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Emozioni di Gianni Donaudi

"Poeti da morire" è una raccolta poetica e di scritti inediti, curata da Marco Cinque, il quale affronta il tema scottante e irrisolto della pena di morte negli Stati Uniti.

Il libro è diviso in due parti: la prima contiene poesie scritte da reclusi statunitensi nel braccio della morte; la seconda  racchiude scritti per lo più inediti di autori nazionali e internazionali contro la pena di morte.



La prefazione è curata da Margherita Hack, la quale definisce la pena di morte "infame vendetta dello Stato" e afferma che "la morte degli esseri umani e la morte degli animali inflitta ai più deboli da chi è più forte è sempre ugualmente atroce".

Cosa emerge dalle poesie dei condannati? Un mondo buio, in cui nulla può essere immaginato, fatto di solitudine, di sofferenza fisica e morale, di violenze inaudite, un mondo che a loro non appartiene più, giacché la vita è fuori, la vita è altrove.  Eppure la loro anima non è morta:  essi desiderano vivere, vorrebbero riabilitarsi agli occhi del mondo, sognano di recuperare prima o poi la propria dignità di esseri umani.

Gli scritti inediti di vari autori cercano di portare il lettore verso la comprensione del problema. Il male purtroppo esiste e  si incarna nelle azioni criminose dell'uomo. Tutto ciò è terribilmente serio, ma la pena di morte non risolve il problema, lo complica, non crea  giustizia perché  crea un’ingiustizia più grande, un’ingiustizia che non ha attenuanti.

Come afferma Alberto Moravia, "Lo Stato è un assassino privo di circostanze attenuanti. Dove non c'è pietà non può esservi giustizia".

Lo scopo del libro, pertanto,  è quello di risvegliare le coscienze, affinché sia chiaro per tutti che l'omicidio di Stato  non è una soluzione praticabile e onesta: il principio vendicativo dell'occhio per occhio  non  rende  giustizia e non ci si oppone al male con il male.

E’ un libro indubbiamente interessante per la sua tematica, ma anche perché si dà voce a chi voce non ha più, perché si guarda il problema dal punto di vista del condannato, dell’emarginato, del dimenticato senza speranza, dal quale non ci si aspetta più nulla e al quale la società ha decretato la morte. Ma, con sorpresa, queste anime “morte” hanno conservato una loro umanità e la esprimono attraverso i loro scritti. Sono sentimenti di rabbia, di speranza, di nostalgia, di disperazione.
Qual’é dunque l’insegnamento di questa raccolta di poesie  e di questi scritti?

Dobbiamo tutti convincerci del fatto che la pena di morte altro non è che un atto di barbarie, un atroce sopruso ai danni del più debole e che ad ogni uomo, per quanto colpevole di atti nefasti, spetti il riconoscimento di una possibilità di riscatto e di salvezza.

Scrive a tal proposito Enrico De Gasperi: “Dimmi che sensazione ti dà l’acro sapore di vendetta misto alla saliva, tra i denti. Appaga il tuo orgoglio mai domo l’ira che non conosce perdono?”.

E nella poesia del condannato  Jack Ruzas  si legge: -il prete della prigione, saltuario visitatore, con le sue maniere gentili, chiede,  "come stai oggi? Posso far qualcosa per te, figliolo?"
"E' solo che sono così facile/ da uccidere, padre”.-

(Liliana Veri 15 gennaio 2013)

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