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IL CASO I guerriglieri sui monti per difendere la patria Il Kurdistan, ricco di petrolio, fa gola a tutti i suoi vicini

Montagne scoscese, spesso coperte di neve fino a marzo inoltrato, dirupi, torrenti impetuosi, vegetazione rada, paesini assediati dal vento e da enormi caserme, una strada stretta e mal asfaltata interrotta ogni due km da un posto di blocco. Nella provincia di Hakkari, cittadina al confine con l'Iraq, sgarrupata e lontana anni luce dallo splendore e dal benessere di Istanbul, il disagio curdo si percepisce in modo netto. Tutti hanno un parente o un amico «sulle montagne», modo elusivo per indicare chi si e' unito ai guerriglieri del PKK, tutti conoscevano qualcuno morto in uno scontro, in una rappresaglia, in un raid, tutti hanno parenti e amici oltreconfine e sanno a memoria le scorciatoie per eludere le pattuglie dei militari. Confine per loro inesistente: «Siamo tutti curdi». I monti, apparentemente invalicabili, sono infatti una frontiera porosa, ricca di nascondigli. Una via di fuga che, per i curdi «turchi», porta alla prima patria mai ottenuta nella storia, la Repubblica federale del Kurdistan, l'unico luogo dove essere curdi non desta sospetto. Le vicende di questi giorni, infatti, sono lo sviluppo forse inevitabile di una situazione da tempo tesa. Da luglio il Kurdistan iracheno e' oggetto, finora nel silenzio generale, di incursioni militari dalla Turchia e dall'Iran, che violano sistematicamente i confini e distruggono uomini e villaggi nel nome della lotta al terrorismo. Ufficialmente le Guardie della rivoluzione iraniana puntano ai separatisti del Pjak, il «Partito per una vita libera» in Kurdistan, gruppo curdo iraniano gia' sostenuto dall'Amministrazione Bush che nell'era Obama e' stato classificato come organizzazione terroristica, mentre Ankara prosegue oltreconfine la caccia al PKK. Ufficiosamente, secondo i curdi, l'oggetto del contendere sarebbe il petrolio, che nel Kurdistan abbonda, arrivando a coprire il 70% della disponibilita' nazionale. Leggenda vuole che basti posare il piede per terra, attorno a Kirkuk, per veder affiorare il greggio. Di tanta abbondanza il Kurdistan puo' trattenere appena il 17%, di cui un 5% serve a pagare l'amministrazione locale e le Guardie regionali curde, i famosi Peshmerga. Situazione mal tollerata da Erbil, che rende evidente come lo status di regione autonoma e la presidenza curda dell'Iraq non bastino a mettere l'area al riparo da vecchi e nuovi problemi. Tra cui quelli territoriali: il Kurdistan iracheno e' diviso in 6 governatorati, di cui tre - Sulaymaniyya, Arbil e Dahuk - controllati dal governo regionale, che pero' rivendica anche Diyala, Kirkuk, Ninive, Salah al-Din, Wasit. Kirkuk, in particolare, pesantemente arabizzata sotto Saddam Hussein, e' rivendicata come capitale ma il referendum per «contare» etnicamente la popolazione, piu' volte promesso, e' stato sempre rinviato. Le tensioni al confine vengono ignorate dal governo centrale che da luglio, in concomitanza con i bombardamenti, ha ufficialmente riallacciato i rapporti diplomatici con l'Iran, siglando poi un accordo trilaterale con la Siria per la costruzione di un «gasdotto islamico» di 5600 km, alternativo al «Nabucco», per trasportare il gas dai giacimenti dell'Iran all'Europa, attraverso l'Iraq e la Siria. E le cose potrebbero peggiorare ancora se passasse la legge sul petrolio e sul gas, da anni in gestazione la prima bozza risale al 2007 che ora, secondo il progetto del premier al Maliki, dovrebbe garantire alla Iraqi National Oil company il controllo su tutti i pozzi del Paese, riconoscendole piena autorita' sulle procedure di trivellazione e produzione e sulla firma dei contratti con gli investitori. Legge che, nella nuova versione, esclude dal consiglio della Inoc la necessita' della rappresentanza di partiti sciiti, curdi e sunniti, fragile baluardo all'anarchia fratricida che serpeggia in Iraq. Cosi', Omar Hawrami, parlamentare della Repubblica Federale del Kurdistan iracheno in visita in Italia per una serie di incontri con le associazioni che si occupano di diritti curdi, e per proporre affari alle imprese l'Italia e' il primo partner commerciale del Kurdistan iracheno dopo aver molto parlato di pace, di azione diplomatica, della necessita' di mantenere buone relazioni con i Paesi vicini, agita lo spettro della secessione, lasciandosi scappare che, «se non ci sara' una soluzione ai nostri problemi, non escludiamo, in futuro, di poterci separare dall'Iraq».(La Stampa 20 Ottobre 2011)

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