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Evasion, giornale del libero pensiero 25 Giugno 2016

La tradizionale pesca delle sardine a Taipei, Taiwan, eseguita con l’aiuto dello zolfo. La sostanza, a contatto con l’acqua, produce un gas infiammabile che fa emergere i pesci in superficie. (Tyrone Siu, Reuters/Contrasto)

Il presidente sudafricano Jacob Zuma dovrà restituire 7,8 milioni di rand allo stato. A marzo la corte costituzionale aveva stabilito che Zuma avrebbe dovuto restituire una parte dei 245 milioni di rand (14 milioni di euro) di fondi pubblici, spesi per ristrutturare la sua residenza privata di Nkandla. Il presidente si era difeso dicendo che i lavori erano serviti per aumentare la sicurezza del complesso. La cifra di 7,8 milioni di rand (circa 450mila euro) è stata stabilita dal ministero dell’economia, incaricato dalla corte. 

Un’opera di street art scatena polemiche in Francia. Dall’8 al 26 giugno a Grenoble, capoluogo del dipartimento dell’Isére, si è svolto un importante festival di street art, organizzato dal comune della città. Nel murale creato da Goin che s’intitola L’état matraquant la liberté (lo stato che prende la libertà a manganellate), sono raffigurati due poliziotti in tenuta antisommossa con i manganelli in aria pronti a colpire la Marianne, simbolo della Francia. Tanto da destra che da sinistra si è levato un coro di riprovazione per l’opera e di sostegno alle forze dell’ordine. L’ufficio del sindaco Eric Piolle, in un comunicato, ha risposto che pur comprendendo alcune reazioni non ha alcuna intenzione di rimuovere l’opera.

Il primo ministro britannico David Cameron ha parlato alla camera dei comuni. Il leader conservatore ha confermato l’intenzione di dimettersi ma senza forzare alcun passaggio. Anche perché non sarà attivata immediatamente la procedura per uscire dall’Unione euorpea, ma solo quando il Regno Unito sarà pronto. 

La corte suprema degli Stati Uniti si è espressa contro la legge texana sull’aborto. La legge del 2013 è stata considerata restrittiva del diritto delle donne ad abortire dalla massima corte statunitense. Il testo prevede che le cliniche che praticano aborti devono dotarsi di locali, attrezzature e personale equivalenti a quelli delle sale chirurgiche degli ospedali. 

Recep Tayyip Erdoğan si scusa con Mosca per aver abbattuto un jet russo. È il Cremlino a diffondere la notizia che sono arrivate le scuse del presidente turco per l’abbattimento dell’aereo da combattimento russo avvenuto il 24 novembre del 2015, al confine tra Turchia e Siria. Il Cremlino ha rilasciato una dichiarazione citando il governo di Ankara che “non ha mai avuto né la volontà né l’intenzione” di colpire il jet. Le autorità turche, assecondando le pressioni da parte della Russia, riapriranno l’inchiesta nei confronti del turcmeno Alparslan Çelik, ritenuto responsabile dell’abbattimento.

Francia, Italia e Germania vogliono dare un nuovo impulso all’Europa. François Hollande, Angela Merkel e Matteo Renzi si sono incontrati a Berlino per tracciare alcune linee guida dopo il voto britannico sull’uscita dall’Unione europea. Non ci saranno trattative con Londra finché la procedura di separazione non sarà avviata formalmente. I tre capi di stato metteranno a punto una proposta da presentare ai partner europei. 

Il Partito popolare vince le elezioni spagnole, ma non ha i numeri per governare. Il partito di Mariano Rajoy ha conquistato 137 seggi, meno dei 176 necessari per governare. Il Partito socialista è il secondo partito spagnolo con 85 deputati, mentre Unidos Podemos (l’alleanza di Podemos e Izquierda unida) è il terzo con 71 seggi. Ciudadanos, il partito di centrodestra guidato da Albert Rivera, ha ottenuto 32 seggi. L’affluenza alle urne è stata del 69,8 per cento. Per formare un governo sarà necessario formare una coalizione, ma i socialisti hanno già escluso un’alleanza con i popolari. 

La procura di Parigi apre un’inchiesta sull’incidente che ha coinvolto l’aereo Egyptair Ms804. Il volo Egyptair Ms804 in volo tra Parigi e Il Cairo è caduto nel mar Mediterraneo il 19 maggio con 66 persone a bordo. La procura francese aprirà un’inchiesta per omicidio colposo. Un portavoce della procura ha infatti spiegato alla Associated Press che al momento non esiste alcuna prova che colleghi l’incidente a un’azione terroristica.

L’Unità, Il Foglio, Il Sole 24 Ore (a pagamento)
Domina le prime pagine il no di Londra all’Unione:
«Ora rialzare la testa», «Europa, svegliati»
«C’era una volta l’Europa», il Manifesto. «Uno spettro si aggira per l’Europa: l’Europa», Il Foglio. «Il giorno che ha diviso l’Europa. Il Mondo in bilico», La Stampa. «Autogol britannico, la Ue si scuote. Bruxelles: uscite presto», Avvenire. «Brexit, un piano per salvare la Ue», Repubblica. «Oh my God che botta. Gran Bretagna choc: lascia l’Unione», Il Giornale. «L’Euro? E’ tecnicamente fallito. Effetto domino: 32 bombe», Libero. I titoli delle prime pagine sui quotidiani italiani sono tutti dedicati alla Brexit, che fanno seguire decine di articoli dedicati alle conseguenze del voto referendario che ha deciso l’uscita del Regno Unito dall’Ue. Su due di questi vale la pena di soffermarsi. L’Unità titola a tutta pagina «Disintegration Day», sotto la foto di una mongolfiera che si allontana con i colori della Union Jack e il titolo di sovratestata «L’isola che non c’è»: il fondo è firmato da Sandro Gozi, sottosegretario con delega agli Affari europei del governo Renzi. «E’ in momenti come questi che la politica deve rialzare la testa e dimostrare che la storia europea è più forte di chi vuole distruggerla», scrive Gozi, affrontando poi la tesi del premier: l’unica via d’uscita per salvare l’Ue è «rifare l’Unione Europea», organizzare una nuova Ventotene, come spiega bene a pagina 17 sul Corriere di oggi Maria Teresa Meli. Il Sole 24 Ore punta i riflettori proprio sull’importanza della reazione collettiva che dovrà venire dai tre principali Paesi fondatori (su sei) dell’Unione Europea: lunedì Francia, Italia, Germania dovranno dare «risposte politiche all’altezza di una decisione storica — scrive il direttore Roberto Napoletano —. Non abbiamo più tempo per vertici vuoti e inconcludenti... bisogna che lunedì nell’incontro a tre (Merkel, Renzi e Hollande), l’Europa si svegli e batta un colpo... i tre premier più quello spagnolo rappresentano oltre il 70% del Pil dell’eurozona, hanno tutti i numeri e la legittimazione politica per prendere decisioni non usuali in termini di lavoro, crescita, welfare, sicurezza e immigrazione».

The Telegraph (sito con paywall) e Evening Standard
Il «Torigraph» minimizza il terremoto: ora ottimismo
Ma rilancia lo spettro invasione: «Calais ci spedirà i profughi»
«Con rispetto, caro primo ministro, si prepari all’Era di Boris (Johnson)», scrive in un editoriale sul Telegraph — soprannominato «Torygraph» per le sue simpatie politiche — Tim Stanley. Il quotidiano britannico tiene i toni bassi rispetto ai giornali delle altre capitali europee, non alimenta timori sulle conseguenze economiche della Brexit (non in prima pagina), non urla le ragioni del sì all’uscita dall’Ue, ma sottolinea che l’ex sindaco di Londra Boris Johnson e il ministro della Giustizia Michael Gove si preparano a guidare l’esecutivo, il nuovo Brexit government. Poi si spinge a immaginare «un’era per l’ottimismo e per un nuovo inizio»: «Nonostante molti siano comprensibilmente preoccupati per il loro futuro, specie dopo aver assistito alla volatilità di borse e mercati ieri, ci sono tutte le ragioni per essere ottimisti». E le elenca: «Questo non va visto come un voto per voltare le spalle al mondo e ritirarsi in un guscio isolazionista. Al contrario: il Regno Unito è sempre stato un attore globale e, libero dalle catene istituzionali dell’Ue, può e dovrà prosperare... I nostri vicini rimarranno i nostri partner commerciali più stretti ed i nostri alleati strategici». Ma poco sotto si contraddice, con un articolo che sa di propaganda, tanto per tenere i lettori sulle spine anche dopo il voto referendario: non è che avete votato sì all’uscita dall’Ue per difendervi dai migranti? sembra sottintendere il giornale. Perché in tal caso non dovreste abbassare la guardia. Attenti: «Adesso Calais (la Francia) potrebbe decidere di spostare i campi dei migranti in Gran Bretagna». Già ieri il pomeridiano Evening Standard riportava le dichiarazioni di alcuni politici francesi e del sindaco di Calais, Natacha Bouchart: «Gli inglesi paghino il conto, si riprendano gli immigrati».

The Independent
Gli inglesi si chiedono: «E adesso come viaggeremo in Europa?»
I passeggeri Uk si preparano a conti salati. Incognita EasyJet
The Independent, che in prima pagina dedica l’apertura ai timori di un effetto domino nell’Unione Europea, riserva uno spazio all’analisi di cosa cambierà per i turisti con passaporto britannico in viaggio in Europa: «Con l’alta stagione alle porte, milioni di connazionali scopriranno subito gli effetti del “leave”... Tanto per cominciare pagheranno le vacanze più care», perché con la pesante svalutazione della sterlina (meno 10% solo nel primo giorno dopo il verdetto delle urne sulla Brexit) i prezzi di viaggi, ristoranti e alberghi aumenteranno: «Dall’espresso in un caffé parigino alla stanza nel resort di lusso alle Maldive, costerà tutto più caro». Il cambio su dollaro e euro instabile «influenzerà la maggior parte delle nostre vacanze nelle aree a moneta unica: sulle coste spagnole come nella campagna francese, nelle città italiane come sulle isole greche». Eppoi il carburante degli aerei si paga in dollari: perciò, cari inglesi, aspettatevi aumenti nei biglietti aerei. Vi costerà più caro noleggiare un’auto e fare il pieno. E se vi eravate abituati alle tariffe convenienti delle low cost, scordatevele: almeno per EasyJet l’uscita dall’Ue potrebbe significare difficoltà di ottenere i diritti di decollo e atterraggio in molti Paesi Ue e decisi aumenti dei costi di esercizio. Certo, questo dipenderà dagli accordi commerciali che Londra fuori dall’Ue prenderà con i Paesi dell’eurozona. Quindi, forse, prima che Bruxelles tarpi le ali a EasyJet potrebbe passare un po’ di tempo. Forse quest’estate non andrà così male per i turisti britannici diretti nei paradisi delle vacanze dell’Unione.

Ekathimerini
Ma la Grecia è davvero preoccupata dalla Brexit:
quest’anno spariranno i turisti da Londra e Manchester ?
Partiamo dal dato complessivo: nell’era della crisi economica più drammatica che Atene abbia mai affrontato, nel corso di quel 2015 segnato più volte dai timori di una «Grexit» (ma in questo caso l’uscita del Paese dall’Unione non sarebbe arrivata per via referendaria, quanto piuttosto con un’espulsione) i turisti che a migliaia volano da Londra e Manchester in Grecia erano aumentati di circa il 15 per cento, raggiungendo quota 2,4 milioni. La più importante rappresentanza di stranieri in vacanze fra il Partenone, le Cicladi e il Dodecaneso. E adesso la Brexit mette a rischio i bilanci di molti imprenditori nel settore turistico ellenico. O almeno così pensa il quotidiano Ekathimerini, sul cui sito si legge che «un funzionario del governo di Atene ha messo in guardia sul possibile impatto negativo del referendum inglese sul turismo greco». Ora i sudditi di Sua Maestà «potrebbero spaventarsi per l’aumento dei costi delle loro vacanze greche (causa cambio) e rinunciare». Secondo Andreas Andreas, capo della Federazione delle imprese turistiche elleniche (Sete) «le conseguenze potrebbero essere imprevedibili».

La Nacion
Brexit e diritti di volo, Ryanair tira un sospiro di sollievo
e punta sull’Argentina: triplicheremo il numero dei passeggeri
Nel giorno in cui tutte le compagnie aeree low cost con sede legale in Gran Bretagna rischiano lo stop ai diritti di volo, Ryanair tira un sospiro di sollievo: sì, certo, potrebbe avere problemi per i permessi e gli slot che riguardano gli aeroporti del Regno Unito, ma la sua sede legale è nell’europeista Irlanda. Così la compagnia di Michael O’Leary può continuare a pensare in grande. tanto in grande da aver preso di mire l’Argentina, dove si prepara a una rivoluzione epocale: «Entro fine 2017, triplicheranno gli argentini in grado di viaggiare in aereo», promette O’Leary. Sì, perché anche il Paese che fu di Peron e della famiglia Kirchner si appresta ad affrontare l’invasione delle low cost. A cominciare proprio da Ryanair. «È solo una questione di tempo», conferma Declan Ryan, figlio del fondatore della compagnia irlandese (e artefice, insieme a O’Leary, del suo boom) in un’intervista a La Nacion. Le operazioni sul mercato argentino cominceranno l’anno prossimo: seguendo le orme della colombiana Avianca, entrata nel mercato argentino acquisendo la Macair, Ryanair punta a comprare Ande Airlines, società con sede a Salta operativa dal 2006 e proprietaria di cinque Boeing MD 83 da 165 posti. Far partire le prime rotte low cost comporterà per Ryanair un investimento da 50 milioni di dollari. Per questo il vettore irlandese cerca sponda nel governo del presidente Macri: «I costi negli aeroporti argentini sono troppo alti — accusa Ryanair — . E non è possibile che un unico operatore (Aeropuertos Argentina 2000) controlli da solo 35 dei 38 scali del Paese. In Colombia sono almeno in quattro a farsi concorrenza sul mercato». Ad ogni modo, se la ricetta Ryanair dovesse decollare, «in Argentina passeremo dal 5-7% di residenti che hanno preso almeno una volta l’aereo ad almeno il 20%». In Spagna, tanto per fare un esempio, il 70% degli abitanti vola regolarmente.

Inspire
Dopo la strage di orlando, sul giornale di Al Qaeda 
i consigli per diventare perfetti lupi solitari
(Guido Olimpio) Consigli per lupi solitari dal «Lone Jihad Guide Team». Tre pagine fitte pubblicate su Inspire, la rivista online in inglese dei qaedisti della Penisola arabica. Un riferimento importante per i militanti che vivono in Occidente. L’autore esamina in dettaglio la strage di Orlando, esalta il successo dell’attacco di Omar Mateen e rilancia l’appello alle azioni individuali. Per gli estremisti non c’è alcuna distinzione quando si prende di mira il nemico, dunque è legittimo attaccare i civili in quanto vanno considerati come «pubblico combattente». Inspire sottolinea come l’attentato abbia avuto successo in quanto Omar ha potuto disporre facilmente di armi, ha colpito un luogo affollato di notte e dove i presenti «erano ubriachi», infine ha tenuto testa alla polizia provocando un numero di vittime mai visto prima d’ora in questo genere d’operazioni. All’elogio segue un suggerimento. In futuro è meglio non colpire le minoranze (omosessuali, ispanici..) poiché le autorità — afferma il jihadista — cercheranno di presentare l’assalto con altre motivazioni, come l’odio per i gay, mentre invece deve essere un atto parte della lotta globale. L’ordine è esplicito: meglio attaccare le aree dove si «concentrano gli anglo-sassoni».

Vice
Le rifugiate siriane costrette a diventare
seconde mogli (usa e getta) in Turchia
(Lorenza Cerbini) Molte di loro sono analfabete e non riescono a trovare un lavoro che le renda indipendenti. Per esorcizzare la povertà sono così costrette ad accettare matrimoni con uomini già sposati e interessati solo al sesso. È questo il destino di molte giovani donne siriane che in Turchia cercano di rifarsi una vita, ma finiscono in un limbo senza alcun riconoscimento legale. La denuncia pubblicata su Vice.En arriva da Kamer, una fondazione per i diritti umani con sede nella cittadina turca di Gaziantep, dove vivono oltre due milioni di siriani. Povere, sole, senza contatti, per molte rifugiate il matrimonio sembra solo «il modo più semplice per vivere una vita normale», la via per sfuggire alla prostituzione. Ma i nuovi mariti spesso le nascondono ai familiari, alla prima moglie, ai figli e sono pronti ad abbandonarle non appena termina l’euforia del sesso. Nonostante in Turchia la poligamia sia diffusa, solo la prima moglie gode di diritti legali. Le seconde mogli — le siriane — non sono indennizate in caso di separazione, non possono ottenere la custodia dei propri figli, ma soprattutto non possono guadagnarsi quella nuova cittadinanza a cui aspirano. La battaglia per il riconoscimento dei propri diritti è appena iniziata e non sarà indolore. Le organizzazioni come Kamer, Mercy Corps e Mazlumder cercano di far loro capire che per integrarsi è importante superare la barriera linguistica, conoscere la legge e i costumi locali. Per chi riesce a trovare lavoro i risultati sono più promettenti. Come nel caso di Mayada. Fa la commessa ed è divorziata da un marito che le ha sottratto i tre figli. «Non ho fiducia negli uomini. Né siriani né turchi» dice, orgogliosa della sua nuova indipendenza.

The New Yorker
Perché, in Siria, Isis e Assad
colpiscono anche medici e infermieri
(Marta Serafini) Negli ultimi cinque anni il governo siriano ha assassinato, bombardato e torturato almeno 700 dottori e infermieri. A riportare questo dato è il New Yorker che in una lunga inchiesta ricostruisce la condizione dei dottori siriani a partire dal marzo 2011. Fin dai primi giorni delle rivolte i dottori sono diventati un obiettivo di guerra. È il caso di Ali al Mahameed, colpito alla testa e al petto mentre cercava di soccorrere i manifestanti feriti nelle rivolte di Dar’a. Ai suoi funerali parteciparono centinaia di persone, anche loro finite nel mirino dei soldati. Ma non solo. Nei due anni successivi i cecchini rimasero sul tetto della costruzione di fronte all’ospedale per colpire chiunque cercasse di entrare per farsi curare. L’obiettivo di Damasco è colpire l’opposizione che ha fatto dell’assistenza medica alla popolazione uno dei suoi punti di forza per guadagnare consenso. E stesso scopo persegue Isis. Rapendo e uccidendo cooperanti e volontari, il gruppo terroristico ha reso praticamente impossibile il lavoro delle Ong sul campo. Il risultato è che ora in molte zone della Siria, i civili non hanno strutture e dottori cui rivolgersi. Mentre i medici sono costretti a insegnare via Skype di nascosto, per evitare di essere catturati.

La Nacion
Da capitale del jet set a triste scena di un crimine perenne
La decadenza di Acapulco, raccontata dalle fotografie
(Lorenza Cerbini) Un uomo con il volto a pezzi, ucciso davanti ad un supermercato. Una donna che soccorre un ferito subito dopo una sparatoria. La polizia, in tenuta mimetica, mentre pattuglia in pieno giorno la spiaggia. Un pescatore che cerca di vendere qualche triglia ai bagnanti, nel lungomare dove 50 anni fa prendevano il sole i vip del jet-set internazionale. Sono immagini di una città votata all’autodistruzione, quelle realizzate da Enric Martí, responsabile della sezione fotografia dell’agenzia Associated Press per l’America Latina e pubblicata da La Nacion. Per una settimana ha percorso Acapulco per documentare quello che l’ha resa la città più violenta del Messico. «Qui il livello di violenza è allarmante. Ma è il contrasto tra il passato di splendore e la attualità che richiama l’attenzione» dice Martí. Acapulco è oggi territorio di battaglia per narcotrafficanti che vi hanno imposto il proprio dominio — e, di fatto, pure il coprifuoco. Il 51% della popolazione vive sotto il livello di povertà e nascosta in casa, rimpiangendo i bei tempi. Negli anni Cinquanta, gli attori John Wayne e Johnny Weismuller vi passavano lunghi periodi nell’hotel di cui erano proprietari, «Los Flamingo», mecca del turismo internazionale. Oggi quelle stanze sono solo piene di fantasmi e Martí ha potuto constatarne la decadenza immortalandola con un clic. Sparatorie e assalti fanno poi parte della quotidianità. «Mi ha soprattutto colpito l’impunità dei crimini che ho fotograto. Il 99% dei delitti restano senza colpevoli e non saranno mai risolti» dice il fotoreporter. «Bloody Acapulco» è chiamata adesso questa città in cui un unico testimone è rimasto uguale a se stesso, quell’oceano che continua a regalare un panorama spettacolare.

Al Jazeera
Birmania, viaggio tra la minoranza discriminata
Vietato ai funzionari chiamarli «rohingya»
(Silvia Morosi) Un passo verso il riconoscimento di quello che l’Onu ha definito un popolo «senza amici e senza terra». In Birmania è stato vietato ai funzionari pubblici l’utilizzo del termine «rohingya» («il popolo di Rohing»). In un comunicato il ministero dell’informazione, come riporta Al Jazeera, ha proibito di riferirsi alla minoranza musulmana perseguitata con questo appellativo discriminatorio. La decisione è stata presa in occasione della visita nel Paese di Yanghee Lee, inviato speciale delle Nazioni Unite. Per le autorità birmane, i «rohingya» dovranno essere chiamati «popolazioni di religione islamica», e non essere più soggetti a persecuzioni e isolamento. Il gruppo che risiede nel nord della Birmania, al confine con il Bangladesh, non è ad oggi riconosciuto come minoranza dal governo e fa parte degli strati più poveri della popolazione. «Rappresentano il 5%, e sebbene l’Onu abbia invitato il governo a riconoscergli la cittadinanza, questa minoranza rimane in uno stato di apolidia, di non esistenza nella sua terra». Alla base delle persecuzioni c’è la discriminazione razziale e religiosa perpetrata dalla maggioranza di fede buddista. « Non possono sposarsi nè viaggiare senza il permesso delle autorità, non hanno il diritto di proprietà, e ogni coppia può avere al massimo due figli». In molti tentano di lasciare il Paese con la speranza di trovare la libertà, ma l’esodo si rivela fatale: molti muoiono in mare durante le traversate, altri vengono uccisi da agenti di frontiera e popolazioni ostili. Alcuni governi hanno vietato addirittura di soccorrerli.

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