Allarme,
i sindaci hanno finito le supernoccioline!
Fino
ad
oggi i principali osservatori della politica italiana hanno
concordato sull'utilità della riforma che, nel 1993, introdusse
l'elezione diretta del sindaco. In questi anni, partecipazione al voto
canta, gli italiani
hanno mostrato interesse nello scegliere sulla scheda il proprio
primo cittadino, conferendo al “super sindaco” così eletto un
mandato che gli ha permesso di esercitare il dominio assoluto
su giunte di fidi collaboratori ed esautorare la funzione dei
disertati consigli comunali.
Lo scenario però è cambiato. In molte
realtà italiane, a prescindere da collocazione geografica e tradizionale
appartenenza politica, quasi la metà degli elettori,
astenendosi, esprime il proprio distacco dall'amministrazione locale.
Sarà stato il taglio ai trasferimenti statali, perché senza denari
non si risponde alle concrete domande del popolo, o forse l'eccessiva
sicurezza dei sindaci nell'essere inamovibili detentori del consenso
sociale, inducendoli a saltare la concertazione sociale, salvo
pavoneggiarsi con sporadiche esperienze di democrazia diretta il più
delle volte fini a se stesse. Per questo motivo, in vista del
processo di riforma istituzionale che dovrebbe occupare i prossimi
diciotto mesi, è opportuno sollecitare una riflessione anche sulla forma
giuridica dei poteri locali. Chiedersi cioè se sia ancora lecito che
sindaci, il cui numero di preferenze raggiunge a malapena il trenta
per cento del totale dei residenti, possano continuare ad agire sopra
le parti ed ignorando di fatto la dialettica nella propria assemblea
elettiva.