Un
piccolo uomo libero
A
settanta anni è morto l'attore Carlo Monni, il che dirà poco e
nulla a chi risiede fuori da Firenze o non è fine conoscitore della
comicità toscana. Non è stato un grande artista, ma se il successo
lo ha rifiutato, lui, al contrario di molti (assai meno dotati)
colleghi, non lo ha inseguito. Il successo ti rovina, non sei più
libero, diceva. Al cinema ha spesso interpretato il padre sboccato ma
onesto ed ha lanciato Massimo Ceccherini, cosa in verità per cui
molti forse lo malediranno. Era un animale da palcoscenico, che
calcava da uomo libero, appunto.
Non una stella, ma nemmeno una
stalla e si infurierebbe se fosse ricordato solo come spalla di
Roberto Benigni a Televacca.
Preferirebbe l'oblio dei mass media, confidando nel ricordo della sua
gente, quegli ultimi della società da lui recitati nei versi scritti
da Benigni per Berlinguer
ti voglio bene di
Giuseppe Bertolucci. Noi
semo quella razza che l'è fra le più strane, che bruchi semo nati e
bruchi si rimane, quella razza semo noi è inutile fa' finta, c'ha
trombato la miseria e semo rimasti incinta.
Con questa razza passava
il tempo libero da impegni artistici, che non gli sono mai mancati.
Lo incontravi a camminare lungo l'argine dell'Arno, perché lo
scorrere dell'acqua lo aiutava a pensare, da maggio in poi a torso
nudo e a piedi scalzi. Peccato che in una Firenze infuriata per la mancata qualificazione in Champions League, la sua scomparsa
passerà in sordina, secondo la dura legge dello spettacolo. Lui però lo
avrebbe capito, replicando col solito sorriso, a metà tra il
giullare e il buon bevitore, ma mai fuori da ruspanti pasti. In una
delle ultime interviste rilasciate, il migliore epitaffio: “ringrazio
Dio di non avermi dato troppo successo. Fuori dalla Toscana sanno una
sega
chi è Carlo Monni, ma va bene così. Godo più alla Festa dell’Unità
di Poggibonsi che al Metropolitan”*. Ciao Carlo, piccolo uomo
libero.