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UN ANTIFASCISTA LUCANO

La storia del contadino senatore Michele Mancino

Nato a Genzano di Lucania l’8 settembre 1896 da Giuseppe Antonio e Angela Giordano, Michele Mancino era figlio di un povero bracciante socialista. Autodidatta e bracciante egli stesso, ricostituì la sezione socialista di Genzano fondata dal padre, cominciando giovanissimo ad interessarsi dei problemi sociali della sua gente e battendosi per l’emancipazione del proletariato, dei contadini e di tutti gli sfruttati.
Tornato a casa dopo la fine della guerra, nel 1920 si impegnò, dunque, per organizzare braccianti, fittavoli e mezzadri. In estate frequentò la federazione socialista di Potenza dove, però, notò un influsso troppo borghese e la mancanza di una adeguata sensibilità verso le tematiche del mondo dei campi.
Arrestato a novembre e condannato a due anni di reclusione per avere organizzato uno sciopero di braccianti, fu scarcerato per decorrenza dei termini nel febbraio dell’anno successivo.
Nel luglio del 1921 venne incaricato da Vincenzo Torrio di dirigere la Camera del Lavoro di Potenza. Qui cercò di collegarsi con la componente massimalista del partito socialista. Nel 1924 prese contatto a Napoli con Michele Bianco che lo presentò a Bordiga. Insieme decisero la costituzione della Federazione Comunista lucana che nasceva con soli 13 iscritti.
Il 12 settembre del 1926 partecipò a Bari alla Conferenza meridionale clandestina del Partito Comunista. Arrestato l’11 marzo 1927 dalla polizia fascista, il 3 maggio 1928 venne condannato dal Tribunale Speciale a 8 anni di reclusione e 2 anni di sorveglianza speciale, oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, per “incitamento all’insurrezione armata contro i poteri dello Stato” e per altri reati politici.
La maggior parte della pena la scontò nel carcere di Viterbo dove conobbe Emilio Sereni, Velio Spano e Umberto Fiore. Qui studiò i testi sacri del comunismo, da Marx agli altri pensatori. Soprattutto lesse i testi e i bollettini di scienza e politica agraria che a Sereni arrivavano dall’Università californiana di Davis.
Come egli stesso ricordò, quegli studi gli consentirono di “superare e vincere lo stato di ignoranza” in cui la classe dominante aveva cercato di relegarlo, permettendogli “di conoscere il complicato intreccio naturale e sociale dei problemi umani” e consentendogli “di sostenere consapevolmente le lotte per abbattere la società ingiusta e inumana, per costruire, sulle sue rovine, una nuova: la società socialista”.
Uscito di prigione l’11 novembre 1932 per amnistia, si trasferì ad Acerenza dove si sposò. Continuò la lotta clandestina fino al tramonto del fascismo.
Caduto Mussolini, tra il 1943 e il 1944 si adoperò per la riorganizzazione del Partito Comunista e per la ripresa dell’attività sindacale nel settore agricolo prendendo contatti con contadini e artigiani, percorrendo, spesso a piedi, chilometri e chilometri per raggiungere anche i paesi più impervi.
Fu lui che convinse Palmiro Togliatti a recarsi a Potenza in occasione del I Congresso dei comunisti lucani il 21 maggio 1944. 
Segretario della Federazione Comunista, dirigente della Federterra, si prodigò per migliorare le condizioni salariali dei braccianti e per organizzare le leghe dei contadini, avendo così un ruolo chiave nelle rivendicazioni delle terre nel dopoguerra.
Fece anche parte della Consulta Nazionale dove fu componente della VII Commissione (Agricoltura e Alimentazione). Dal 1947 al 1955 fu segretario della Camera del lavoro provinciale di Potenza. Nel 1952 entrò nel Consiglio comunale di Potenza..
Fu eletto senatore per il PCI nel 1953 e 1958 in rappresentanza del collegio di Melfi. Fece parte della X Commissione (Lavoro ed Emigrazione-Previdenza Sociale). Dal 1956 al 1960 fu sindaco di Genzano di Lucania.
Trasferitosi a Borgo Sabotino, in provincia di Latina, si dedicò a scrivere le sue memorie e al lavoro della terra. Morì a Latina il 25 settembre 1995.

Michele Strazza

Tratto da Strazza M., Lucani in Parlamento. Repertorio di deputati e senatori lucani (1861-1961), EdiMaior, Venosa 2010.

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