales (la corruzione e la rivolta elettorale), da Erri De Luca (sporcarsi le mani o tenerle pulite?) a Luciano Canfora (la trappola dei poteri forti), le parole che più ricorrono in questo decalogo del buon governo sono: onestà, corruzione, competenza, sporcarsi le mani, paura di governare, web, poteri forti, pragmatismo, volti nuovi, carro del vincitore. Ricordando, come sottolinea De Luca, che «le mani sporche comportano sempre un deficit di efficienza», dunque la scelta degli elettori che premia M5S può essere letta «anzitutto come una scelta di igiene politica, come fosse un disinfettante per debellare la corruzione».

Bloomberg
Negli Usa matrimoni gay triplicati
da quando 4 anni fa la Corte Suprema li ha resi legali
Per alcuni analisti è una delle legacy, delle eredità più importanti di Barack Obama: la svolta nella tutela dei diritti Lgbt negli Stati Uniti è reale, tangibile. Lo confermano i dati che Bloomberg diffonde in un articolo che rivela come — da quando 4 anni fa la Corte Suprema (sollecitata dal presidente ) li ha resi legali in tutti gli Stati dell’Unione — i matromoni gay negli Usa sono aumentati a dismisura: più che triplicati. «Quattro anni di vittorie», sottolinea il sito. I dati provengono da un sondaggio di Prudential Financial tra lesbiche, gay, bisessuali e transgender: nella comunità arcobaleno diminuiscono i single, aumentano le coppie regolarmente sposate. Nel complesso, il 30 per cento degli intervistati Lgbt ha dichiarato di essere convolato a nozze: balzo straordinario, rispetto all’8 per cento che si registrava nel 2012. Bloomberg pubblica anche un grafico che evidenzia come la tendenza a «regolarizzare» l’unione all’ufficio civile sia più forte tra le donne che amano donne: le proiezioni per il 2016 prevedono che il 24% delle coppie lesbiche si sposerà, mentre tra i gay lo faranno il 16,5%. Dopo un timido avvio nel 2012, il balzo nelle nozze arcobaleno si è avuto nel 2015. L’articolo è ricco di dati anche sulle coppie gay con figli — passate dal 7 al 15% — e di lesbiche con figli, dal 23 al 36%.

Le Monde
In Venezuela 400 mila firme per il referendum anti presidente
Crisi e criminalità piegano il Paese, ma Maduro resta sereno
(Silvia Morosi) L’opposizione venezuelana ha annunciato di aver validato le firme necessarie per richiedere la consultazione sulla revoca dell’incarico di presidente a Nicolas Maduro, il delfino di Hugo Chavez. In cinque giorni — sottolinea Le Monde — oltre 400 mila persone si sono recate negli uffici elettorali per apporre accanto alla propria firma anche l’impronta digitale. «La quantità minima necessaria di firme è stata ampiamente oltrepassata», ha spiegato dell’opposizione Henrique Capriles. La legge elettorale prevede, infatti, che per la richiesta di avvio del processo di convocazione del referendum abrogativo — entro il 26 luglio — ne vengano raccolte almeno 200 mila firme. Il Paese sta affrontando una grave crisi economica e istituzionale (leggete sulla Digital Edition l’Extra per voi di Sara Gandolfi sulle carceri segrete della polizia politica), ma il Presidente chiede l’annullamento delle sottoscrizioni per «frode». Il Venezuela, che dispone delle più ricche riserve petrolifere accertate, è sull’orlo del fallimento per il basso costo del greggio e la gestione dissennata dell’economia. Saccheggi e linciaggi diventano più numerosi, «la gente è stanca dell’aumento della criminalità e dell’inflazione peggiore del mondo (180,9% nel 2015)». Da ultimo la settimana lavorativa per i dipendenti pubblici è stata ridotta a due giorni per problemi di approvvigionamento elettrico. Maduro gode però di un forte sostegno dell’esercito e rimane sereno. «Se ci sarà un referendum, lo affronteremo e vinceremo».

Le Figaro
Treni, stadi, ristoranti (altro che partiti e cda)
Ecco i veri luoghi del potere, fino a ieri
(Greta Sclaunich) Se prendete l’Eurostar del lunedì mattina, guardatevi intorno e tendete le orecchie: potrebbe capitarvi di venire a sapere rumors e anticipazioni su mosse economiche, politiche e finanziarie. Il treno ad alta velocità che porta da Parigi a Londra (finora: chissà come cambieranno le cose con la Brexit) è uno dei veri luoghi del potere del Gotha francese. Che non sono per nulla quelli che potreste immaginarvi: nella lista stilata da Le Figaro, che al soggetto ha dedicato un’inchiesta, non ci sono né sedi di partiti né cda di aziende. Ci sono saune (di club privati ed esclusivi, come il circolo sportivo dell’Union Interalliée la cui iscrizione costa 1.500 euro all’anno), campi da golf (come quello di Morfontaine, così nascosto e segreto che l’entrata è difficile da trovare anche muniti di Gps), battute di caccia (organizzate in castelli e grandi tenute, mica nella campagna qualunque). Per chi non ama lo sport, c’è l’Eurostar ma anche i jet privati per New York e San Francisco (qualche nome? L’AF006 delle 14.05, l’AF084 delle 10.55) o i voli normali, ma rigorosamente Air France e prima classe. E sì, nella lista ci sono anche i ristoranti (naturalmente, stellati). Ma mica seduti ai tavoli come i normali clienti: la gente che conta si riunisce, secondo alcuni rumors, negli uffici degli chef, quelli con vista sulla cucina. Infine, ci sono le logge. Che siano quelle dei teatri o degli stadi, poco importa: in questi spazi riservati si accede solo su invito e, una volta ottenuto il prezioso accesso, poco importa chi scende in campo o si esibisce sul palco - le conversazioni davvero importanti si fanno anche senza seguire un solo minuto dello spettacolo.

Science
Il dilemma morale delle auto senza conducente 
Ovvero: meglio investire un pedone o schiantarsi contro il muro?
(Candida Morvillo) Uno dei vantaggi più pubblicizzati per propagandare le auto senza conducente è che possono ridurre il numero di incidenti fino al 90 per cento. Tuttavia, anche Google Cars e affini rischiano di trovarsi di fronte a un macabro, umanissimo, dilemma. Questo: se un pedone ti taglia la strada e la scelta è investirlo, o sterzare e schiantarsi contro un muro, sacrifichi te stesso o lui? E se i pedoni sono 10? O 20? Definire l’algoritmo che aiuterà la macchina a prendere questa decisione è una sfida notevole. Le auto dovranno essere programmate per proteggere i passeggeri a ogni costo o per sacrificarli, in nome di un bene superiore? La rivista Science ha pubblicato uno studio sul «Dilemma sociale dei veicoli autonomi». Gli psicologi Jean-François Bonnefon, dell’Università di Tolosa, Azim Shariff dell’Università dell’Oregon, e Iyad Rahwan, del Massachusetts Institute of Science and Technology (Mit), hanno intervistato 1.928 persone per tracciare indicazioni di comportamento condiviso. Ne è emerso che quando lo scontro è uno-contro-uno, pedone contro passeggero, solo il 23 per cento salverebbe il pedone. Però, se il numero dei pedoni sale a 10, prevale il principio di salvare il maggior numero possibile di persone e il 76 per cento si dice pronto a immolare se stesso. L’opzione morale, però, s’indebolisce se gli intervistati vengono posti in una condizione specifica: in auto con loro ci sono anche colleghi, familiari, bambini. Ai partecipanti è stato poi chiesto di valutare il modo più appropriato di programmare il veicolo: in una scala da 0 (proteggere il passeggero a tutti i costi) a 100 (ridurre al minimo il numero di vittime), la scelta media è risultata 85, ovvero una schiacciante preferenza per l’opzione buonista. Ma poi quanti comprerebbero un’auto programmata così? Sulla stessa scala di prima, la media si è fermata a 33. Pochi sono così altruisti da spendere dei soldi per cercarsi scientemente un danno.

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