Stefano Guglielmin |
Le vie del ritorno |
Letteratura, pensiero, caducità |
Narrazioni della conoscenza |
Collana diretta da Flavio Ermini |
I passi che noi compiamo per inoltrarci nella vita non si rivolgono a
un progredire, a un gettarci in avanti. Il nostro progredire cessa con
la nascita, quella nascita che darà l’avvio al dolore dell’esilio e che
finirà con l’indurci al “ritorno”. Ecco quanto registra questo libro.
Nascita come esilio, dunque; un esilio doloroso e massimamente
insicuro. Principio come dolore: tale è l’evento che Stefano Guglielmin
tratteggia sotto i nostri occhi.
Alle “vie” del ritorno dall’esilio è dedicato questo libro, non senza
qualche avvertenza. A iniziare da quel plurale: “vie”. Con quel plurale
l’autore annuncia che non unica è la via che porta al ritorno.
Giungendo a precisare, fin dalle prime pagine dell’opera, che “ciascuna
via del ritorno è già sempre sviata dalla morte, s-centrata,
depotenziata o esaltata, e comunque porta altrove”.
L’avvertenza è chiara: il cammino che ci aspetta è labirintico. E non
potrebbe essere altrimenti se, come Guglielmin chiarisce, la
destinazione del ritorno non è mai l’indiviso della metafisica, o il
principio incausato delle religioni, o una storica età dell’oro.
La terra da raggiungere con il ritorno è sempre una “terra
abitabile”: “un’heimat in cui situarsi se non altro da nomadi, da
viandanti”, come registra l’autore nel prefiggersi di indagare a questo
proposito le vie indicate dall’Orestea di Eschilo, dalle Rime
di Cecco Angiolieri, dalle opere di Diderot, Rousseau e Voltaire,
coprendo quasi duemilacinquecento anni di storia e accogliendo alcune
delle suggestioni che le tematiche dell’esilio suggeriscono: il tragico,
il comico, il politico.
Dalla postfazione di Flavio Ermini