In
un mondo dove l'imperfezione e la fragilità sono causa di esubero,
scarto, invisibilità, ho apprezzato l'intervista di Fabio Fazio ad
Anna Marchesini (Che Tempo che Fa, del 23.11.2013). Per me, che da
bambino adoravo il Trio e da adulto, rivedendolo, ne apprezzo le
sfumature satiriche che allora non coglievo, all'inizio non è stato
facile. Ma proprio il confronto visivo con l'Anna che era e che è,
letto alla luce di una creatività non solo rimasta immutata, ma
ancor più profonda, si è rivelato un pugno da ko alla televisione
del dolore, ai salotti del circo barnum e, più di tutto,
all'antimito sociale dell'obsolescenza dei corpi non più floridi.
Laddove esisti solo se hai un potenziale produttivo, l'idea folle che
la perfezione fisica, l'immunità anche solo dal passare del tempo,
siano sinonimi di utilità sociale, stanno creando comunità dove la
malattia, la vulnerabilità, le debolezze, sono i nuovi tabù e
questo incide sulla vita concreta di tantissime persone.
Guardate
il video, quelle parole di Anna sulla recitazione e sul corpo
dell'attore, sono poesia senza retorica. Recitare, ci dice, non è
fingere, perché solo un attore sincero riesce a far passare la
storia attraverso il suo corpo: considerare il narcisismo agli
antipodi del talento, rinunciare a voler esprimere un'emozione,
affinché la stessa arrivi al pubblico non grazie a lui, ma
attraverso di lui. L'attore come mezzo e non come fine e quando ci
legge un passaggio del suo ultimo libro, Anna dà una prova pratica
di tutto ciò, poiché il suo corpo, fino a un momento prima
imbrigliato dal male fisico, si apre, come posseduto dallo spirito
della storia di cui si fa umile, ma potentissimo, tramite.