
Il libro è diviso in due parti: la prima contiene poesie scritte da reclusi
statunitensi nel braccio della morte; la seconda racchiude scritti per lo
più inediti di autori nazionali e internazionali contro la pena di morte.
La prefazione è curata da Margherita Hack, la quale definisce la pena di
morte "infame vendetta dello Stato" e afferma che "la morte
degli esseri umani e la morte degli animali inflitta ai più deboli da chi è più
forte è sempre ugualmente atroce".
Cosa emerge dalle poesie dei condannati? Un mondo buio, in cui nulla può
essere immaginato, fatto di solitudine, di sofferenza fisica e morale, di
violenze inaudite, un mondo che a loro non appartiene più, giacché la vita è
fuori, la vita è altrove. Eppure la loro anima non è morta: essi
desiderano vivere, vorrebbero riabilitarsi agli occhi del mondo, sognano di
recuperare prima o poi la propria dignità di esseri umani.
Gli scritti inediti di vari autori cercano di portare il lettore verso la
comprensione del problema. Il male purtroppo esiste e si incarna nelle
azioni criminose dell'uomo. Tutto ciò è terribilmente serio, ma la pena di
morte non risolve il problema, lo complica, non crea giustizia
perché crea un’ingiustizia più grande, un’ingiustizia che non ha
attenuanti.
Come afferma Alberto Moravia, "Lo Stato è un assassino privo di
circostanze attenuanti. Dove non c'è pietà non può esservi giustizia".
Lo scopo del libro, pertanto, è quello di risvegliare le coscienze,
affinché sia chiaro per tutti che l'omicidio di Stato non è una soluzione
praticabile e onesta: il principio vendicativo dell'occhio per occhio
non rende giustizia e non ci si
oppone al male con il male.
E’ un libro indubbiamente interessante per la sua tematica, ma anche perché
si dà voce a chi voce non ha più, perché si guarda il problema dal punto di
vista del condannato, dell’emarginato, del dimenticato senza speranza, dal
quale non ci si aspetta più nulla e al quale la società ha decretato la morte.
Ma, con sorpresa, queste anime “morte” hanno conservato una loro umanità e la
esprimono attraverso i loro scritti. Sono sentimenti di rabbia, di speranza, di
nostalgia, di disperazione.
Qual’é dunque l’insegnamento di questa raccolta di poesie e di questi scritti?
Dobbiamo tutti convincerci del fatto che la pena di morte altro non è che un
atto di barbarie, un atroce sopruso ai danni del più debole e che ad ogni uomo,
per quanto colpevole di atti nefasti, spetti il riconoscimento di una
possibilità di riscatto e di salvezza.
Scrive a tal proposito Enrico De Gasperi: “Dimmi che sensazione ti dà l’acro
sapore di vendetta misto alla saliva, tra i denti. Appaga il tuo orgoglio mai
domo l’ira che non conosce perdono?”.
E nella poesia del condannato Jack
Ruzas si legge: -il prete della
prigione, saltuario visitatore, con le sue maniere gentili, chiede, "come stai oggi? Posso far qualcosa per
te, figliolo?"
"E' solo che sono così facile/ da uccidere, padre”.-(Liliana Veri 15 gennaio 2013)