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Dal Giubileo ai grandi eventi, una macchina collaudata con relazioni di alto livello
GIACOMO GALEAZZI
CITTA' DEL VATICANO

Nell’annuario pontificio del 2010 figura ancora il nome del gentiluomo di Sua Santità Angelo Balducci come consultore di Propaganda Fide. In Vaticano lui e gli altri protagonisti del «sistema Giubileo» sono stati per un decennio gli intoccabili gestori del mattone ecclesiastico con un leader (Crescenzio Sepe) e un «patrono» (il segretario papale Stanislao Dziwisz). Lunedì, da vero capo, l'arcivescovo di Napoli indagato per corruzione ha chiamato per nome e cognome alcuni componenti della sua squadra rivendicando pubblicamente di essersi avvalso nella gestione del patrimonio di Propaganda Fide (nove miliardi di euro, 2000 mila appartamenti a Roma) della consulenza «di tre persone che avevano titoli ed esperienza per assicurarmi un qualificato contributo». E cioè il magistrato Pasquale De Lise, presidente aggiunto del Consiglio di Stato, Angelo Balducci e «Francesco Silvano, amministratore dell’Ospedale Bambin Gesù, mio collaboratore già durante il Giubileo».

Relazioni di potere e affari a tutto campo: una rete efficientissima trasferita nel 2001 dal comitato organizzatore dell'Anno Santo agli scanari mondiali di Propaganda Fide. Anche al ministero vaticano delle Missioni il consultore Francesco Silvano ha accettato di buon grado di dividere compiti e firme sui contratti con il parigrado (in Curia) Angelo Balducci, membro della Famiglia Pontificia. Al riparo dai controlli burocratici della Santa Sede, i plenipotenziari del cardinale si sono mossi al massimo livello sulle due sponde del Tevere avvalendosi di una cintura di «professionisti competenti». De Lise, l’avvocato dello Stato Ettore Figliolia (capo dell’ufficio legislativo del vicepremier Francesco Rutelli nel governo Prodi e presidente in tre arbitrati per contenziosi su grandi opere pubbliche) e monsignor Francesco di Muzio, esponente di primo piano dell’Opus Dei e responsabile amministrativo di Propaganda Fide.

Nomi affiorati nell’inchiesta sul G8, ma ben noti in Curia molto tempo prima che se ne occupassero le cronache giudiziarie. E così controllati e controllori finivano per coincidere, come quando nell'imminenza del Giubileo i lavori del maxiparcheggio del Gianicolo stavano pericolosamente per essere paralizzati dal ritrovamento di preziosissime tombe d'epoca neroniana. Nelle stanze di compensazione del potere ecclesiastico e di quello civile si decise che l'infrastruttura era comunque necessaria e dal provveditore alle Opere pubbliche del Lazio (Balducci appunto) arrivò il via libera. «Quello forgiato nei cantieri dell'Anno Santo è un gruppo di potere legato a doppio filo a don Stanislao, quindi a Karol Wojtyla», spiegano nei Sacri Palazzi. Alla base del «modello Sepe» delle kermesse ecclesiastiche (dalle giornate mondiali del clero ai 240 eventi giubilari) c'è sempre stata una task force metà italiana e metà vaticana che in un decenennio vissuto in prima linea ha abilmente navigato tra politica, vip e uomini pubblici. Ciò che i magistrati adesso vogliono appurare è se attraverso questo immenso patrimonio immobiliare sia stata esercitata un'influenza corruttrice sulla classe dirigente italiana e in Curia la preoccupazione è palpabile.

La squadra era agganciata a molti giri curiali per la sua capacità di guadagnare al Vaticano cambi di destinazioni d'uso, licenze, stanziamenti statali, appalti e autorizzazioni superando ostacoli tecnici in virtù delle poltrone occupate in Italia. E' così che sono passati di mano palazzi nel centro di Roma e sono state affittate alle tv straniere le terrazze di Propaganda fide. Insomma, una «piovra» in grado di monopolizzare il business del sacro mattone accresciuto dai privilegi fiscali: pagamento ridotto del 50% dell’Ires (l’imposta su reddito delle società) ed esenzione dall’Ici. Inoltre gran parte dei beni culturali presenti sul territorio italiano, appartengono alla Chiesa e quindi sono oggetto di ristrutturazioni e restauri a spese dello Stato. Un mix di beneficenza e affari, favorito dall'abolizione dell'equo canone. E' grazie ai «Sepe-boys» se «l'immobiliare è stato valorizzato» (come ha rimarcato nella sua autodifesa l'arcivescovo indagato) e i beni della Santa Sede hanno reso quanto mai avvenuto in precedenza. A dispetto degli odierni distinguo e delle frecciate Oltretevere sulla distinzione tra vecchio e nuovo corso, gli «intoccabili» hanno fatto fruttare i talenti perciò sono rimasti al servizio della Curia anche dopo l'allontanamento di Sepe a Napoli e Dziwisz a Cracovia.

Il sistema funzionava ed è stato di fatto confermato al ministero vaticano delle Missioni dal cardinale Dias. Silvano, incaricato di trovare casa a Bertolaso, è ancora oggi in Curia «consultore» della Prefettura degli affari economici, consigliere dello Stato vaticano e membro della Commissione disciplinare. Con in mano le deleghe sugli appartamenti da affittare nella capitale i fedelissimi di Sepe hanno intrecciato una ragnatela di amicizie e favori a politici e grand commis. Non è facile smantellare tutto, confermano nell'inner circle di Ratzinger che pure riticò apertamente il modo «disinvolto» in cui la macchina giubilare scavalcò qualunque limite e che, appena eletto Papa, non rinnovò a Sepe il mandato quinquennale a «Propaganda Fide» allontandolo dalla Curia. Però i tentacoli della piovra rimasero a Roma. (La Stampa 23 Giugno 2010)

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