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Tiziano Terzani - L'economia

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Incendiata una casa a Gerusalemme in cui vivevano alcuni eritrei 

Gerusalemme. Un rumore sordo, di un vetro infranto. Poi il propagarsi di un fumo denso. Quindi la vista delle fiamme, che bloccavano la porta di ingresso. Il tentativo disperato di lanciarsi dalle finestre, che in parte però erano chiuse da sbarre. Questo il convulso risveglio notturno di una decina di clandestini eritrei, trovatisi prigionieri in una palazzina in fiamme, in quella che la polizia di Gerusalemme ha definito «una trappola di fuoco». Si sono salvati per il rotto della cuffia. Tre sono rimasti intossicati, un quarto ha riportato ustioni. Gli altri hanno poi potuto leggere su un muro vicino una scritta perentoria: «Fuori dal rione». Il quartiere in questione è Makor Baruch, nel centro della città, a pochi passi dal congestionato mercato ortofrutticolo di Mahané Yehuda. La via Yossef Ben Mattityahu (altrimenti noto come Giuseppe Flavio) all’angolo con la via Valero è fatta da stradine anguste, in un rione dove tutti si conoscono da una vita e mantengono il medesimo stile di vita: quello degli ebrei sefarditi e tradizionalisti. Due mesi fa, con l’ingresso dei clandestini africani, l’atmosfera è decisamente cambiata. I nuovi arrivati dicono nel quartiere - hanno aperto un locale nella palazzina, si sono dati a schiamazzi notturni accompagnati da musica a tutto volume e da risse. Il riposo sabbatico - lamentano nel rione – «Ã¨ andato a farsi benedire». La condanna dell’incendio doloso è giunta ieri, immediata e decisa, sia dagli abitanti del rione sia dai dirigenti di Israele. «Episodi del genere - ha notato il ministero degli Esteri – sono inconciliabili con la storia del popolo ebraico». Anche se l’attacco è stato presumibilmente condotto da estremisti di destra, il ministro per la sicurezza interna Aharonivic ha criticato esponenti politici populisti che negli ultimi tempi hanno alzato il tono contro gli immigrati clandestini dall’Africa, addossando loro fra l’altro un aumento del tasso di criminalità e la diffusione di malattie. Alludeva forse anche al ministro degli interni Ely Yishai (Shas), in prima linea fra quanti esigono divieto assoluto di permessi di lavoro ed espulsioni in massa dei migranti africani: oggi 60-70 mila, ogni mese rafforzati da 2-3 mila nuovi arrivi clandestini, attraverso il Sinai. Rappresentante degli ebrei sefarditi che spesso popolano i rioni popolari di Gerusalemme e Tel Aviv dove è più marcata la presenza dei clandestini, Yishai ha dichiarato a Maariv: «I migranti e i palestinesi assieme provocheranno presto il crollo del sogno sionista. Abbiamo creato uno Stato, e ora lo perdiamo, giorno dopo giorno. Sembrerò razzista, oscurantista oppure xenofobo, ma io agisco nella convinzione che non abbiamo un altro Paese. O noi, o loro». (La Stampa 5 Giugno 2012)

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