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RENATO MASSIMO ANGIOLILLO, FONDATORE DE”IL TEMPO”

Nato a Ruoti, in Basilicata, il 4 agosto 1901 dall’avv. Giuseppe (1849-1909) e Gaetana Martorano, a 18 anni intraprese la carriera giornalistica a Napoli, dove risiedeva con la famiglia, collaborando col partenopeo “Giornale della sera”di cui era direttore il fratello Ugo. Due anni dopo divenne redattore capo de “L’Eco della Sicilia e delle Calabrie”.

Nel 1921 fondò a Potenza il quindicinale umoristico il “Ciuccio di Cià-cià”il cui primo numero uscì il 9 marzo. Ritornato a Napoli, diede vita al “Vecchio Paese”. Nel 1923 pubblicò “I secondogeniti: versi” (Casa Ed. La Sicilia, Messina 1923).
Nittiano ed antifascista (il fratello Amedeo era segretario particolare di Nitti), fu spesso oggetto dell’attenzione degli squadristi. Abbandonato il giornalismo per l’impossibilità di esprimersi liberamente, si dedicò all’editoria libraria fondando e dirigendo a Napoli la Casa Editrice Tirrena. Con essa pubblicò due collane, una dedicata alla poesia dialettale napoletana e l’altra ai saggi politici. In quest’ultima uscirono anche scritti di Arturo Labriola.
Lasciata l’attività in proprio, passò a lavorare presso l’editore Morano ma, malvisto da ambienti fascisti, dovette abbandonare la città partenopea per stabilirsi a Bari.
Prima dello scoppio della guerra lo ritroviamo a Roma dove fu sceneggiatore e produttore di opere cinematografiche. Scrisse, infatti, negli anni ‘40, “Un garibaldino al convento” (Tip. Zannola, Velletri 1941) per l’IFAR (Industria Film Anonima Roma) e realizzò alcuni films tra cui “Un garibaldino al convento”, con la regia di Vittorio De Sica, e  “Caravaggio”.
Dopo il 25 luglio 1943 rilevò, con alcuni amici antifascisti, la testata risorgimentale “L’Italia”, in difficili condizioni economiche, nel tentativo di farne un valido strumento informativo, ma le autorità tedesche ne ordinarono la chiusura.
Liberata Roma, il 5 giugno 1944, diede vita a “Il Tempo”, riprendendo il titolo di un vecchio giornale romano del primo dopoguerra poi soppresso dal fascismo. Ricordò in seguito di aver iniziato l’impresa con sole 3.500 lire. In realtà la somma iniziale era maggiore ma non mancavano le cambiali.
Ottenuta l’autorizzazione alleata, il giornale il 6 giugno era in tutte le edicole di Roma con il sottotitolo “Quotidiano socialdemocratico”che, però, scomparve già dal terzo numero.
A seguito di contrasti con il Comitato di Liberazione Nazionale la pubblicazione del quotidiano venne bloccata dalle autorità militari il 22 giugno perché sarebbero stati consentiti soltanto i giornali organi dei partiti del CLN.
Qualche giorno dopo, tuttavia, la pubblicazione venne nuovamente autorizzata e “Il Tempo”potè uscire con il sottotitolo “quotidiano indipendente” e decollare, approfittando anche dell’assenza della testata romana “Il Messaggero”, bloccata per i suoi trascorsi fascisti.
Il giornale divenne sempre più portavoce di una visione moderata ed anticomunista. Ciò mise in attrito Angiolillo con il suo direttore Leonida Repaci, contrario all’abbandono di una visione antifascista. Lo scontro si risolse con la liquidazione di Repaci nel dicembre del 1944.
Grazie al sostegno delle autorità militari alleate, sensibili ai temi dell’anticomunismo,
“Il Tempo”continuò a prosperare, battendosi contro l’epurazione e dando voce alle istanze conservatrici di parte della classe media borghese, sostenendo sempre la necessità di giungere ad una pacificazione tra gli italiani che avevano combattuto su fronti opposti.
Un giorno ebbe ad affermare che tutti i suoi collaboratori erano stati “chi più, chi meno”, fascisti ma che a lui stava “bene” così. Sul suo giornale scrissero, infatti, esponenti di rilievo del vecchio regime come De Stefani, Bottai e Valerio Borghese.
Amico del fondatore del Fronte dell’Uomo Qualunque, Renato Angiolillo parteggiò, nel 1946, per la Monarchia ma, vincitrice la Repubblica e promulgata la Costituzione, accettò il nuovo corso cui non fece mai mancare le critiche.
Pur ritornando in edicola “Il Messaggero”il giornale continuò a tenere una tiratura molto alta grazie anche alla pubblicazione a puntate del “Diario di Galeazzo Ciano”di cui l’Angelillo aveva acquistato i diritti.
Candidato nel 1948 come indipendente nelle liste liberali, fu senatore nella prima legislatura della Repubblica, eletto nel collegio di Bari con 45.726 preferenze. In Parlamento portò le sue convinzioni anticomuniste, opponendosi agli interventi legislativi repressivi del fascismo, sostenendo, invece, il ricorso a “cristiana giustizia” e “responsabilità politica”. Secondo lui sarebbe stato un “deprecabile errore” porre fuori legge “una massa importante di italiani” con cui si doveva collaborare.
Ricandidato nel 1953 a Rieti, non venne eletto. Fu lui stesso a dettare la cronaca da pubblicare sul suo giornale: “Fra i trombati Renato Angiolillo, travolto dalle macerie del Partito Liberale. Si consolerà perché se ha pochi elettori in compenso ha molti lettori”.
Per tutti gli anni Cinquanta “Il Tempo”sotto la sua guida si fece autorevole portavoce di quella parte conservatrice e reazionaria della società italiana, sostenendo una apertura alla destra monarchica e neofascista. In campo economico il quotidiano fu il paladino dei proprietari terrieri meridionali contro le lotte contadine e la riforma agraria.
Negli anni successivi guidò il giornale ad una strenua resistenza contro i tentativi di cambiamento della società e della politica italiana, avversando il centrosinistra ed il dialogo tra cattolici e socialisti sostenuto dagli esponenti democristiani più progressisti.
Con queste convinzioni diede voce, sul suo giornale, agli ambienti più retrogradi del cattolicesimo, sostenendo quella parte della Curia romana che si opponeva allo spirito innovativo del Concilio Vaticano II.
Su questa linea, si oppose a movimenti e gruppi che, sul finire degli anni Sessanta, chiedevano profondi mutamenti sociali e culturali. Così spinse il quotidiano ad avversare la contestazione studentesca e le lotte operaie, incitando il governo a prendere provvedimenti repressivi ed opportune misure di polizia.
Oltre al giornalismo Renato Angiolillo, fedele al suo personaggio, amava il gioco, la vita mondana e le belle donne. A Roma frequentava molto gli ippodromi, non mancando di scommettere su questo o quel cavallo. Arrivò anche a creare una propria scuderia.
Diresse il suo giornale con grande passione fino al giorno della sua morte avvenuta a Roma il 16 agosto 1973.


Michele Strazza

BIBLIOGRAFIA

Valerio Castronovo-Nicola Tranfaglia (a cura di), La stampa italiana del neo-capitalismo, Laterza, Bari-Roma 1976.
Valerio Castronovo-Nicola Tranfaglia (a cura di), La stampa italiana dalla Resistenza agli anni Sessanta, Laterza, Bari-Roma 1980.
Paolo Murialdi, La stampa italiana dalla liberazione alla crisi di fine secolo, Laterza, Bari-Roma 1995.
Eugenio Marcucci, Giornalisti grandi firme. L’età del mito, Rubettino ed., Soveria Mannelli (Cs) 2005.
AA.VV., Enciclopedia Biografica Universale, sub voce, vol. I, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani 2006.
Pantaleone Sergi, Storia del giornalismo in Basilicata. Per passione e per potere, Editori Laterza, Roma-Bari 2009.
Michele Strazza, Lucani in Parlamento. Repertorio di deputati e senatori lucani (1861-1961), EdiMaior, Venosa (Pz) 2010.

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