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E nel 2100 saremo 15 miliardi
Si apre il dibattito sul futuro dell'umanità

Non abbiamo ancora fatto in tempo a salutare il bambino che ci porterà sopra la soglia dei sette miliardi di abitanti sulla Terra, e già dobbiamo prepararci per dare il benvenuto all’essere umano numero quindici miliardi. Da tempo i demografi prevedono che entro la fine di questo mese l’umanità supererà il primo traguardo, e quindi già guardano a che cosa accadrà entro la fine del secolo in corso. Per celebrare i sette miliardi di persone, lo United Nations Population Fund (Unfpa) pubblica oggi un rapporto in cui sostiene che quello che abbiamo visto finora è nulla. Il testo, intitolato «The State of the World Population 2011», prevede che alla fine dell’anno 2100 sul nostro pianeta ci saranno quindici miliardi di esseri umani: la popolazione mondiale, dunque, raddoppierà in meno di un secolo.

Un’accelerazione preoccupante, che è destinata a riaccendere le polemiche sulla cosiddetta «Population Bomb», ossia la bomba demografica. La Terra, in altre parole, sarà in grado di sfamare e sostenere ad un livello di vita decente tutte queste persone? E se la risposta a questa domanda fosse negativa, qual è la strategia migliore per affrontare quest’emergenza? La questione è antica e assai dibattuta. La popolazione mondiale cresce nei Paesi in via di sviluppo, perché le nascite aumentano e la mortalità infantile diminuisce, grazie ai progressi della medicina. Nei Paesi ricchi invece la popolazione cala, ma non abbastanza per compensare la crescita nel resto del mondo.

Davanti a questo problema si confrontano due gruppi. Da una parte ci sono i «neomalthusiani», convinti che il pianeta non può sopportare così tante persone. Propongono di frenare la crescita attraverso l’istruzione delle famiglie, il miglioramento delle condizioni di vita nei Paesi poveri e la pianificazione famigliare. Ma questo è il principale punto di scontro con l’altro gruppo, che potremmo definire dei «pro life». Ne fanno parte la Chiesa cattolica e altre istituzioni religiose o laiche, contrarie all’aborto e in generale all’intromissione dell’uomo nelle questioni della vita. I loro esperti sostengono che in realtà l’intera popolazione mondiale potrebbe vivere già oggi agevolmente nel solo stato americano del Texas.

Oltre alla questione demografica c’è quella geopolitica. Per anni l’aumento della popolazione in Paesi emergenti come India e Cina ha fatto supporre che il pendolo del potere globale si stesse spostando, portandoci verso la fine del dominio occidentale e soprattutto degli Usa. Ora ci sono studi di istituti come Bank of America e Boston Consulting Group che sostengono il contrario: l’individuazione di nuove fonti di energia, insieme alla fine del gap produttivo tra Cina e Stati Uniti, starebbero aprendo la strada a un nuovo «secolo americano», nonostante l’impetuosa crescita della popolazione in Asia. Qualunque sia la risposta corretta a queste domande sul piano scientifico, l’importante sarà salutare il bambino (o la bambina) numero sette miliardi senza pregiudizi ideologici, trattandolo come un’opportunità invece che una minaccia. (La Stampa 26 Ottobre 2011)

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