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La rivoluzione non sara' televisiva




RUSSIA ASSEDIO AL CREMLINO 
In piazza a sfidare Putin La polizia fa decine di arresti 
Alla protesta si unisce per la prima volta anche il partito comunista di Zyuganov 

Poliziotti bloccano alcuni manifestanti per i tafferugli scoppiati dopo la manifestazione anti-Putin in piazza Pushkin a Mosca Hanno tentato, ieri, in piazza Puskin: la Rivoluzione Bianca, contro il Sistema onnipotente ed eterno, punitore encomiabile dei renitenti. Hanno fallito, l’Altra Russia non è ancora abbastanza grande, forte, decisa: per il vigore e lo splendore di una quinta stagione del mondo dove tutti si sentano liberi e nuovi. Onore ai ragazzi di piazza Puskin, perché almeno hanno gridato ieri pomeriggio: andiamo tentiamo osiamo. Pochi forse, ventimila, ma di cuore sicuro e di fegato secco. In Russia, in quella di Putin come in quella bolscevica, bisogna essere eroi per essere dissidenti. Qui disobbedire è ancora una scelta morale, una ardua patria dell’anima che impiegherà tempo per diventare massa, trasformare l’audacia in consuetudine. Nel capitalismo cekista la lotta per sopravvivere è feroce, chi non riesce a restare a galla è spazzato via. Per questo gli indignati e gli offesi per quel 64% di voti conquistati dal Presidente per restare al Cremlino ancora sei anni erano soltanto ventimila persone. Un niente rispetto all’enormità della rabbia gridata in mille blog, documentata nei siti di quella che si candida come nuova resistenza, in comunione con moltitudini che parevano scosse dal medesimo sussulto. Ma non si può chiedere alla gente di essere eroica. Ventimila, ma mucchio di sanguigna giovinezza, contro i centomila della tripudiante piazza putiniana di domenica: sembra una partita già chiusa. Ma forse non è così. Comincia la lotta, lotteranno. La giornata di ieri è stata ricca di insegnamenti che pesano. Di leader, innanzitutto. L’opposizione russa ha preso nota degli uomini su cui potrà contare. Sono sfilati tutti sul palco, ha visto le facce, ha comparato i discorsi. Ha registrato coloro che, alla fine, nella piazza sono rimasti a sfidare i poliziotti, che sono stati trascinati in carcere. Serghei Udaltsov, giovane leader bolscevico, impetuoso, nostalgico dei Soviet, reduce già da scioperi della fame e galera, e Alexei Navalny, il rivoluzionario del Web dal fascino felino. Non c’era invece Ghennady Zyuganov, il comunista di apparato, non c’era Mikhail Prokhorov l’oligarca, già andato viadopo il discorso in piazza. Erano a casa anche i liberali storici, cariatidi di un’opposizione infiacchita e prudente. Imbruniva nel gelo serale piazza Puskin quando è iniziato lo scorrere delle opposizioni. Troppe bandiere, segno, brutto, di divisione, di risse: Solidarnost, il fronte di sinistra, Yabloko di Yavlinsky, Unione della Russia civica, il Partito comunista. E questa era una prima volta importante, perché finora la gente di Zyuganov aveva sempre rifiutato di mescolarsi all’altra opposizione, quelli che chiamano con sprezzo «il collettivo Pope Gapon». Era il provocatore della rivoluzione fallita del 1905 contro lo zar: un modo per dire che i liberali sono pagati dagli americani, che per loro è delitto peggiore del putinismo. Invece stavolta un dirigente del Pc sale sul palco e grida «Russia senza Putin». Suonano i motivi dei «Nautilus Pompilius», «giorni strani», dice la canzone, ed è vero; i successi di Victor Tsoy: erano gli Anni 80 e allora mettevano i brividi, procuravano l’attenzione del sospettoso Politburo. «Putin in prigione non al Cremlino», «Noi siamo i tuoi datori di lavoro, noi ti licenziamo» recitano i cartelli che denunciano laboratori di bugie e officine di truffe. Scorrono gli oratori, sermoni cincischiati contro la truffa del voto. Poi sale sul palco Udaltsov e tutto accelera, la voce, l’attenzione, finalmente la passione del popolo mareggia. «Non possiamo accettare che dopo essere stati in piazza per tre mesi non abbiamo ottenuto le elezioni giuste che chiedevamo. Se continueremo a manifestare ogni tanto e poi andare a casa, non arriveremo a nulla». E pronuncia la frase che tutti aspettavano, un progetto politico. Finalmente. «Io resto qui, in questa piazza fino a quando Putin non se ne andrà. Non vi chiedo di imitarmi, ma io resto». E poi arriva Navalny: sa muovere la folla, la striglia la seduce ci dialoga la coinvolge con una voce che raspa, si riannoda si rinsalda si risolleva rifolgora. «Il 5 dicembre dopo le politiche truffa vi avevo chiesto: ditemi chi ha il potere in Russia? Il potere è qui, il potere siamo noi. Putin soffre di bulimia, digerisce, inghiotte tutto, il petrolio, il gas e continua a mangiare: chi lo fermerà? Noi. Domani creeremo un movimento di disobbedienza civile. Stasera io resto qui». Un uomo di mezza età al mio fianco ha voltato le spalle con rabbia triste: «Ma quale potere? Ci hanno tolto tutto in questi anni, non ci resta niente». Quando i due leader hanno tentato di formare un presidio di tende e occupare la piazza, il palco era deserto e la piazza si vuotava rapidamente. La polizia riempie i cellulari rapidamente, 250 fermi almeno, botte, a una ragazza rompono il braccio. Navalny viene liberato nella notte, dopo una trattativa: «Continueremo la lotta». LA RABBIA E LA DELUSIONE Sono appena 20 mila, ma in molti decidono di restare «finché lo zar non se ne va» I NUOVI LEADER Il blogger Navalny arringa la folla: «Il potere siamo noi» Viene fermato, poi liberato "La Stampa", 6/03/2012

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