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Cina e Russia, corsa agli armamenti

A Est, è corsa agli armamenti: tanto la Cina quanto la Russia, infatti, hanno annunciato incrementi sostanziali al budget militare, e danno mostra di voler regalare ai loro eserciti tanto le armi più aggiornate quanto ricerca e tecnologia. La Cina, che da più di venti anni aumenta in modo costante il budget militare, prevede di raddoppiarlo di qui al 2015 – arrivando, secondo le analisi di IHS Jane’s (una pubblicazione di intelligence militare e analisi di sicurezza e difesa) a 238 miliardi di dollari USA l’anno. Numero due per le spese militari nella regione è il Giappone, che dedica alle spese di difesa giusto 64 miliardi l’anno. Per un Paese che nessuno sta minacciando, si tratta di una cifra ragguardevole, e gli esperti puntano a tre principali aeree che spingono la Cina a tanta preparazione (se non altro come deterrente militare): una, Taiwan, contro cui Pechino si è sempre riservata la possibilità di procedere ad una “riunificazione” con la forza. Taiwan e la Cina infatti sono separate dal 1949, non hanno mai firmato un trattato di pace, e Pechino considera quella che i portoghesi chiamavano Ilha Formosa nient’altro che una “provincia ribelle”, la quale, se dovesse dichiarare indipendenza formale e non accontentarsi più dell’indipendenza di fatto attuale, potrebbe essere portata sotto la sovranità di Pechino con le armi. Al momento, però, le relazioni nello stretto sono piuttosto buone, gli scambi commerciali e turistici intensi, e il governo del Kuomintang, il Partito Nazionalista, gode del favore della Cina. L’altra area dove Pechino vuole mostrarsi capace di prove di forza invece è di più complessa gestione: si tratta di nuovo dei Mari del sud, ma questa volta di quelli che bagnano anche, fra gli altri, il Vietnam e le Filippine, che contestano alla Cina la sovranità sulle isole Spratleys e le Paracelse. Poco più in là, le isole che il Giappone chiama Senkaku, e la Cina chiama Diaoyutai: terre contese inabitate, ma che oltre a sedere su dei giacimenti di gas naturali, si trovano nel mezzo di uno dei corridoi marittimi più trafficati. C’è, naturalmente, dell’altro: parte del budget militare andrà anche verso il programma spaziale cinese, sempre più ambizioso, che dovrebbe vedere prossimamente un cinese sulla luna, per non parlare degli investimenti per una possibile “guerra asimmetrica”, che vedrebbe in prima fila gli attacchi hacker. Un particolare, però, va tenuto in conto: dal 2011 Pechino spende più per la sicurezza interna che per la difesa. Poi, invece, c’è la Russia: il Primo Ministro Putin proprio ieri ha rivelato in un articolo comparso in patria che nei prossimi dieci anni circa il Paese conta di spendere 770 miliardi di dollari USA per acquistare più di 400 missili balistici intercontinentali, 600 aerei da combattimento, decine di sottomarini, carri armati e navi militari. Per Putin, questo è reso indispensabile da una minaccia costante da parte di chi “vuole impossessarsi delle nostre risorse”, per quanto il Primo Ministro non abbia specificato di chi si tratti (per quanto, leggendo la direzione presa da altri discorsi e articoli pubblicati da Putin, l’imputato numero uno sembrano essere gli Stati Uniti, che vorrebbero vedere una Russia “indebolita” per poterne sfruttare i giacimenti minerari). Quello che turba Mosca, ormai da diversi anni, è tanto l’avanzare del Patto Atlantico, che ha sottratto alla sfera di influenza russa alcuni partner storici, che lo “scudo di difesa” che gli USA, fin dai tempi di George W. Bush, hanno deciso di mettere a punto, ufficialmente contro una possibile minaccia iraniana. Mosca, invece, si sente direttamente offesa dallo scudo americano, e nell’articolo di Putin si parla proprio di sviluppare delle armi capaci di penetrarlo. Ma quando incominciano a parlare di armi, molti Stati hanno la tendenza a lasciarsi un po’ trasportare dall’enfasi, e guardare sempre più lontano: così la Russia dovrebbe mirare ad avere armi ad altissima tecnologia per i prossimi “trenta o cinquant’anni”, per poter rispondere alle minacce che verranno dall’affilarsi tecnologico altrui. E dunque, ecco che sono promessi investimenti nell’industria militare, con l’obiettivo di modernizzare tutto quello che di obsoleto pesa ancora sulla macchina da guerra russa. Vero è che l’America ha promesso di voler tornare più presente sulla scena asiatica, e in particolar modo quella estremorientale, con l’apertura di nuove basi militari in Australia: il settore militare, a quanto pare, non conoscerà momenti di crisi. (La Stampa 21 Febbraio 2012)

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