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Il "governo Goldman Sachs" ai vertici dell'Europa





PERSONAGGIO Quelle amicizie ''diagonali'' che hanno reso potente Gigi

Piu' che un uomo «trasversale», LUIGI BISIGNANI, classe 1953, viene considerato un uomo «diagonale». Nel senso che da anni ama attraversare tutte le consorterie di potere (vero o presunto) che animano il nostro Paese, seguendo una linea retta ben precisa che parte da un'antica iscrizione alla Loggia segreta P2 - tessera numero 1689 e qualifica di «reclutatore», sempre smentita pero' - prosegue per il Vaticano e arriva fino alla segreteria della presidenza del Consiglio. Piu' che un vizio, una vocazione. Un percorso netto ma per nulla lineare, anzi spesso assai opaco e un po' misterioso, tanto da aver alimentato intorno a lui la leggenda di uomo «piu' potente d'Italia» e di averlo portato spesso all'attenzione delle Procure del Paese, facendolo diventare il convitato di pietra di non poche inchieste: dalla P3 di Verdini e Dell'Utri alla «cricca» di Angelo Balducci e Guido Bertolaso, fino alla «banda larga» della Finmeccanica di Pier Francesco Guarguaglini, per arrivare infine sulla scena di questa «P4» napoletana dai contorni ancora sfumati ma dagli esiti che potrebbero rivelarsi clamorosi. Per questo l'ordine di cattura che ieri lo ha raggiunto con le accuse di associazione a delinquere e rivelazione del segreto d'ufficio, pur lasciando indifferente la maggior parte dell'opinione pubblica, ha fatto fibrillare non pochi ambienti, soprattutto per le possibili intercettazioni. Lui di certo, come nella migliore tradizione dei «grandi vecchi» d'Italia, minimizzera'. «In fondo, nessuno sa mai dire in tutti questi anni cosa abbia davvero determinato Gigi», lo difende il vecchio amico Dc, Paolo Cirino Pomicino. Ma la fama, alimentata da anni e anni di lavoro silenzioso nel sottobosco politico e finanziario italiano con due stelle polari come Gianni Letta e Cesare Geronzi e una relazione andata avanti piuttosto a lungo con Daniela Santanche' fino a collocarlo in un «blocco» che si vorrebbe contrapposto al superministro Giulio Tremonti, certo non lo aiuta. Eppure BISIGNANI, che ricopre ufficialmente il ruolo di «executive vice president» del gruppo Ilte Pagine Gialle di proprieta' dello stampatore e immobiliarista Vittorio Farina - e' personaggio di grande simpatia, dall'intelligenza acuta e la parola veloce: «Piccolo, scattante, sguardo intelligentissimo, capisce immediatamente il pensiero dell'interlocutore e, con la rapidita' di un furetto, vi si adegua», scriveva gia' anni fa sul nostro giornale Alberto Statera. Sempre vestito con giacca blu e camicia bianca, amico molto ascoltato dell'ex ministro di Giustizia Clemente Mastella, in buoni rapporti con il potente generale della Gdf Walter Cretella Lombardo e con il manager Wind, Salvatore Cirafici, profondo conoscitore della galassia Eni e del suo presidente Paolo Scaroni, quando «Bisi» arriva a Roma dai suoi frequenti viaggi internazionali, si serve come autista del mitico «Paolino», il vero custode delle sue confidenze, un tassista romano che ha trasformato la sua auto bianca in un ufficio viaggiante per il «furetto» del potere capitolino e snobba qualsiasi altra corsa quando «Gigi» lo chiama. BISIGNANI, che ha scritto anche romanzi gialli di discreto successo («Il sigillo della porpora», nel 1988 e «Nostra signora del Kgb», nel '91) inizia la sua carriera come giornalista dell'Ansa, diventa precoce capufficio stampa dell'allora ministro del Tesoro, Gaetano Stammati (piduista) nei governi Andreotti degli Anni 70, e si ritrova ad essere uno degli uomini piu' fedeli del «divo» Giulio, da cui probabilmente ha imparato molte cose e iniziato ad attingere inestimabili contatti con il Vaticano. In particolare con gli amministratori dello Ior, la banca attraverso cui fara' passare i primi miliardi della maxi tangente Enimont, la madre di tutte le mazzette da distribuire ai partiti della prima Repubblica, Lega compresa. Appena 28enne quando gli allora magistrati Gherardo Colombo e Giuliano Turone scoprono le liste della P2, non ha ancora 40 anni quando diventa capo delle relazioni esterne di Montedison e uomo di fiducia di Raul Gardini per i rapporti istituzionali. E' qui che inizia a crescere vertiginosamente il suo potere e che tornano comode le conoscenze Oltretevere. Qualche squarcio di verita' emerge dai documenti raccolti nel libro «Vaticano Spa» di LUIGI Nuzzi. Con l'aiuto di monsignor Donato De Bonis, gia' segretario dell'ex presidente dello Ior, Paul Marcinkus (protagonista dello scandalo Ambrosiano e grande amico di Michele Sindona), BISIGNANI apre nell'ottobre del 1990 un riservatissimo conto presso la banca vaticana, con 600 milioni in contanti. In seguito entreranno altri 23 miliardi, di cui 12,4 verranno ritirati in contanti da BISIGNANI tra l'ottobre del '91 e l'estate del '93. Il conto viene intestato alla Louis Augustus Jonas Foundation (Usa). Finalita': «Aiuto bimbi poveri». Che ancora stanno aspettando. «BISIGNANI ha ottimi rapporti con lo Ior da quando si occupava di Calvi e dell'Ambrosiano - raccontera' poi De Bonis in un'intervista -. La sua e' una famiglia religiosissima: suo padre, Renato, un alto dirigenti della Pirelli scomparso da anni, era un sant'uomo; la madre, Vincenzina, una donna tanto per bene. BISIGNANI e' un bravo ragazzo». Talmente bravo «Gigi», da far transitare proprio dallo Ior non solo le mazzette Enimont - che, si scoprira' solo in seguito, ammontavano ad almeno il doppio della cifra che fu svelata dai pm di Mani Pulite -, ma anche a giostrare capitali tra il «suo» conto e quello del «cardinale Spellman», che gestisce in proprio a nome di «Omissis» , ovvero Giulio Andreotti come viene chiamato l'ex presidente del Consiglio nelle felpate stanze vaticane. E' talmente sveglio, BISIGNANI, che quando sente odore di bruciato, un mese prima di essere arrestato, fa in tempo a correre allo Ior, far sparire i documenti piu' compromettenti e chiude il conto, ritirando in contanti quel che resta: un miliardo e 687 milioni. Dopodiche' si rendera' latitante. Condannato definitivamente nel 1998 a due anni e 8 mesi di reclusione per la vicenda Enimont, BISIGNANI in realta' non ha mai smesso di essere corteggiato fino a diventare, secondo le nuove accuse, il capo indiscusso di un network che riuscirebbe a condizionare la vita del Paese: ieri all'ombra della Dc, oggi del potere berlusconiano. Una volta li chiamavano «faccendieri». Oggi, lobbisti.(La Stampa 16 Giugno 2011)

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