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Segue articolo: "Per Oltre Vent’anni Aung San Suu Kyi Ha Tenuto Testa A Una Dittatura Militare"

PER OLTRE VENT’ANNI AUNG SAN SUU KYI HA TENUTO TESTA A UNA DITTATURA MILITARE, UN CORAGGIO CHE LE È VALSO IL PREMIO NOBEL PER LA PACE E UN’AURA DA GANDHI MODERNA. MA DI FRONTE AD ALMENO 78 MORTI, OLTRE 100 MILA SFOLLATI E UN’ARIA DA PULIZIA ETNICA CONTRO LA MINORANZA MUSULMANA DEI ROHINGYA, LA NEO-DEPUTATA SUU KYI NON HA NIENTE DA DIRE…

Per oltre vent'anni Aung San Suu Kyi ha tenuto testa a una dittatura militare, un coraggio che le è valso il premio Nobel per la Pace e un'aura da Gandhi moderna. Ma di fronte ad almeno 78 morti, oltre 100 mila sfollati e un'aria da pulizia etnica contro la minoranza musulmana dei Rohingya nelle peggiori violenze settarie da decenni in Birmania, la neo-deputata Suu Kyi non ha niente da dire.
Parole ambigue, solo se interrogata sul tema, dando la sensazione di volersene lavare le mani. Una posizione che lascia basiti molti suoi sostenitori stranieri, tanto da far serpeggiare un dubbio: che la paladina dei diritti umani sia diventata una politica calcolatrice?
AUNG SAN SUU KYI A OXFORD CON LA LAUREA HONORIS CAUSA jpegAUNG SAN SUU KYI A OXFORD CON LA LAUREA HONORIS CAUSA jpeg Mentre a giugno «la Signora», come viene chiamata, preparava il suo primo viaggio in Europa dal 1988, nello Stato occidentale di Rakhine rappresaglie tra buddisti e musulmani di etnia Rohingya facevano divampare l'odio atavico verso questa minoranza considerata dall'Onu tra le più discriminate al mondo.
In una regione chiusa agli stranieri, le forze di sicurezza hanno spesso tollerato - o partecipato, accusano le organizzazioni per i diritti umani - la «caccia al Rohingya» dei buddisti. Su Internet, diversi birmani incitavano al massacro dei «terroristi», «animali», o quanto meno a ricacciarli tutti (almeno 800 mila persone, private di vari diritti tra cui quello alla cittadinanza) in Bangladesh.
Pungolata dai giornalisti dopo aver ritirato il premio Nobel a Oslo, Suu Kyi si limitò a dire che il problema nel Rakhine era «il mancato rispetto della legge». Sarebbe giusto conferire la cittadinanza ai Rohingya? «Non lo so». Tutto qui, mentre con il passare delle settimane emergevano abusi sempre più dettagliati in una regione dove ormai la segregazione tra le comunità è totale, e permane l'emergenza umanitaria, anche perché il Bangladesh non accoglie i rifugiati in fuga.
Quando poi nel Parlamento birmano - dove è leader dell'opposizione - Suu Kyi ha chiesto una legge che tuteli le varie minoranze etniche birmane, è presto risultato chiaro come nella proposta non rientrassero i Rohingya; per legge, non risultano tra i 135 gruppi etnici parte del tessuto nazionale, nonostante una presenza secolare nell'area.
Aung San Suu Kyi liberaAung San Suu Kyi libera Se tale silenzio amareggia gli attivisti umanitari, appare chiaro come Suu Kyi si trovi in una specie di trappola: l'ambiguità rischia di gettare un'ombra sulla sua immagine da santa all'estero, ma un'eventuale presa di posizione a favore dei Rohingya andrebbe contro l'ostilità compatta dei birmani verso questa minoranza non assimilata, in crescita demografica e in competizione per la terra in un'area povera.
«Non ha assolutamente niente da guadagnare se si pronuncia su questo argomento - ci spiega Maung Zarni, un esperto birmano alla London School of Economics -. Non è più una dissidente fedele ai suoi principi. È una politica e ha gli occhi fissi sull'obiettivo, cioè il voto della maggioranza birmana alle elezioni del 2015, assicurandosi di non offendere la sensibilità anti-musulmana dell'esercito».
Aung San Suu Kyi liberaAung San Suu Kyi libera

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