Decreto
Ilva: urgenza senza limiti?
Nell'emergenza
del caso Ilva è stato emanato il Decreto Legge n. 207/2012, secondo
cui il Governo potrà, in caso di crisi economica di stabilimenti
industriali di interesse strategico nazionale che occupino almeno
duecento lavoratori, prorogare fino a trentasei mesi l'attività
degli stessi. Una proroga che, fatte salve le prescrizioni
dell'autorizzazione ambientale integrata, avrà efficacia anche in
presenza di provvedimenti di sequestro sui beni dell'impresa
titolare.
Questi provvedimenti, infatti, “non impediscono, nel
corso del periodo di tempo indicato nell'autorizzazione, l'esercizio
dell'attività d'impresa”. Ora, è evidente che una formulazione
più morbida, del tipo “in caso di provvedimenti di sequestro sui
beni dell'impresa titolare, la proroga delle attività si effettuerà
compatibilmente delle disposizioni dei medesimi”, avrebbe forse
evitato uno scontro di attribuzione tra poteri che, adesso, sarà
invece quasi certamente sollevato dalla Procura di Taranto. Tale
approccio temperato, pur non sciogliendo subito la matassa pugliese,
avrebbe posto Governo e Magistratura su un piano più equo,
scaricando su questa l'onere palese del buon senso nel decidere se
ricorrere o meno e si sa quanto i giudici siano sensibili alla forza
dell'opinione pubblica. Si può essere d'accordo o no sul merito del
Decreto, visto poi che la condizione di interesse strategico
nazionale già consente altre deroghe a principi giuridici
consolidati (vedasi la gestione eccezionale dell'ordine pubblico per
le proteste svolte nell'area TAV in Val di Susa), ma non si può
nascondere che è un rischioso precedente introdurre, con un decreto
di urgenza, una norma generale di sottrazione di funzioni a scapito
del potere giudiziario. Sarebbe allora auspicabile che, nella più
rapida conversione in legge dell'atto, si ristabilisca il giusto
dialogo tra i poteri dello Stato, convinti che sarà l'interesse
pubblico, dei tarantini ma non solo di essi, a prevalere.