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L'ultimo prigioniero inglese di Guantanamo. Dieci anni senza processo

«Mio dolce amore ho perso molto peso e sono molto malato. Le ossa mi fanno male, i miei capelli sono più radi e più bianchi. La mia vista peggiora. Sto diventando vecchio, ma ti amo. Voglio dirti che il mio cuore è ancora giovane. E la mia mente ancora forte. Più forte che mai». Dieci anni a Guantanamo, 13 febbraio 2002-13 febbraio 2012. Li racconta, in una serie di lettere pubblicate dall’Independent, l’ultimo detenuto britannico del carcere più famoso della terra. Non ha mai avuto un processo. E ufficialmente non è accusato di nulla.

Il suo nome è Shaker Aamer e i carcerieri del Blocco 5 lo chiamano semplicemente «239». Il suo numero. E’ nato a Medina, in Arabia Saudita, nel dicembre del 1968 e a 28 anni si è trasferito a Londra. Traduceva dall’arabo per uno studio di avvocati. Lì ha incontrato la ragazza inglese che sarebbe diventata sua moglie. Ha ottenuto la cittadinanza e fatto quattro figli. L’ultimo non l’ha mai visto. L’avvocato Cori Crider, che lo ha visitato in cella la scora settimana, racconta che il suo assistito ha perso 60 chili. «Porta sul volto i segni della sofferenza. E’ come se lo volessero ridurre in poltiglia. Ma il suo spirito è straordinario».

Nel 2001 Shaker Aamer partì per Kabul con un’organizzazione umanitaria islamica. Alla moglie disse che andava a costruire scuole. In novembre gli americani se lo fecero consegnare dal capo di un villaggio afghano in cambio di cinquemila dollari. Dissero che combatteva per i talebani. Le torture, sostiene lui, cominciarono subito. I suoi compagni di prigionia non gli sembravano più uomini. Ma figure approssimative. Sgangherate come sagome del calciobalilla verniciate troppo in fretta. Per non impazzire cominciò a scrivere. «Cerca di essere paziente, amore mio. Non ho combattuto contro nessuno da quando ti ho lasciata. Mi nascondevo dalle bombe. Non credere a quello che dicono di me. Mandami una foto dei bambini. E racconta loro la verità».

Dieci giorni fa David Cameron ha chiesto pubblicamente la chiusura del carcere di Guantanamo. E William Hague, il suo ministro degli esteri, ha sollevato il caso con Hillary Clinton. Ma fonti del governo spiegano che la campagna elettorale per le presidenziali rende improbabile il rilascio del prigioniero che accusa gli Stati Uniti di averlo seviziato. «Nel 2005 mi hanno ripetutamente sbattuto la testa contro il muro. E hanno cercato di soffocarmi. Sono stato a un passo dalla morte. Ad assistere c’erano anche agenti dei servizi segreti inglesi». Londra ovviamente nega.

Shaker Aamer, che in isolamento ha letto 1984 di Orwell, continua la sua battaglia nell’unico modo che gli resta, affidandosi all’amore della moglie. «Tu sei l’anima della mia vita e la parte migliore del mio cuore. Lo sai quanto sei importante per me? Se tu cedi io cedi, se tu ti ammali io mi ammalo». Lo scrive mentre non può fare a meno di osservare il suo corpo che si squaglia come una gelatina. Una zuppa di se stesso. Ma vivo. «Sei la mia anima gemella, amore mio. E ho bisogno che tu sia forte». (La Stampa 14 Febbraio 2012)

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