Da fine maggio Finardi
sarà nelle piazze italiane con il tour denominato “Fibrillante” per
ripercorrere la storia dei suoi più famosi e noti
successi oltre alle canzoni del nuovo album. Il titolo va
inteso in senso letterale. Perché Finardi ha scoperto di esserlo davvero, fibrillante. Dopo l’uscita a gennaio scorso del suo
nuovo album, prodotto da Max Casacci dei Subsonica, che segna il ritorno del
cantautore milanese a brani inediti, Finardi porta questo nuovo spirito di
musica ribelle sul palco. Ed è quello che vogliamo fare – spiega Mario Bellitti
– per caratterizzare per qualità il cartellone estivo in Basilicata.
“Un disco di lotta contro un nuovo Medioevo”. Con questa
definizione-invettiva è lo stesso Finardi a presentare il suo ritorno alle
canzoni in italiano, dopo 16 anni di esperimenti che lo hanno visto spaziare
dal fado al rock, dal blues alla classica contemporanea. Un ritorno che sembra
quasi sollecitato dalla necessità di raccontare un’Italia che ribolle di
miseria e ingiustizie sociali. Come su “La storia di Franco”, ispirata alla
vicenda amarissima di un ex-discografico che Finardi ha realmente incontrato a
Milano, ridotto a chiedere l’elemosina e a piangere l’assenza di contatti con
la figlia da cinque anni.
Il cuore fibrillante di Finardi, insomma, è rimasto lo
stesso degli anni 70, quello che non ha paura di “mollare le menate e di
mettersi a lottare”, anche se ormai gli “ideologi cresciuti alla Bocconi” lo
hanno derubato di tutti i sogni della sua generazione. A differenza di tanti
colleghi, il menestrello della “Musica ribelle” non ha ammorbidito la sua
indignazione, ma al tempo stesso non ne ha mai fatto una posa: Finardi resta un extraterrestre,
un outsider, distante anni luce dall’ingessata nomenclatura del cantautorato
italiano, quella che magari sfila al Premio Tenco e si mimetizza in quella
“società civile” contro cui si scaglia con donchisciottesca virulenza.
Il cantautore milanese si conferma anche uno splendido
osservatore dell’universo femminile: dopo prodezze come “Laura degli specchi”,
“Patrizia” e la più recente – e non meno bella – “Un uomo” (1996), ora è la
volta di "Le donne piangono in macchina", altro saggio di rara
sensibilità maschile applicata all’altro sesso. E non manca anche qualche
residuo dell’epopea Cramps (la storica etichetta degli anni 70 di Gianni
Sassi), come la conclusiva “Me ne vado”, sorta di cronistoria economica in spoken
word che omaggia gli
Area di “La mela di Odessa”, con tanto di ipnotizzante assolo psych-jazz di
Fariselli.
Dunque – sottolinea Bellitti – la sua musica ribelle è sempre vera, autentica e, soprattutto, disponibile al confronto tra generazioni.
Dunque – sottolinea Bellitti – la sua musica ribelle è sempre vera, autentica e, soprattutto, disponibile al confronto tra generazioni.