Appuntamenti in Primo Piano: Prima assoluta Nazionale YERMA di Federico Garcia Lorca dal 31 marzo al 3 aprile al Teatro Vascello Roma
STAGIONE
TEATRALE 2015-2016
Teatro Vascello
sala Giancarlo Nanni
PRIMA
NAZIONALE
dal 29 marzo al 3 aprile 2016
prosa
dal martedì al sabato h 21 domenica h 18
YERMA
di Federico
Garcia Lorca
Regia: Gianluca
Merolli
Traduzione e
adattamento: Roberto Scarpetti
Attori: Elena
Arvigo, Enzo Curcurù, Gianluca Merolli, Giulia Maulucci e
Maurizio Rippa
Scene:
Alessandro Di Cola
Costumi:
Claudio Di Gennaro
Musiche: Luca
Longobardi
Movimenti Luca
Ventura
luci Pietro
Sperduti
Foto Fabio
Gatto
“YERMA” , LA
MATERNITA’ COME RICERCA DELLA PROPRIA IDENTITA’
Dal 29 marzo al 3 aprile 2016 al Teatro Vascello di Roma va in scena
"Yerma" spettacolo prodotto da Andrea Schiavo | H501 srl insieme a La
Fabbrica dell'attore - Teatro Vascello, tratto dall'omonima opera teatrale di
Federico Garcia Lorca, con la regia di Gianluca Merolli e la traduzione e
l'adattamento di Roberto Scarpetti.
Yerma, interpretata da Elena Arvigo, è l’eroina protagonista che dà il nome
all’opera, il cui significato letterale in spagnolo rimanda immediatamente ai
concetti di “deserto” e “sterilità”. Ed è caratterizzato proprio dalla
solitudine e dall’aridità il mondo di Yerma, come anche la ristretta ma
variegata comunità in cui vive la donna, che desidera a tutti i costi avere un
figlio dal marito e che, quando scoprirà che lui non condivide il suo stesso
desiderio, cadrà in un vortice di ossessione e dolore che culminerà in un gesto
estremo.
Quest' opera di Garcia Lorca scritta nel 1934 e pubblicata nel 1937, dimostra
una grande attualità: in essa l’autore andaluso sembra anticipare le domande
più recenti sulla bioetica e sul diritto alla procreazione, inserendosi a pieno
titolo nell'attuale dibattito sulla procreazione assistita e sul diritto alla
genitorialita', con una posizione moderna e assolutamente laica.
Note di regia.
Più che un
testo teatrale, sembra una favola nera, una storia torbida di vittime e
sciacalli, dove le vittime e gli sciacalli si scambiano i ruoli regolarmente.
Yerma. Un
equilibrio perfetto basato sull'autosufficienza degli archetipi umani, che si
stagliano nella storia come presenze necessarie, che si alternano nella trama a
volte da protagonisti, a volte da semplici messaggeri. Qui non abbiamo di
fronte Maria, Juan o Victor, ma lo Sposo, la Sposa, l'Amante, la Vecchia... E
non dialogano, ciascuno immerso nella propria solitudine, nella propria
aridità. Non solo una presunta sterile, Yerma, che ha fatto del desiderio
d'avere un figlio la sua ossessione, ma un mondo di persone che non sanno più
toccarsi, arsi e infecondi.
Questo ha reso
ai miei occhi il testo così interessante. Mi sembra che il decadentismo e il
senso di sconfitta dell'autore sia diventato quello dei personaggi, e che
questo ripiegarsi in se stessi dei personaggi, la loro urgenza di darsi un
senso, sia facilmente riconducibile al mio, al nostro.
E già, viene il
giorno in cui si fanno i conti con cosa resterà di noi, con quello che abbiamo
saputo costruire, per poi poterlo donare e abbandonare. Inevitabilmente si
omaggia il materno e la sua eredità.
La madre,
l’attesa, l’autorità. Cosa resta della madre quando si diventa madri? O perché
non lo si diventa mai? Perché spesso resta sopito quel desiderio che pure
sembra lecito, obbligato e che invece a volte fa paura? Quell’istinto di
generare così diverso nell’uomo e nella donna, forse semplicemente non esiste?
Qui si scontrano la possibilità recente
di
autodeterminazione, con l’antica dipendenza tra uomo e donna. L’autore sembra
anticipare le domande più recenti sulla bioetica e sulla procreazione, con una
posizione assolutamente laica.
Il testo, uno
dei meno praticati di Lorca, vola altissimo facendosi forte di una stretta
dicotomia tra verso e prosa, in una lingua asciutta, viva, concreta. C'è
qualcosa di ieratico nel testo, qualcosa che ricorda lo
"E'
così." Come se si aspettasse il figlio di Dio, un figlio che porti grazia
e speranza, che ci riconcili con l'assoluto, che ci renda immortali perché dia
continuità alla nostra discendenza.
Senza considerare
che il solo amare fino in fondo sarebbe già sufficiente.
E tutto intorno
l’ignoranza e il pensiero comune che bloccano la conoscenza, il dialogo e la
vita stessa; quel pensiero comune che accontenta tutti, tranne Yerma.
Quanto dolore
nelle pagine di Lorca?
La forza ci
vorrebbe, per gridare ciò che non si vuole essere, dire, agire. Per gridare chi
si vuole seguire, dove si vuole fuggire. Il volere. Questo bisogno disperato di
entrare nel corpo di un altro, di dare vita, di riceverne. In questo mondo
prosciugato di desiderio, di calore umano, ci siamo bevuti tutto ed ora non si
beve più. Non si piscia più, non si eiacula più. Non c'è rimasto che il nostro
corpo e un posto nel mondo da occupare e rivendicare. Pochi i fortunati, mai a
vista. Tanti i disperati, tutti esposti al pubblico ludibrio.
Alla mamma e
alla madre.
La madre dei bambini , dei non nati,
dei bastardi e degli stranieri.
Alla mamma dei
silenzi.
Alla madre dei
padri. I padri che non vogliono esserlo e di quelli che non
l'hanno avuto e
di quelli che l’avrebbero voluto diverso.
Alla madre che
verrà.
A mia madre. Gianluca
Merolli
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