È pronto e sta per essere spedito agli abbonati il numero di luglio 2014
del “Foglio volante - La Flugfolio”, mensile letterario e di cultura varia al
XXIX anno di vita. In prima pagina l’articolo a firma Amerigo Iannacone
Iannacone “Esperanto, codice linguistico soprannazionale”. Vi compaiono poi, oltre
alle solite rubriche, testi di Rosa Amato, Loretta Bonucci, Fabiano Braccini, Carla
D’Alessandro, Giuditta Di Cristinzi, Tony Di Filippo, Georges Dumoutiers, Vito
Faiuolo, Amerigo Iannacone, Daniele Maraviglia, Concetta Laura Mauceri, Fryda
Rota, Gerardo Vacana.
Ricordiamo che per ricevere regolarmente “Il Foglio volante” in formato
cartaceo è necessario abbonarsi. L’abbonamento – che dà diritto a ricevere tre
libri omaggio per un prezzo di copertina superiore al costo dell’abbonamento
(18 euro) – serve anche a sostenere un foglio letterario che non ha altre forme
di finanziamento. Per ricevere copia saggio, ci si può rivolgere all’indirizzo:
fogliovolante@libero.it oppure
al numero telefonico 0865.90.99.50.
Riportiamo, qui di seguito, il testo di apertura, un breve testo dalla
rubrica “Appunti e spunti - Annotazioni linguistiche” e una poesia di Giuseppe
Quirino.
Esperanto, codice linguistico
soprannazionale
Provate a immaginate che quando, una quindicina di
anni fa, si parlò di una moneta unica per l’Europa, vi avessero detto: «È
opportuno che l’Europa abbia una moneta unica, perciò adottiamo tutti la
sterlina». Vi sarebbe sembrato giusto? Oppure adottiamo il marco o il franco o
una qualsiasi altra moneta nazionale, imponendola come moneta europea. Che
avreste pensato? Sicuramente avreste pensato che si stava perpetrando un
sopruso e certamente non l’avreste accettato a cuor leggero.
Invece fu introdotto l’euro, che può anche avere molti
difetti, ma comunque è una moneta di tutti in generale e di nessuno in
particolare. E se c’è qualche contestazione riguarda proprio il fatto che
qualcuno non ritiene l’euro abbastanza neutrale.
Ebbene, un sopruso del tutto simile a quello
ipotizzato per la moneta, è quello che sta succedendo per le lingue. Vi dicono:
«È opportuno che l’Europa abbia una lingua unica, perciò adottiamo l’inglese».
Magari non ve lo dicono esplicitamente, ma vi impongono l’inglese subdolamente,
a poco a poco. E negli ultimi tempi anche a molto a molto. Ogni giorno trovate
qualche voce in piú, anche negli ambienti ufficiali, dal premier al jobs akt, dal question time al welfare, allo spread, a web tax, ecc. E un presidente del
consiglio che dice in un discorso ufficiale che una certa signorina “briffava
later e see you soon” (boh!)
Ogni giorno qualche novità: un giorno vi arriva il
cedolino dello stipendio e vi trovate scritto “service personale”, un giorno andate a pagare un bollettino postale
e poi potete leggere nel timbro lasciato dalla stampante Transaction Key. E non si parla di una “giornata elettorale” ma di election day, e non ci sono piú
biglietti, ma tickets e le notizie
sono sempre news, eccetera eccetera.
Ogni giorno una piccola dose di veleno, ogni un po’ di
piú, per farvi assuefare, per anestetizzarvi mentre prevaricano e vi
violentano.
Eppure abbiamo a portata di mano la soluzione:
l’esperanto. Una lingua di tutti in generale e di nessuno in particolare. Una
lingua facilissima sia dal punto di vista fonetico, sia dal punto di vista
lessicale, neutrale, duttile, alla portata di tutti, che si tratti di persone
colte o di bassa cultura, ormai sperimentata per oltre un secolo, anche con una
sua letteratura originale.
Una lingua che si può imparare anche da autodidatti,
oltre che nei vari corsi che si tengono, quasi sempre a titolo gratuito, in
tutta Italia. E corsi si possono seguire gratuitamente su Internet, dove si
possono scaricare anche testi e dizionari.
L’esperanto è dunque la soluzione. Ma diversamente
dall’euro, che ha sostituito le valute nazionali, l’esperanto non starebbe a
sostituire le lingue nazionali, ma vi si affiancherebbe per la comunicazione
internazionale.
Ognuno conserverebbe la propria lingua e anche il
proprio dialetto, ma avrebbe a disposizione un codice linguistico che gli
permetterebbe di parlare con tutto il mondo.
C’è solo un problema: dietro l’esperanto non ci sono
interessi economici, né interessi politici, sociali, nazionali, militari... Con
l’esperanto non girano tangenti e bustarelle. L’esperanto è qualcosa di troppo
pulito.
Amerigo
Iannacone
Appunti e spunti
Annotazioni linguistiche
di Amerigo Iannacone
Sul vetusto “li”
Spessissimo,
specie nell’onnipresente mondo della burocrazia, ogni volta che si scrive una
data, si fa seguire la località dalla parolina “li”: Palermo, li 4 agosto 2013,
Milano, li 10 dicembre 2013, Roma, li 6 giugno 2014, e simili. Ma che significa
quel “li”? Che ci sta a fare? Si tratta in realtà di un residuato medioevale ed
è l’articolo maschile plurale, corrispondente a nostro “i”. Dire “li 6 giugno”
è come dire “i 6 giorni di giugno”. Noi, se volessimo mettere l’articolo,
dovremmo scrivere non “li” e nemmeno “i” ma “Napoli, il 7 giugno 2014”, “Bari, il 15
agosto 2013”, “il 4 settembre 2011”,
ecc. Ma, in realtà, non c’è nessuna necessità di mettere l’articolo, essendo
piú che sufficiente scrivere “Napoli, 7 giugno 2014”, ecc. Purtroppo le
abitudini e le prassi burocratiche sono difficili da scardinare e il vetusto
“li” continua a rimanere. Poi ci sono anche alcuni che, ritenendolo un avverbio
di luogo, lo scrivono l’accento sulla I: “lí”, come dire: “Roma, lí, proprio lí
e non da un’altra parte, ecc”. Ci sono infine i burocrati ancora piú
burocratisti, che sostituiscono la particella “li”, che evidentemente sembra
loro troppo breve, essendo di due sole lettere, con l’orrido “addí”: “Bologna,
addí 10 maggio 2014”. Un “addí” che deriva da “a dí”, ovvero “nel giorno”.
Scrivere soltanto
giorno mese anno sarebbe troppo semplice, nel nostro complicato paese.
Sfida
vinta sia
Datemi lino spiraglio di parabola
da aggiungere alle tante
ascoltate
piú volte a profilo di vangeli
– ancora parole che si accostino
caute al destino (sconfitto?):
e che ai crocevia verticali
stia appesa – mani aperte –
riflessione
per essere capace di spartire
il fermento di oggi dal passato
– per ricucire lo strappo
rinnovato
che preclude a lacerazione
definita,
E che sfida vinta sia il riconoscersi.
Fryda
Rota
Borgovercelli (VC)