Istituto
Superiore di Sanità, ma inferiore per legalità?
Passi
che aziende sanitarie, ospedali, forze di polizia, servizi sociali,
istruzione e ambiente, appesantiscano il saldo negativo del bilancio
pubblico, ferma restando una sana gestione delle risorse è ovvio.
Ma
che un ente quale l'Istituto Superiore di Sanità, istituito non per
erogare prestazioni inalienabili ai cittadini, ma per svolgere
attività di ricerca e sperimentazione, possa essere commissariato
per deficit eccessivo, è qualcosa difficilmente comprensibile. Il
dubbio che ci si trovi di fronte all'ennesimo assumificio, fonte di
consulenze e studi, più o meno utili, commissionati con eccessiva
leggerezza, è lecito e forte. Pensare poi che tale presunta
dissipazione sarebbe stata finanziata con i fondi del Ministero della
Salute, alla luce dei tagli nella rete delle cure e dell'innalzamento
dei ticket sanitari, rende il tutto ancora più indigesto. Sia
chiaro, l'idea che lo Stato possa essere gestito come un'azienda, con
i conti magari in attivo, andrebbe annoverata tra le bufale buone per
imbonire una piazza calda, anzi bollente. Per questo, da qualche anno
questa illusione rappresenta il motivo portante di tutti, o quasi, i
discorsi politici. Come sia però possibile che un'organizzazione
nata per fornire servizi essenziali alla collettività, senza
riceverne altro corrispettivo economico se non una tassazione
imparagonabile al prezzo di mercato, neppure per i cittadini più
facoltosi, stante il principio di progressività contributiva, anche
i più fini economisti dovrebbero spiegarcelo. Proprio in
considerazione che lo Stato non è un'azienda quotabile in borsa, chi
si propone ed è chiamato a gestirne gli affari, dovrebbe sommare
alle normali competenze del bravo amministratore, anche un fortissimo
senso etico, perché le tentazioni del potere sono tante,
specialmente per chi ce l'ha.